Dunque il settore pubblico – le banche centrali, i ministeri di spesa – ha sostenuto i mercati finanziari e reali come non si aveva memoria dalla fine delle seconda guerra mondiale. La crisi non si è avvitata. Venendo meno l’avvitamento, i mercati hanno corretto il fattore di sconto e sono rimbalzati. Si danno due scenari.
A) Lo scenario di base, ossia quello più probabile, è costruito – dai ricercatori delle banche d’affari – secondo questo schema: 1) la crescita riprende; 2) i deficit pubblici come conseguenza si contraggono; 3) i rendimenti salgono verso i livelli precedenti la crisi, ma i debiti pubblici – grazie alla crescita – non si avvitano. Si ricava – dai punti da 1 a 3 – che le obbligazioni a lungo termine, nello scenario base, non sono attraenti; 4) gli utili delle imprese – soprattutto negli Stati Uniti – salgono più che proporzionalmente all’impulso proveniente dalla domanda, perché con le forti ristrutturazioni che si sono avute è cresciuta la leva operativa. Gli utili quindi tornano verso i livelli precedenti la crisi già verso il 2011. Quest’ascesa degli utili alla fine bilancia la crescita dei rendimenti (= il fattore di sconto delle azioni, discusso prima) e perciò il livello dei prezzi delle azioni alla fine si stabilizza. Si ha dunque una borsa che è attraente nelle tipologie d’investimento (= le imprese che distribuiscono dividendi elevati dovrebbero essere immuni dal rialzo atteso dei rendimenti), ma che non è attraente per sé, in quanto sottovalutata. In un contesto di bassi tassi di interesse, che tali dovrebbero restare e anche a lungo, ossia fino a quando i costi finanziari degli investimenti sono modesti, la borsa tende a salire fino al livello massimo che si può giustificare. La conclusione operativa è quella di evitare il debito a lungo termine, ma di comprare le azioni secondo dei temi di investimento, oppure se flettono molto.
B) Lo scenario di base, ossia quello più probabile, è costruito – dai ricercatori delle grandi istituzioni, che, si noti, non analizzano mai le azioni, ma solo le obbligazioni – secondo questo schema: 1) la crescita non sarà forte, perché le famiglie debbono rendere il debito accumulato, mentre la disoccupazione resta elevata; 2) i deficit pubblici come conseguenza si contraggono molto poco e i debiti pubblici continuano a salire; 3) i rendimenti hanno due vettori che li influenzano: quello del rischio specifico – i debiti crescenti che «comandano» dei rendimenti crescenti – che li spinge al rialzo, e quello del rischio di crisi sistemico – se non arriva la ripresa, le azioni scendono e dunque le obbligazioni possono essere attraenti – che li spinge al ribasso. La conclusione operativa è quella di evitare il debito a lungo termine.
Dei due scenari, a noi pare più verosimile il secondo – sono meglio le obbligazioni a breve termine, anche se i rendimenti sono minuscoli. Con l’aggiunta che le azioni possono flettere.
Marzo 2010 | Stati Uniti | Europa euro | |
Azioni / Obbligazioni | -- | -- | |
Obbligazioni / Liquidità | - | - |
Quando la previsione è di un’attività finanziaria che va molto peggio di un’altra, il giudizio è «---»;
«--» o «-» sono giudizi meno negativi.
Lo stesso vale con «+++» e, a scendere, con «++» o «+».
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