Poco è cambiata la nostra analisi degli ultimi mesi, ed ancora oggi non si vede che cosa possa essere considerata come una novità tale da cambiare le conclusioni. Rimandiamo così alle asset allocation degli ultimi mesi. Per quel che riguarda l'Italia qui non ne dibattiamo, perché i nostri commenti saranno sempre più frequenti, visto che mancano solo pochi giorni alla definizione della manovra economica. La cosa utile da fare oggigiorno è riprendere a ragionare intorno alla Cina.
1 – La guerra commerciale
La temuta guerra commerciale fra gli Stati Uniti e la Cina – e più in generale la minaccia dell'Amministrazione di sanzionare commercialmente per colpire politicamente altri Paesi, fra cui di nuovo l'Iran (1) – occupa i commenti – quasi sempre enfatici, ma non ha ancora influenzato la formazione dei prezzi delle azioni e delle obbligazioni nei Paesi Occidentali, e segnatamente negli Stati Uniti (2), mentre ha avuto degli effetti negativi, ma, alla fine, marginali, sulla borsa cinese (3).
Hanno ragione i commentatori enfatici che temono l'espansione cinese, oppure quelli che temono la politica isolazionista di Donald Trump, oppure quelli che temono entrambe le minacce al mondo irenico del commercio globale? O hanno ragione i mercati finanziari che, nella sostanza, sono indifferenti?
Stando alle simulazioni economiche – di quelle politiche parliamo dopo, si direbbe i secondi. I numeri sono nella terza riga. Senza calcolare le probabili reazioni, l'impatto iniziale dela guerra commerciale sull'economia cinese sarebbe una minor crescita del PIL pari allo 0,62 per cento, su quella statunitense dello 0,09 per cento, e su quella mondiale dello 0,19 per cento. Come si vede poca cosa, anche immaginando un impatto doppio.
2 – La trappola di Tucidide
I cinesi credono, come gli statunitensi, di essere “eccezionali”, ossia pensano di far “eccezione” - naturalmente in meglio - rispetto agli altri. Eccezionali sì, ma in maniera diversa, i cinesi, infatti, sono per la diluizione dell'individuo nello stato, gli statunitensi per la separazione fra l'individuo e lo stato. Si può dibattere a lungo sui meriti relativi delle economie dirigiste come quella cinese o di mercato come quella statunitense. Lo stesso vale per l'”eccezionalismo” dei due Paesi nel campo della cultura politica, se sia più fondato quello cinese o quello statunitense. Quel che davvero interessa è se le succitate differenze possano alimentare o meno un conflitto reale, perché impediscono la comprensione reciproca. Ecco la famigerata “trappola di Tucidide”, laddove la Cina è Atene, e gli Stati Uniti sono Sparta. La trappola di Tucidide si ha quando una potenza emergente sfida quella dominante. Negli ultimi cinquecento anni la trappola si è manifestata sedici volte. In dodici si è avuta la guerra, in quattro no. Ergo, la trappola quando scatta non ha un esito segnato (4).
3 – La Cina è “una tigre di carta”?
La definizione del titolo del paragrafo è di Mao-tse-tung e si riferiva agli Stati Uniti. Vediamo quanto questa definizione abbia una base razionale e non propagandistica. Oppure, se si preferisce, ma ciò è lo stesso, possiamo porci una domanda tucididea: la Cina è una vera potenza emergente capace di sfidare gli Stati Uniti?
L'implicazione della risposta è della massima importanza: se la Cina non è una vera potenza emergente – come fu la Germania guglielmina e poi quella nazional-socialista, allora non ha senso uno scontro esistenziale, anche dopo che la Cina ha imboccato la via illiberale (5), perché per contenerla dovrebbe bastare una maggior presenza politica e militare statunitense in Asia e poche altre cose, come frenare la costruzione tutta cinese della “via della seta” fin tanto che cerca accordi con i Paesi indebitati per allargare la propria sfera di influenza (6), (7).
L'argomentazione che sostiene che la Cina non è una potenza che possa convivere alla pari o addirittura detronizzare gli Stati Uniti è – in breve - questa (8):
- Domina l'idea che la crescita “inesorabile” del PIL cinese porti alla potenza. Si ritiene – altrimenti detto - che la crescita del PIL sia la “levatrice dell'ascesa di potenza”. Ciò che è intuitivo, ma non è granché dimostrabile, se si osservano le esperienze storiche.
- Il PIL di un Paese con una massa sterminata di contadini – come la Cina - non porta a diventare una grande potenza, perché questi producono molto – in genere con una produttività molto bassa, ma consumano anche molto, e quindi non producono abbastanza risorse per gli scopi di proiezione di potenza economica e militare all'estero. Detto in linguaggio economico, una potenza è tale quando estrae dall'agricoltura un surplus “netto” consistente – ossia, quando avanza “molto” una volta che i contadini siano alimentati a sufficienza e le sementi per riprodurre il raccolto accantonate, non quando un Paese produce molto, ma ha un surplus netto modesto.
- Passando all'industria, e tenendo di nuovo conto non della produzione assoluta, ma di quella per addetto – alias la produttività, osserviamo un grande divario fra la Cina e gli Stati Uniti. Le imprese cinesi usano, infatti, più capitale e molto più lavoro di quelle statunitensi per produrre una quantità eguale di merci.
- Passando alla parte militare, gli Stati Uniti confinano con due oceani e con due Paesi di assai modesto peso militare, come il Canada e il Messico. La Cina, invece, confina oppure è vicina a ben diciannove Paesi, alcuni di un certo peso militare. La difesa delle sole frontiere – a differenza di quanto avviene negli Stati Uniti - impegna un terzo della spesa militare cinese.
4 - Conclusioni
La “guerra commerciale” fra Stati Uniti e Cina, se portata avanti, ridurrà, ma di poco, la crescita economica. La “guerra vera” fra la potenza emergente - la cinese - e quella egemone - la statunitense - è assai poco probabile, perché il divario fra la Cina e gli Stati Uniti è ancora immenso.
Ergo, per quanto si parli continuamente di “guerre” - va notato che l'argomento “guerra” è mediaticamente molto più intrigante del dibattere se il rapporto fra i Prezzi e gli Utili migliore in sede previsiva sia quello della media mobile decennale, oppure quello degli utili attesi nell'anno - la dinamica dei mercati finanziari continua a dipendere dalle variabili interne vetuste: la dinamica dei tassi e dei rendimenti, e quella degli utili.
2 - https://www.ft.com/content/753c40d6-b5b0-11e8-bbc3-ccd7de085ffe
3 - https://www.ft.com/content/32c7efa2-bd58-11e8-94b2-17176fbf93f5
6 - https://www.economist.com/briefing/2018/07/26/china-has-a-vastly-ambitious-plan-to-connect-the-world
7 - https://www.ft.com/content/bbcda96a-bc1b-11e8-8274-55b72926558f
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