Da tempo la nostra tesi sostiene che l'ascesa dei prezzi delle azioni statunitensi (e non solo) dipende soprattutto dai bassi rendimenti delle obbligazioni. Da cui segue la previsione che l'ascesa dei corsi delle azioni dovrebbe prima frenare per poi flettere come livello. Ciò avverrebbe con i rendimenti delle obbligazioni che danno un segnale definitivo di rialzo.
- Così è in parte accaduto all'inizio di febbraio, quando i salari statunitensi hanno dato dei segni di modesta ascesa con ciò alimentando l'idea che si sarebbe tornata un'inflazione contenuta.
- Non solo i salari, ma anche il deficit pubblico potrebbe ampliarsi - a meno di pensare che il taglio delle imposte di Trump non alimenti una crescita tale da generare lo stesso gettito con aliquote inferiori. Le previsioni militano nella direzione di un ampliamento del deficit. Si avrebbe così una maggiore offerta di obbligazioni, perché il deficit non è finanziato con moneta, intanto che non si hanno più gli acquisti di titoli del Tesoro da parte della banca centrale.
- Con i rendimenti delle obbligazioni in ascesa per effetto della dinamica salariale che potrebbe alzare - seppur di poco – l'inflazione, e per effetto del maggior deficit dello stato federale dovremmo avere una borsa meno pimpante, perché è cresciuto il rendimento alternativo (quello del reddito fisso).
- Tutto questo non dovrebbe bastare per indebolire seriamente la borsa statunitense, perché fin tanto che il rialzo dei tassi e dei rendimenti non si manifesta con forza, e fin tanto che il deficit pubblico non va fuori manifestamente controllo, la paura di perdere il treno dell'ascesa finale dei corsi frena probabilmente un'ondata di vendete copiose.
- Poco dopo però si è aperto il contenzioso commerciale. Il proposito di Trump di alzare le barriere doganali potrebbe essere l'inizio dello smantellamento dell'”Impero benevolo” (degli Stati Uniti), che è alla base della prosperità e della pace del Secondo dopoguerra. Questo eventuale processo metterebbe, a sua volta, in crisi l'”Ordine liberale”.
- Se le cose andassero davvero in questa direzione, si avrebbe un clima molto meno favorevole all'investimento globale da un lato, e dall'altro una minor redditività (media) delle imprese come frutto della chiusura delle economie dentro le frontiere. Ciò perché così si terrebbero in vita le imprese inefficienti.
- L'Ordine liberale deve, inoltre, affrontare i problemi che sollevano le autarchie di alcuni dei maggiori Paesi in corso di sviluppo. Va affrontato anche il populismo, che potrebbe spingere in una direzione autocratica anche molti dei Paesi emersi, soprattutto quando si desidera che il mondo politico compia dei prodigi.
Il contenzioso commerciale si è così aggiunto al timore di un rialzo dei rendimenti obbligazionari e dunque abbiamo avuto una doppia spinta verso una borsa debole.
- Abbiamo avuto appena dopo anche una terza spinta negativa, quella legata alle grandi imprese tecnologiche, accusate di violare la privacy (Facebook), di evadere le imposte (Amazon), di produrre beni pericolosi (Tecla). Le grandi imprese tecnologiche – come epicentro dello sviluppo del nuovo canale commerciale, quello in rete - da anni aiutano a spingere la borsa, e dunque possono agire all'opposto, se le cose andassero meno bene.
Alla fine la borsa statunitense (in verde) è flessa dai massimi di gennaio e non mostra segni di un ritorno su un sentiero ascendente. In questo è imitata da quella giapponese (in grigio), e da quella tedesca (in arancione), che è addirittura finita in campo negativo. Il primo grafico mostra questi andamenti. I rendimenti di periodo (cedola maturate più la variazione del prezzo) delle obbligazioni decennali sono stati negativi negli Stati Uniti, e leggermente positivi o negativi in Giappone e Germania. La prima tabella mostra questi andamenti.
Norta sulla formazione del governo in Italia
Per quel che riguarda le attività finanziarie italiane - osservate dopo il risultato elettorale che ha visto prevalere “i critici degli assetti prevalenti” - per ora c'è poco da dire, perché la nostra borsa si è mossa conformemente con le altre, mentre il differenziale di interesse con l'obbligazione decennale tedesca – il sismografo del rischio del nostro debito pubblico - resta compresso. A questo punto – dopo due settimane di accordi andati a vuoto - dovremmo avere l'incarico per un cosiddetto “esploratore” e non un “pre-incarico”. Nella storia della Repubblica un esploratore non è mai diventato Presidente del Consiglio, e dunque è una figura di ricucitura volta a prender tempo. Insomma, per sapere di più sul prossimo governo dobbiamo aspettare ancora.
Nota sulla Siria aggiunta il 15 aprile
Abbiamo ricordato nella nota le vicende statunitensi, come la ripresa salariale, l'attesa di maggior deficit pubblico, le tensioni sul fronte del commercio internazionale, e, infine, le vicende legate alle grandi imprese informatiche, ma non abbiamo mai accennato alla crisi siriana. Ecco perché. Essa si è per ora materializzata in un’operazione congiunta – statunitense, francese, britannica - circoscritta a tre obiettivi militari. Con l’utilizzo di cento missili, senza nessun morto, e senza alcuna risposta da parte di chi ha subito l’attacco, non possiamo chiamare quanto accaduto una guerra. Mosca ne era al corrente, altrimenti come spiegare che la contraerea russa non abbia sparato un colpo. Questo per quel che riguarda la Siria. Relativamente alla formazione del governo in Italia si fa fatica a comprendere perché mai alcuni chiedano la formazione urgente di un esecutivo per effetto della (a nostro avviso finta) guerra siriana, e perché mai altri si schierino secondo fedeltà atlantiche oppure secondo desideri “terzo forzisti”.
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