Riportiamo, in versione sintetica e con qualche ritocco legato alle vicende ultime, la nostra Asset allocation strategica. Alla fine, articoliamo il bivio decisionale e le nostre conclusioni. Nel sito si trova settimanalmente l’aggiornamento della Asset allocation tattica.


1. Il quadro
 
La giustificazione dell’ascesa dei corsi delle azioni degli ultimi tempi si basa su due «narrative»: il miglior andamento societario negli Stati Uniti e la ripresa dell’economia cinese. Nel primo caso, si mostra il miglioramento degli utili, ma non si ricorda che non migliorano i fatturati. Nel secondo, non si tiene conto di com’è organizzata la contabilità nazionale – in Cina si considera «spesa» la «volontà di spesa». Si è creato alla fine un «ambiente comunicativo» che sostiene che siamo al termine della recessione. Il traguardo è convincere chi è stato «alla finestra» che tutto sta andando per il meglio e che «è ora di rientrare» nei mercati finanziari. I fondi comuni raccolgono infatti nel comparto del reddito fisso, ma non in quello delle azioni.
 
Le famiglie statunitensi – l’epicentro della crescita degli ultimi decenni – sono meno ricche per la flessione del prezzo delle azioni e delle case, e debbono ridurre l’onere del proprio debito. Debbono consumare di meno – ossia risparmiare di più. Per evitare l’avvitamento, lo stato deve spendere di più. La maggior spesa si trasforma in emissioni di obbligazioni. Dunque, dovremmo avere una domanda anemica e una pressione sui rendimenti delle obbligazioni.
 
A fronte di uno scenario come questo, i prezzi delle azioni – pari a oltre 20 volte gli utili attesi con la più generosa delle contabilità, quella che non tiene conto delle poste straordinarie – sono elevati. La nostra idea è che le azioni non abbiano vera forza per salire perché gli utili, in una situazione di modesta crescita, non sono sufficienti per spingerle in alto stabilmente e perché, allo stesso tempo, i rendimenti delle obbligazioni non potranno che salire, per effetto delle grandi emissioni di debito pubblico. La nostra idea dunque è che le azioni possano flettere e anche molto. Così come possono flettere i prezzi delle obbligazioni, seppure meno delle azioni. Di conseguenza, da un punto di vista strategico, conviene aspettare che i prezzi raggiungano un nuovo equilibrio (inferiore). Nel frattempo, conviene mantenere gli investimenti nel monetario in euro: si evita il rischio tasso e anche il rischio dollaro.

Lo scenario non è mutato negli ultimi tempi: la parte peggiore della crisi – se intesa come il livello dell’attività economica in caduta libera – è alle spalle, ma la ripresa sarà stentata e in ogni modo bisognosa ancora di cospicui aiuti pubblici. Il punto è precisamente questo: una ripresa stentata trainata dal settore pubblico. I prezzi delle azioni, invece, si comportano come se le cose potessero tornare alla normalità in poco tempo, e i prezzi delle obbligazioni si comportano come se le grandi emissioni future di debito pubblico potessero essere sottoscritte facilmente, coi rendimenti invariati.
 
Quando, negli anni Novanta, l’Italia doveva entrare nell’euro, il Tesoro forniva ai mercati previsioni molto negative, in modo che i numeri effettivi – notevolmente migliori – colpissero favorevolmente le aspettative, che erano pessime. Ogni volta i numeri effettivi erano migliori e dunque i BTP reagivano, salendo sistematicamente di prezzo. Negli Stati Uniti, invece, si sta seguendo una politica opposta: l’Amministrazione fornisce numeri notevolmente buoni sulla dinamica dell’economia, del debito e dei rendimenti attesi, in modo che il pessimismo non prenda il sopravvento. Mantenendo bassi – con le previsioni, ma soprattutto con gli acquisti della banca centrale – i rendimenti delle obbligazioni oggi, lo scenario futuro diventa, secondo questa strategia, migliore. Attenzione: deve essere migliore, non è possibile averlo peggiore, altrimenti la reazione sarà di vendere i titoli del debito. Secondo noi, gli Stati Uniti stanno seguendo una strategia rischiosa. La Cina, il principale creditore degli Stati Uniti, è preoccupata per le grandi emissioni di debito in dollari. Il timore che il futuro possa non essere roseo forse sta dietro gli acquisti di materie prime. Se fosse così, la crescita dei loro prezzi non proverebbe che la ripresa è incipiente, ma solo che abbiamo una diversificazione dei portafogli dal dollaro.
 

