Si ha una nuova combinazione di politiche monetarie e fiscali rispetto al passato intanto che i mercati sono cari.
1- Le politiche monetarie e fiscali passate
Le economie dei Paesi sviluppati sono entrate in crisi a partire dal 2008. Da allora si sono avute delle politiche monetarie ultra-espansive – tasso di sconto a zero e acquisti di titoli di stato e privati da parte delle banche centrali – e fiscali largamente espansive. Si soliti dire che questo è avvenuto negli Stati Uniti ed in Giappone (oltre che in Gran Bretagna), ma non nell'Euro-zona. Nell'Euro-zona si è soliti dire che solo il tasso di sconto è stato tagliato, ma non si sono avuti acquisti di titoli di stato e privati da parte della banca centrale, e neppure delle politiche fiscali espansive, ed è perciò che si ristagna.
L'opinione prevalente non è completamente vera. Nell'Euro-zona si è tagliato il tasso d'interesse che la banca centrale pratica alle banche di credito ordinario, si sono avuti degli acquisti diretti di titoli di stato da parte della banca centrale - condizionati al perseguimento di certi obiettivi, oppure attraverso il finanziamento alle banche di credito ordinario perché li comprassero, ed, infine, le politiche fiscali sono state restrittive in Germania ed in Italia, ma non in Francia, in Spagna, in Portogallo, ed in Grecia (1).
Ecco la tabella di confronto:
Politiche | Stati Uniti | Giappone | Euro-zona |
Tassi a zero | si | si | si |
Acquisto titoli | si | si | si e no |
Espansione fiscale | si | si | si e no |
Insomma, se l'Euro-zona rallenta molto più di altri Paesi - sempre che quest'ultima idea sia “davvero vera” - forse la spiegazione non è semplicemente quella della politica economica inutilmente restrittiva, oppure non abbastanza espansiva, come vogliono l'arcigna Merkel e i suoi alleati. Se la spiegazione non così semplice, allora non bastano le attese dell'acquisto di titoli privati (e forse anche, come sperano alcuni, di titoli del Tesoro) da parte della banca centrale per rinverdire la speranza. E nemmeno – per sequenza di ragionamento - lo sforamento per qualche anno dai vincoli del deficit. Probabilmente c'è dell'altro. Qualche cosa di “strutturale”, che però richiede tutt'altra discussione (2).
2- Le politiche monetarie e fiscali presenti e future
Negli Stati Uniti il bilancio pubblico – inteso come saldo prima del pagamento degli interessi - mostra ora un deficit intorno al 3,4% del PIL – dal 11,6% dove si trovava nel 2009. La politica monetaria sul versante degli acquisti di titoli di stato e privati si è conclusa. Resta in azione la politica del tasso di sconto a zero, che dovrebbe concludersi con l'anno prossimo, con i primi rialzi dei tassi. In Giappone il bilancio pubblico – inteso come saldo prima del pagamento degli interessi - mostra ora un deficit intorno al 6,3% del PIL – dal 9,9% dove si trovava nel 2009. La politica monetaria sul versante degli acquisti di titoli di stato e privati continua con l'aggiunta dell'acquisto di azioni da parte della banca centrale (sic). Continua la politica del tasso di sconto a zero. Nell'Euro-zona il bilancio pubblico – inteso come saldo prima del pagamento degli interessi - mostra ora un deficit intorno al 0,4% del PIL – dal 3,8% dove si trovava nel 2009. La politica monetaria sul versante degli acquisti di titoli privati è iniziata. Continua la politica del tasso di sconto a zero (3).
