La spiegazione migliore – secondo Guglielmo da Occam – è quella che si articola con il minor numero di variabili, se quella con il maggior numero di variabili porta alle stesse conclusioni. Proviamo ad applicare il rasoio di Occam al prezzo del petrolio (1). Le variabili sono: 1) la forte crescita dello shale-oil; 2) l'impatto nel prossimo futuro di questa forte crescita sull'Arabia Saudita; 3) la decisione di quest'ultima di “mettere in ginocchio” lo shale-oil.
Il punto di partenza sono gli impulsi: la crescita dell'offerta e della domanda in un certo arco temporale. In questo caso, come mostra il grafico, si ha la crescita della domanda, e quella dell'offerta con quest'ultima che proviene sia dall'estrazione di petrolio che si ha frantumando le rocce – il famigerato shale-oil, sia dall'offerta “normale” di petrolio dei Paesi facenti parte dell'OPEC. La domanda è cresciuta di sei milioni di barili al giorno. L'offerta di shale-oil di quattro, quella dell'OPEC ha, invece, smesso di crescere. Si noti che manca nel grafico l'offerta di petrolio dei Paesi Non-OPEC come la Russia.
Il punto è – se si guarda con attenzione la pendenza delle curve del grafico - che - nel 2013 e nel 2014 - la crescita della domanda mondiale è stata eguale alla crescita dell'offerta di shale-oil.
Abbiamo assistito – a causa di questa nuova fonte di offerta a fronte di una domanda invariata - ad una notevole caduta del prezzo del petrolio, che ha trascinato all'ingiù i titoli legati del settore, ma non la borsa azionaria nel suo complesso (2). Ultimamente, il prezzo del petrolio ha smesso di cadere, come i titoli energetici. Il grafico mostra gli andamenti.
Come mai il prezzo del petrolio ha delle escursioni così marcate? Quando l'offerta supera la domanda ed i prezzi cadono, ecco che questi ultimi possono arrivare fino ad eguagliare i soli costi variabili di estrazione del produttore meno caro. (Quando si prevede un prezzo di 10-20 dollari al barile si ha in mente questo meccanismo). Quando la domanda supera l'offerta ed i prezzi salgono, ecco che questi ultimi possono arrivare ben sopra i costi variabili e fissi del produttore più caro (quando si prevede un prezzo di 150-200 dollari al barile si ha in mente questo meccanismo). Non solo, l'imprevedibilità delle nuove scoperte rende ancor più incerte le aspettative e quindi accresce la volatilità dei prezzi. Si noti, infine, che le nuove scoperte, che chiedono molti mezzi tecnologici e finanziari e quindi sono molto costose, abbisognano di un prezzo elevato. Perciò, quando il prezzo corrente è elevato si può immaginare che in futuro ci sarà maggior offerta (e quindi prezzi più bassi), viceversa, quando il prezzo corrente è basso di può immaginare che in futuro ci sarà una minor offerta (e quindi prezzi più alti).
Talloni d'Achille e Trade off. Con un prezzo del petrolio intorno ai 100 dollari al barile, la produzione di shale oil avrebbe potuto continuare ad espandersi, arrivando, secondo alcune stime e nel giro di qualche anno, a coprire quasi la metà della produzione saudita. A quel punto i sauditi avrebbero venduto la metà del loro petrolio ad un prezzo comunque basso, per la gran presenza dell'offerta di shale-oil. Lo shale-oil si estrae però da pozzi che si esauriscono subito. Bisogna perciò passare subito da un pozzo ad un altro. In più l'estrazione “saltalenante” avviene con molto debito e poco capitale. Ecco allora il Tallone d'Achille dello shale-oil. Il pozzo storico, al contrario, si esaurisce lentamente e non si estrae più a debito da molto tempo. Abbattendo il prezzo del petrolio - ossia, come hanno fatto i Sauditi, non tagliando la produzione per sostenere i prezzi in presenza della notevole offerta di shale-oil - i produttori di shale-oil sono messi in difficoltà, e la loro offerta di petrolio si riduce molto. Nel periodo necessario per “far fuori” i produttori di shale-oil i sauditi vendono la stessa quantità di petrolio a prezzo dimezzato. Se mantenere la quantità offerta invariata abbatte il prezzo fino alla metà, e se a lasciar crescere il concorrente porta in futuro ad un prezzo comunque debole per una quantità dimezzata, i Sauditi non possono non avere la tentazione di agire oggi. Ecco il trade off dei Sauditi.
