Questa volta l’Asset allocation strategica osserva le vicende da 10 mila metri di altezza. Nel 2000, all’apice del boom della tecnologia, nei paesi sviluppati il controvalore delle azioni era eguale a quello delle obbligazioni. Oggigiorno il controvalore delle azioni è diventato il 40% di quello delle obbligazioni. La crescita dei debiti pubblici e la flessione dei corsi azionari sono all’origine del fenomeno. Se pensiamo le obbligazioni come una sorta di «protezione» e le azioni come una sorta di «scommessa», allora possiamo affermare che il mondo ha meno fiducia. Più precisamente, possiamo affermare che il mondo sviluppato ha meno fiducia in se stesso, non nel resto del mondo, perché gli investimenti nelle azioni dei paesi emergenti continuano imperterriti. Questa tendenza da «Tramonto dell’Occidente» prima di tutto ha senso? E poi, può continuare?


Dipende. I rendimenti delle obbligazioni sono, nei paesi sviluppati, negativi, tenendo conto dell’inflazione, quando le scadenze sono ravvicinate, e leggermente positivi quando le scadenze sono lunghe. Segue che, a meno di entrare in una fase di crescita nulla con deflazione – un mondo simile a quello del Giappone degli ultimi venti anni – i rendimenti sono troppo bassi. Inoltre, si deve considerare che nei prossimi anni la crescita del debito pubblico – e per effetto della crisi in corso e per effetto dell’invecchiamento della popolazione, che richiede prestazioni sanitarie e pensionistiche crescenti – sarà cospicua. Dei rendimenti pressoché nulli con una emissione robusta di titoli, dovrebbero così spingere i rendimenti al rialzo. Dunque sulle obbligazioni a lungo termine la tendenza è quella di una flessione dei prezzi.


Nelle obbligazioni si cerca una «protezione» che potrebbe non esserci, per effetto dei rendimenti di partenza seminulli e delle emissioni future.


Se non conviene avere obbligazioni, allora potrebbe convenire avere azioni. Il ragionamento di chi vuole le azioni è legato agli utili delle imprese che sono, nonostante la recessione, robusti, anzi sono, negli Stati Uniti, ai picchi storici. Innanzitutto, l’esperienza insegna che quando gli utili sono a un picco, nei successivi cinque anni flettono. Poi, i prezzi delle azioni non sono bassi. In rapporto agli utili, sono in linea con la media storica. Infine, l’invecchiamento della popolazione gioca un ruolo. Quando la fascia forte d’età – coloro che hanno i redditi maggiori, in rapporto alla popolazione – è elevata, allora le azioni sono pagate molte volte gli utili che comandano. Altrimenti detto, si ha fiducia nel futuro. Quando la fascia forte d’età, invece, è modesta, allora le azioni sono pagate poche volte. Gli anziani non scommettono sul futuro, e i fanciulli non hanno i mezzi per farlo.


Nelle azioni dei paesi emersi si cerca una «scommessa» che potrebbe non esserci. Gli utili potrebbero flettere per ragioni cicliche, con i moltiplicatori degli stessi bassi, per effetto della popolazione che invecchia.


Restano i paesi emergenti, dove molti sostengono che la crescita vorticosa dell’economia produce gli utili che faranno salire il prezzo delle azioni. Concentrandoci sulla sola Cina, si osserva che i fatturati crescono con un fattore di 3 rispetto agli utili. Ossia, la Cina è un paese con imprese che hanno dei margini contenuti.


Nelle azioni dei paesi emergenti si cerca una «scommessa» che potrebbe non esserci. Le loro economie crescono molto più degli utili.


Che fare, alla fine? Investire nel debito pubblico a breve termine in euro e comprare le azioni che possono distribuire un dividendo elevato anche in condizioni avverse. Questo per gli investimenti che rendono se i prezzi salgono e sono stabili (posizioni long-only).




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