Ecco la tabella di confronto:
Politiche | Stati Uniti | Giappone | Euro-zona |
Tassi a zero | si | si | si |
Acquisto titoli | no | molto elevata | si |
Espansione fiscale | poca | molto elevata | nulla |
3 – Gli effetti sui rendimenti
Se il tasso applicato dalla banca centrale per i crediti alle banche di credito ordinario è intorno allo zero, allora si avrà un flusso copioso di acquisti dei titoli biennali. Il costo del debito è nullo e quello dei titoli a due anni di poco maggiore e perciò attraente. I titoli biennali avranno perciò dei rendimenti molto bassi, che spingono all'acquisto di titoli decennali. I rendimenti dei titoli decennali si mantengono perciò bassi, a meno di una ripresa economica forte, che però ancora non si intravvede. Vi sono delle eccezioni, come i rendimenti nulli o negativi sul debito tedesco a due anni, ma il ragionamento nella sostanza tiene. La conclusione è che, fintanto che si mantengono bassi i tassi e in presenza di una ripresa modesta, i bassi rendimenti dei titoli tedeschi sovrani spingeranno ad acquistare i BTP e i Bonos.
4- Gli effetti dei rendimenti bassi sulle azioni
Per discutere l'argomento sono necessarie due informazioni: quanto rendono le azioni, e quanto rendono le obbligazioni. La differenza fra i due rendimenti ha il nome di “premio per il rischio”, ossia la misura del maggior guadagno richiesto per detenere l'attività più rischiosa (4). Purtroppo, i conti completi si hanno solo sugli Stati Uniti. Eccoli.
Il rendimento delle azioni si calcola a partire dagli utili, tralasciando i dividendi. Si assume, infatti, di essere indifferenti alla ripartizione degli utili, ossia se sono distribuiti o meno, dal momento che la parte non distribuita va ad accrescere il patrimonio netto. Inoltre, si prende la media degli utili degli ultimi dieci anni al netto della inflazione, il CAPE – acronimo di Cyclical Adjusted Price to Earning ratio, per evitare di dar troppo peso alle fluttuazioni annuali. Il Price to Earning ratio CAPE è oggi pari a 26,5, perciò il rendimento delle azioni sarà il suo reciproco, ossia il Earning to Price ratio. Nella seconda riga si vede che esso ruota intorno al 3,8 per cento. Il rendimento delle obbligazioni decennali ruota intorno al 2,4 per cento. Ergo il premio per il rischio ruota intorno al 1,4 per cento, ossia il 3,8 per cento meno il 2,4 per cento.
Rispetto alle altre due crisi famose – riportate nella seconda e nella terza colonna – siamo meglio messi. Allora il premio per il rischio era addirittura negativo. Chiediamoci che cosa succede se il premio per il rischio odierno viene confrontato non con le due succitate grandi crisi, ma con una media storica piuttosto lunga, superiore ai cento anni – la colonna a destra. Il premio per il rischio corrente e storico sono curiosamente eguali, ma per ragioni diverse.
Le obbligazioni in media storica hanno reso molto più – il 4,6 per cento. Ergo per avere un premio per il rischio positivo, il rendimento delle azioni doveva essere più alto, e infatti era intorno al 6 per cento. Per tornare ad avere istantaneamente un rendimento di questo tenore, o gli utili salgono molto a parità di prezzo, o i prezzi cedono molto a parità di utili. Oppure una combinazione dei due andamenti – gli utili salgono nel tempo mentre i prezzi sono cedenti sempre nel tempo. Anche i rendimenti delle obbligazioni decennali in circolazione, per tornare alla media storica, hanno bisogno di una flessione dei prezzi robusta.
Se pensiamo che alla fine i mercati siano spinti verso la media storica, ossia se pensiamo che sia in azione più o meno marcata una “regressione verso la media”, allora i mercati finanziari degli Stati Uniti sono oggigiorno in un equilibrio precario. Un equilibrio “precario”, ma non ancora “molto pericoloso” come era quello delle due succitate grandi crisi.
periodo | 1929 | 1999 | 2014 | Media 1881-2014 |
PE CAPE | 32,5 | 44,2 | 26,5 | 16,6 |
1 / PE Cape | 3,1% | 2,3% | 3,8% | 6,0% |
10Y rendimento | 3,4% | 6,3% | 2,4% | 4,6% |
Premio Rischio | -0,3% | -4% | 1,4% | 1,4% |
Si ha chi la pensa diversamente, ossia si ha chi sostiene che siamo in una situazione anomala (5), (6), (7). Trattandosi di una anomalia “di lunga durata”, non si vede perché si dovrebbe “regredire verso la media”.