Perciò nel breve termine si riduce ed anche molto l'offerta di petrolio originato dalla frantumazione delle rocce, così come nel lungo termine si ha lo stesso una minor offerta. Quest'ultima è dovuta al taglio della ricerca di nuovi pozzi (nei fondali marittimi, nelle zone desolate) da parte dei produttori tradizionali, che, con i prezzi correnti, non osano rischiare. Si dovrebbe perciò avere di nuovo un prezzo alto, anche a fronte di una domanda che cresce non al passo di una volta. Concretamente, uno potrebbe comprare – scommettendo sulla minor offerta di shale-oil, perché molti pozzi sono stati messi fuori mercato, e in una minor offerta di petrolio estratto in maniera tadizionale, perché si è tagliata la ricerca di nuovi pozzi - dei futuri sul petrolio che scadono fra qualche anno.
L'implicito previsionale della mossa dei sauditi. Tagliando i sauditi la produzione, i prezzi non sarebbero caduti - o, almeno, non così tanto. I sauditi avrebbero consentito ai produttori di shale-oil di continuare a pompare fino a produrre una gran quantità di petrolio. Se i sauditi avessero pensato che, una volta giunti a pompare il pompabile, le riserve di shale-oil si sarebbero velocemente esaurite, ecco che avrebbero potuto lasciar fare. Giunti velocemente al picco dello shale-oil, si sarebbe avuta una veloce riduzione della produzione, e i Sauditi sarebbero ancora al centro della scena in quanto unico produttore capace di alzare o ridurre la produzione di petrolio in breve tempo - con in più maggiori riserve di petrolio, perchè nel frattempo ne avrebbero estratto di meno. Insomma sarebbero rimasti ancora lo “swing-producer” e pure con maggiori riserve. Il razionale della mossa dei Sauditi è perciò l'assunto che la gran produzione di shale-oil non è un fenomeno passeggero. Se così fosse, ossia se lo shale fosse un concorrente temibile, avrebbero messo in difficoltà un vero concorrente, ma, se così non fosse, ossia se lo shale è solo un fenomeno passeggero, avrebbero intanto venduto la stessa quantità di petrolio per un prezzo dimezzato, ossia avrebbero svenduto una parte delle riserve che non sono rinnovabili, mettendo pure in subbuglio i Paesi produttori che finanziano lo stato sociale (3) solo con un prezzo del barile alto.
Qual è il valore aggiunto di questo ragionamento? I Sauditi non hanno agito per conto degli Stati Uniti per mettere in difficoltà la Russia e l'Iran, ma hanno agito per mantenersi in una posizione di forza in futuro, grazie all'eliminazione di un concorrente di vaglia. Che poi - per eliminare lo shale-oil - si metta in difficoltà anche la Russia è un “effetto collaterale” che può essere o non essere apprezzato. Resta lo squilibrio che si è creato all'improvviso negli ultimi mesi. Gli Stati Uniti sono penalizzati nel campo dello shale-oil, la Russia nel finanziamento dello Stato Sociale. Una volta tanto, questa vicenda aiuta l'Euro-area, anche se forse meno di quel sembra (4).
(1) http://www.gmo.com/websitecontent/GMO_Quarterly_Letter_4Q14.pdf
(2) http://blogs.ft.com/gavyndavies/2015/02/16/is-the-oil-crash-over/
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