Il succo del ragionamento è questo: 1) la discesa dei rendimenti delle obbligazioni è stata di tale entità che queste rendono poco o niente; 2) le azioni diventano di conseguenza interessanti, non tanto per la loro valutazione intrinseca, ma perché sono più redditizie delle obbligazioni. Insomma, con la fine del grande mercato “toro” delle obbligazioni, iniziato negli anni Ottanta, si ha un mutamento epocale: le obbligazioni non sono più l'attività finanziaria che offre un reddito accettabile con un basso rischio.
La compressione dell'offerta di titoli di stato
Una delle ragioni per cui i rendimenti sono così bassi è la politica di acquisto – il famigerato Quantitative Easing - dei titoli del Tesoro da parte delle Banche centrali dei maggiori Paesi. Quella statunitense ha smesso di comprare, ma quella Giapponese continua a farlo, e quella dell'Euro-area incomincia a farlo. Prendendo le dichiarazioni delle banche centrali alla lettera, si simula quanti titoli saranno comprati dalle Autorità. I titoli a disposizione del mercato saranno in futuro perciò pari alle nuove emissioni meno gli acquisti delle banche centrali. C'è chi ha fatto i conti: le obbligazioni a disposizione si sono ridotte da oltre 1.500 miliardi di dollari a poche centinaia dal 2010 al 2014. Nei prossimi due anni, simulando l'inattività della banca centrale statunitense, e l'attivismo di quella giapponese e di quella dell'Euro-area, viene fuori che le obbligazioni a disposizione del mercato si ridurranno di qualche centinaio di miliardi di dollari. Se l'offerta si riduce e la domanda è invariata, allora il prezzo delle obbligazioni dovrebbe salire oppure rimanere quasi immoto. In altre parole, i rendimenti non dovrebbero sostanzialmente muoversi. Ossia ancora, dovrebbero rimanere molto compressi. L'offerta negativa di titoli AAA nell'Euro-zona dovrebbe comprimere i loro rendimenti, e rendere attraenti i titoli con un merito di credito inferiore. Questi ultimi dovrebbero così avere un rendimento compresso – anche se meno compresso di quello dei “virtuosi”. Ossia, in altre parole, se il debito pubblico tedesco rende poco o niente, quello italiano viene comprato.
I numeri si trovano qui: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/4061-la-grande-svolta-dei-mercati-finanziari-ii.html
Gli effetti dei rendimenti bassi sulle azioni
Per discutere l'argomento sono necessarie due informazioni: quanto rendono le azioni, e quanto rendono le obbligazioni. La differenza fra i due rendimenti ha il nome di “premio per il rischio”, ossia la misura del maggior guadagno richiesto per detenere l'attività più rischiosa. Purtroppo, i conti completi si hanno solo sugli Stati Uniti. Eccoli.
Il rendimento delle azioni si calcola a partire dagli utili, tralasciando i dividendi. Si assume, infatti, di essere indifferenti alla ripartizione degli utili, ossia se sono distribuiti o meno, dal momento che la parte non distribuita va ad accrescere il patrimonio netto. Inoltre, si prende la media degli utili degli ultimi dieci anni al netto della inflazione, il CAPE – acronimo di Cyclical Adjusted Price to Earning ratio, per evitare di dar troppo peso alle fluttuazioni annuali. Il Price to Earning ratio CAPE è oggi pari a 26,5, perciò il rendimento delle azioni sarà il suo reciproco, ossia il Earning to Price ratio. Nella seconda riga si vede che esso ruota intorno al 3,8 per cento. Il rendimento delle obbligazioni decennali ruota intorno al 2,4 per cento. Ergo il premio per il rischio ruota intorno al 1,4 per cento, ossia il 3,8 per cento meno il 2,4 per cento.
Rispetto alle altre due crisi famose – riportate nella seconda e nella terza colonna – siamo meglio messi. Allora il premio per il rischio era addirittura negativo. Chiediamoci che cosa succede se il premio per il rischio odierno viene confrontato non con le due succitate grandi crisi, ma con una media storica piuttosto lunga, superiore ai cento anni – la colonna a destra. Il premio per il rischio corrente e storico sono curiosamente eguali, ma per ragioni diverse.
Le obbligazioni in media storica hanno reso molto più – il 4,6 per cento. Ergo per avere un premio per il rischio positivo, il rendimento delle azioni doveva essere più alto, e infatti era intorno al 6 per cento. Per tornare ad avere istantaneamente un rendimento di questo tenore, o gli utili salgono molto a parità di prezzo, o i prezzi cedono molto a parità di utili. Oppure una combinazione dei due andamenti – gli utili salgono nel tempo mentre i prezzi sono cedenti sempre nel tempo. Anche i rendimenti delle obbligazioni decennali in circolazione, per tornare alla media storica, hanno bisogno di una flessione dei prezzi robusta.
Se pensiamo che alla fine i mercati siano spinti verso la media storica, ossia se pensiamo che sia in azione più o meno marcata una “regressione verso la media”, allora i mercati finanziari degli Stati Uniti sono oggigiorno in un equilibrio precario. Un equilibrio “precario”, ma non ancora “molto pericoloso” come era quello delle due succitate grandi crisi.
periodo | 1929 | 1999 | 2014 | Media 1881-2014 |
PE CAPE | 32,5 | 44,2 | 26,5 | 16,6 |
1 / PE Cape | 3,1% | 2,3% | 3,8% | 6,0% |
10Y rendimento | 3,4% | 6,3% | 2,4% | 4,6% |
Premio Rischio | -0,3% | -4% | 1,4% | 1,4% |
Si ha chi la pensa diversamente, ossia si ha chi sostiene che siamo in una situazione anomala. Trattandosi di una anomalia “di lunga durata”, non si vede perché si dovrebbe “regredire verso la media”. L'anomalia è la incapacità dei salari di catturare una quota significativa della crescita della produttività. Un fenomeno che dura da decenni. La crescita della produttività si riversa quasi tutta nei profitti. I quali crescono da decenni più di quanto sarebbero cresciuti con la ripartizione storica dei frutti del progresso tecnico. I profitti crescono molto e dunque anche il prezzo delle azioni cresce molto. Inoltre, i maggiori profitti sono scontati con dei rendimenti delle obbligazioni in discesa, fenomeno che si manifesta per la disinflazione che dura ormai da decenni. A meno che i salari tornino a crescere, e, con una maggiore dinamica salariale, torni a crescere anche la inflazione, la quota dei profitti resterà cospicua e il fattore di sconto – il rendimento delle obbligazioni - resterà basso. La conclusione di chi la pensa diversamente è che per ora non si dovrebbe avere alcuna regressione verso la media delle azioni statunitensi.
La altre vicende in corso
Si ha l'andamento del prezzo del petrolio (1) con il suo impatto sugli utili delle imprese quotate (2), e sull'economia in generale (3). Un andamento importante che però non muta il quadro delineato nei primi due paragrafi dell'Asset Allocation di febbraio. Così come le vicende greche non dovrebbero avere alcun impatto sostanziale (4).
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