L'anomalia è la incapacità dei salari di catturare una quota significativa della crescita della produttività. Un fenomeno che dura da decenni. La crescita della produttività si riversa quasi tutta nei profitti. I quali crescono da decenni più di quanto sarebbero cresciuti con la ripartizione storica dei frutti del progresso tecnico. I profitti crescono molto e dunque anche il prezzo delle azioni cresce molto. Inoltre, i maggiori profitti sono scontati con dei rendimenti delle obbligazioni in discesa, fenomeno che si manifesta per la disinflazione che dura ormai da decenni. A meno che i salari tornino a crescere, e, con una maggiore dinamica salariale, torni a crescere anche la inflazione, la quota dei profitti resterà cospicua e il fattore di sconto – il rendimento delle obbligazioni - resterà basso.
La conclusione di chi la pensa diversamente è che per ora non si dovrebbe avere alcuna regressione verso la media delle azioni statunitensi.
5 – Conclusioni
Non sono diverse da quelle proposte negli ultimi mesi. Nel 2000 e nel 2007 i mercati delle azioni avevano delle valutazioni simili a quelle correnti – dei rapporti prezzi utili alti ed un livello elevato di sottovalutazione del rischio, come misurato dall'indice VIX. La differenza fra il 2000 e il 2007 rispetto ad oggi è il livello dei rendimenti sui titoli di stato. Ai picchi dei livelli delle azioni si avevano dei rendimenti decennali normali – circa il 5% negli Stati Uniti ed il 3,5% in Germania, contro il 2,5% e il 1% di oggi.
Nel 2000 e nel 2007 si poteva osservare con distacco olimpico il livello elevato delle quotazioni azionarie, perché il livello dei rendimenti delle obbligazioni era sufficientemente alto da potersi spostare dal reddito variabile a quello fisso senza rischio. Oggi, invece, se ci si sposta dal reddito variabile a quello fisso si rischia, perché il rendimento delle obbligazioni è basso se non negativo in termini reali. Il prossimo movimento dei prezzi delle obbligazioni sarà prima o poi all'ingiù – per alzare il rendimento di un'attività la cui cedola è fissa, è, infatti, il prezzo che deve scendere.
Per dirla con linguaggio colorito, nel 2000 e nel 2007 avevamo un mercato in “bolla” ed uno che non lo era, mentre oggi abbiamo entrambi i mercati in “bolla”. Per bolla azionaria si intende una valutazione maggiore di quella che ci si può aspettare da un flusso ragionevole di dividendi scontato con dei rendimenti normali. Per bolla obbligazionaria si intende una valutazione che non può essere giustificata una volta che la crescita economica si stabilizzi e la variazione dei prezzi (inflazione) diventi normale.
In quale dei due mercati in bolla conviene stare? Se il mercato delle azioni cade, come si è visto nel 2014 in estate e poi in autunno, quello delle obbligazioni resta fermo. Se il mercato delle obbligazioni cade, come avvenuto ad un certo punto del 2013, quello delle azioni cade. In questi semplici termini, il mercato delle obbligazioni è meno pericoloso. Ossia, in termini di divaricazione dei mercati in un arco temporale limitato, il mercato del reddito fisso, pur essendo molto caro, è meno pericoloso. Diverso è il caso di una ascesa regolare del rendimento delle obbligazioni. I prezzi di queste ultime scenderebbero, salirebbero i rendimenti, ossia salirebbe il fattore di sconto delle azioni, che scenderebbero anche esse. In questo caso va preferita la liquidità.
(2) M.Deaglio (a cura di), XIX Rapporto sull'economia globale e l'Italia, da pagina 67
(3) I numeri sull'espansione fiscale si trovano a pagina 66 di: http://www.imf.org/external/pubs/ft/fm/2014/02/pdf/fm1402.pdf
(5) http://blogs.ft.com/gavyndavies/2014/11/09/the-very-long-run-equity-bull-market/
(6) http://www.voxeu.org/article/monetary-policy-and-long-term-trends
(7) M.Deaglio (a cura di), XIX Rapporto sull'economia globale e l'Italia, da pagina 29
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