Come stanno andando le cose negli Stati Uniti nel breve termine? Prendiamo il traffico ferroviario nel campo delle merci. Nel 2006, nel 2007 e nel 2008 fino all’autunno, non si registrano variazioni di rilievo. Dall’autunno del 2008 sino alla fine dell'anno abbiamo una forte caduta. Nel 2009 si ha un «sali e scendi» senza tendenza. Nel 2010 assistiamo a una ripresa e poi a un indebolimento. Siamo comunque lontani dal livello antecedente la crisi – circa un 15% al di sotto. Se il traffico ferroviario fosse una buona approssimazione dell’andamento dell’economia, potremmo affermare che non si vede dove stia la ripresa.


Un aspetto poco osservato della ripresa è questo. Le imprese che vanno male licenziano, quelle che vanno bene assumono. L’occupazione si sposta dai settori in declino a quelli in ascesa. Mettendo in rapporto i «nuovi disoccupati» con i «nuovi occupati», si ha una misura di quanto un sistema sia dinamico. Negli Stati Uniti si aveva in media un nuovo disoccupato per ogni nuovo occupato dal 1950 fino alla crisi ultima. Durante le recessioni il rapporto cresceva fino a 2 nuovi disoccupati per ogni nuovo disoccupato, ma poi le cose tornavano nella norma. Dal 2008 si è avuto un picco di 6 nuovi disoccupati, e ora siamo sopra 4.
 
Il sistema statunitense sembra quindi molto meno dinamico. Potrebbe diventarlo in futuro?
 
La capacità manifatturiera degli Stati Uniti sta diminuendo. Inoltre, il disavanzo commerciale con l’estero (escludendo il petrolio) non riesce a ridursi. In futuro gli Stati Uniti potrebbero non produrre abbastanza merci per il consumo interno e per le esportazioni. Gli Stati Uniti, per ripagare il debito estero, debbono, infatti, diventare un «esportatore netto» di merci e servizi. Come potrà mai ridursi il loro debito estero? La ripresa stenta, le imprese non assumono come una volta, gli investimenti tardano e il disavanzo commerciale con l’estero non si comprime, ossia il debito estero è alimentato.
 
In questo quadro come si esprime il mercato azionario statunitense?
 
Non ha vera direzione, le escursioni sono notevoli, e gli scambi molto modesti. Infine, i primi risultati delle banche mostrano un conto economico in affanno, perché sono minori gli introiti delle attività finanziarie. Il conto economico migliora lo stesso, perché gli accantonamenti sui crediti alle imprese e alle famiglie sono stati ridotti – e quindi portati a conto economico, per la minor crescita dei cattivi crediti.

Segnaliamo, infine, un’anomalia statistica. Lo Standard & Poor’s è intorno a un livello di 1.000 punti, mentre il rendimento dell’obbligazione decennale emessa dal Tesoro è intorno al 3%. Da un punto di vista statistico allo Standard & Poor’s intorno a 1.000 corrispondono dei rendimenti vicini al 4%. Da un punto di vista statistico al rendimento intorno al 3% corrisponde uno Standard & Poor’s sotto i 1.000 punti – intorno agli 800 punti. Se ha ragione il mercato delle azioni (= le cose alla fine andranno bene, perché sta fiorendo la ripresa, e quindi i prezzi scontano degli utili maggiori), allora i prezzi delle obbligazioni debbono scendere del 20% circa, affinché i rendimenti possano salire dal 3% fino al 4%. Se ha ragione il mercato delle obbligazioni (= le cose alla fine andranno male, perché non c’è ripresa e quindi le obbligazioni sovrane, che sono per natura poco rischiose, rendono poco), allora i prezzi delle azioni debbono scendere del 20% per tornare in linea con la relazione storica.

Uno dei due mercati, sulla base delle relazioni storiche, ha torto. Quale? C’è una terza possibilità. Le obbligazioni anche in assenza di crescita sono care, ossia rendono poco, perché prima o poi l’emissione di un cospicuo debito pubblico spingerà i rendimenti al rialzo. La nostra idea quindi è che le attività finanziarie statunitensi, come misurate dagli indici, vadano evitate.

La Grecia si è trovata in una «crisi di liquidità»: tipicamente, alcune aste di titoli pubblici non trovano sottoscrittori. È stata allora aiutata, forse si sta riprendendo, e perciò forse la crisi finisce. La Grecia potrebbe, però, non portare mai il proprio debito pubblico sotto controllo, e potrebbe anche non essere mai capace di andare in avanzo nei conti commerciali in modo da ripagare il debito con l’estero. E dunque potrebbe precipitare in una «crisi di solvibilità». Dal punto di vista degli altri paesi europei una crisi di liquidità può essere accettata e affrontata in maniera relativamente facile, ma non certamente una crisi di solvibilità. Se poi addirittura molti paesi «viziosi» si trovassero in una crisi di liquidità, che può sfociare in una crisi di solvibilità, allora i paesi europei «virtuosi» si troverebbero in una situazione inaccettabile. Il salvataggio di uno o più paesi europei diverrebbe, infatti, un onere a carico soprattutto del bilancio pubblico tedesco. Con le banche tedesche e francesi che sono le più esposte in Grecia, Portogallo e Spagna.

Per ora la crisi sembra scongiurata. Il sospetto è che il sistema finanziario europeo sarà comunque sotto tensione per ancora molto tempo, perché dovrà aumentare il capitale di rischio e perché dovrà comprimere i dividendi. La nostra idea quindi è che il debito pubblico europeo dei paesi meno virtuosi (attenzione, l’Italia non è mal messa come spesso si crede) vada ancora evitato e che il sistema bancario vada osservato con molto scetticismo.

Secondo noi, considerando i rendimenti probabili e i rischi che si corrono, è ragionevole l’acquisto di obbligazioni in euro a breve termine, che non rendono quasi nulla. Non rendono quasi nulla, ma, allo stesso tempo, sono un parcheggio in cui bivaccare tranquilli nell’attesa che le cose raggiungano un equilibrio inferiore, ossia che i prezzi delle azioni e delle obbligazioni finiscano su livelli più bassi. Pensiamo, infine, che, nelle condizioni date, lo spazio in discesa delle azioni sia maggiore dello spazio sempre in discesa delle obbligazioni.







Luglio 2010

    
           Stati Uniti

    
       Europa euro


Azioni / Obbligazioni

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Obbligazioni / Liquidità

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Quando la previsione è di un’attività finanziaria che va molto peggio di un’altra, il giudizio è «---»; 
«--» o «-» sono giudizi meno negativi. 
Lo stesso vale con «+++» e, a scendere, con «++» o «+».

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