Negli Stati Uniti la liquidità è tanta, al punto che le banche non sanno come impiegarla. Hanno investito in commodities, in futures, sugli indici e sulla borsa inflazionandoli, ma ne resta ancora parecchia. Infatti, i tassi interbancari a tre mesi negli Usa sono scesi in pochi mesi dall’1,5 allo 0,5%. Segno di un eccesso di offerta di denaro.

Dove sta questo eccesso di offerta? Probabilmente la Fed avrebbe desiderato che si traducesse in crediti agli investimenti, per creare posti di lavoro. Ma «il cavallo non ha bevuto» o ha bevuto poco. Quindi le banche statunitensi hanno probabilmente investito il denaro della liquidità in eccesso nei carry trades.

I più famosi sono quello sull’AUD/USD e quello sull’EUR/USD. Come funzionano? Basta guardare il grafico parallelo (1). Le banche si indebitano allo 0,5% in dollari e investono in Bund al 4%, portando a casa il 3,5% di differenza di rendimento più l’utile sul cambio da carry, che è stato del 15% in quattro mesi. Se anche il dollaro non si deprezzasse più, il rendimento sarebbe dell’8,5% in un anno. Si capisce perché la finanza non abbia tanta voglia di smontare i carries sull’EUR/USD. Se durassero anche solo altri sei mesi, metterebbero a posto tanti bilanci.

Ma durerà tutta questa liquidità in giro? Ha due fonti: una naturale e una artificiale. La fonte naturale è collegata alla diminuzione della velocità di circolazione della moneta, che è correlata alla propensione al consumo, quindi inversamente correlata alla propensione al risparmio, che per fortuna è salita. La fonte artificiale, aggiuntiva, è stata il Quantitative Easing 2. L’effetto della dinamica delle due sorgenti di liquidità non è però univoco.


La fonte naturale non si spegnerà a breve, perché le famiglie hanno ancora bisogno di risparmiare, quindi offriranno il loro denaro in deposito alle banche. Il QE2 va velocemente verso l’unwinding di giugno. Bisogna dunque chiedersi se l’unwinding del QE2 farà salire i tassi a breve, chiudere i carries e salire il dollaro. In maggioranza si pensa di sì, e quindi può darsi che nei prossimi giorni vedremo qualche presa di beneficio sull’euro, ma in realtà probabilmente ciò non accadrà, quanto meno sino alla fine dell’anno e oltre. Invero, la fine del QE2 impatta molto alla lontana sui tassi interbancari.

La storia è questa. Bernanke ha detto che non comprerà più i titoli del Tesoro e che lascerà andare a scadenza, senza rinnovare, quelli che la Fed ha già comprato, il che significa che non ritirerà liquidità dal sistema se non in futuro e progressivamente, e che semplicemente Obama dovrà rifinanziarsi sul mercato e probabilmente non riuscirà più a collocare i t-bill a 13 settimane offrendo lo 0,4% di interesse annuo. Se la Fed, intimorita dai mercati che non vogliono il debito publico ai rendimenti correnti, invece di non rinnovare i titoli scaduti ne comprasse altri col controvalore di quelli scaduti, ma non comprasse titoli di stato aggiuntivi, avremmo il risultato che la liquidità non viene ridotta. Il mercato, intimorito dalla mancanza di acquirenti, chiederebbe rendimenti maggiori.

Allora Obama dovrà offrire di più? Di sicuro. E quanto? Un po’ più dell’interbancario, a seconda della qualità del suo bilancio. Ma i bills (i BoT statunitensi) a 13 settimane (tb 13w) sono strumenti di tesoreria, prevalentemente per le banche e per le imprese. Non sono i bills che determinano il tasso interbancario, piuttosto viceversa. In altri termini, non si possono collocare bills a tassi inferiori all’interbancario, se no nessuno li compra. Quindi i rendimenti dei bills saliranno, poco o molto a seconda della qualità della politica fiscale americana.

Salirà anche l’interbancario? Non è detto, perché la relazione non è «biunivoca». L’interbancario è un floor per i tb13w, ma i tb13w non influenzano l’interbancario. I sottoscrittori dei tb13w leveranno i soldi dai depositi bancari per sottoscrivere i bills e quindi ci sarà un calo dei depositi e le banche avranno meno liquidità a disposizione. La potranno cercare sull’interbancario, dove però il tasso non è libero di fluttuare, perché il tasso base lo regola di nuovo Bernanke, che decide a quale condizione offrire alle banche i Fed Funds. Se i Fed Funds sono più convenienti, nessuna banca giudicherà conveniente prendere a prestito da altre banche sull’interbancario.


Ora, la domanda diventa se Bernanke abbia incentivo a far salire i tassi sui Fed Funds, e quindi quelli sull’interbancario (dai cui tassi dipendono i carries sull’EUR/USD). La risposta è che la Fed ha incentivo, al contrario, a tenerli bassi. Per almeno tre ragioni. Se Bernanke alzasse i tassi: 1) si chiuderebbero i carries e le banche smetterebbero di fare utili da trading e avrebbero un problema di conto economico, che certamente la Fed non vuole, prima che l'economia riparta; 2) Obama andrebbe incontro a una difficoltà in più, perché salirebbe l’onere di rifinanziamento del debito, e questo non è nelle corde della banca centrale americana, che è sempre piuttosto accomodante con il governo; 3) salirebbero i costi dei mutui, prima che sia iniziata una ripresa dell’edilizia, e delle carte di credito.

A queste tre ragioni di ordine economico se ne aggiunge una di ordine politico. Il dollaro debole costituisce una discreta leva di pressione politica. Una spina nel fianco di cinesi, arabi, giapponesi, europei, tutti. Finché si può giocarla, perché no?

(1) http://www.centroeinaudi.it/images/lettera_economica/liquidit%E0%20ad%20abundantiam.gif