2. Le strategie di uscita
 
Un’altra cosa non tenuta nella debita considerazione è la strategia di uscita dalle politiche monetarie e fiscali straordinarie. Le politiche di uscita dalla crisi – rialzo dei tassi di interesse praticati dalla banca centrale e riduzione della spesa pubblica in deficit – vanno attuate quando si è usciti davvero dalla crisi oppure in anticipo, scommettendo che la ripresa ci sarà?
 
Se le si vara in anticipo e non si ha ripresa, si contribuisce ad alimentare la ricaduta dell’economia. Se le si vara in ritardo, i mercati finanziari possono non credere che al periodo delle «vacche grasse» seguirà quello delle «vacche magre» – una combinazione grazie a cui il debito pubblico è tenuto sotto controllo nel corso di un intero ciclo economico.  Se le si vara in ritardo, il rendimento richiesto per sottoscrivere il debito pubblico in scadenza e in emissione potrebbe, infatti, salire moltissimo, producendo un deficit «da interessi» al posto di quello «da sussidi di disoccupazione». Finora i rendimenti sul debito pubblico sono rimasti compressi sia perché in molti cercano «il titolo sicuro», sia perché in pochi credono che il debito pubblico non sarà controllato appena la crisi finisce. Questo è vero negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone.
 
Forse è perché non si sa ancora se la crisi sia davvero finita, se la ripresa sarà forte o stentata, né come saranno le politiche di rientro dai deficit pubblici, che abbiamo visioni diametralmente opposte che convivono. Il mercato azionario, infatti, pensa che si raggiungeranno in fretta gli utili che le imprese già generavano prima della crisi, e dunque li anticipano. I prezzi correnti in rapporto agli utili correnti sono incredibilmente alti, mentre i prezzi correnti in rapporto agli utili attesi sono eguali a quelli che si hanno normalmente negli ultimi stadi di una forte crescita economica. Si noti che il mercato delle obbligazioni private è meno propenso a credere alla ripresa in corso. I rendimenti dei titoli di stato scontano una recessione, ma non i debiti pubblici in netta accelerazione.
 
Se la politica economica diventa restrittiva nei tempi sbagliati – ossia prima di essere sicuri che tutto va per il verso giusto – che accade? I mercati delle obbligazioni dovrebbero tenere. Quelli azionari che sono corsi in anticipo (secondo noi «troppo») dovrebbero cadere. Se la politica economica diventa restrittiva nei tempi sbagliati – ossia dopo che si è visto che tutto va per il verso giusto – che accade? I mercati delle obbligazioni dovrebbero cadere, perché ormai il debito pubblico accumulato comincia a produrre oneri da interessi difficili da controllare. Quelli azionari che sono corsi in anticipo (secondo noi «troppo») dovrebbero egualmente cadere, per la pressione dei rendimenti – che sono al rialzo.
 
Come si vede, oggi ci si trova in un contesto senza happy ending, a meno che le strategie di uscita dalla crisi non siano attuate con i tempi «giusti», che sarebbe come dire che le banche centrali e i parlamenti sono in grado di muoversi con una conoscenza delle cose dell’economia e della politica superiore alle capacità umane. In questo momento la fiducia che i mercati nutrono di fatto nelle capacità del sistema politico di governare le cose è al culmine, per quanto possa sembrare strano.


3. Il bivio decisionale dell’investitore
 
A) La crisi è quasi finita e quindi la borsa anticipa la ripresa, salendo. La ripresa genererà un gettito fiscale tale che il debito pubblico sarà sotto controllo; e dunque i rendimenti sono oggi giustamente bassi. Il dollaro, infine, è debole perché si vendono dollari per comprare le attività più lucrative. Ci s’indebita, per esempio, negli Stati Uniti all’1% e si comprano obbligazioni australiane a due anni al 4%. La debolezza del dollaro non è un segno di crisi, ma di fiducia. Le materie prime industriali salgono perché in Asia c’è ripresa.
 
B) La crisi è quasi finita, ma la ripresa sarà stentata perché le famiglie statunitensi non consumeranno come prima, in quanto debbono ridurre il debito. La ripresa stentata della domanda per consumi frenerà la crescita degli utili; inoltre, non alzerà molto il gettito e quindi i deficit pubblici resteranno elevati e le obbligazioni in offerta saranno cospicue. La crescita della borsa – peraltro con pochi volumi – è quindi eccessiva. I rendimenti sono bassi, ma alla fine saliranno – dunque i prezzi delle obbligazioni alla fine scenderanno. Le materie prime industriali salgono perché in Asia non ci si fida del dollaro. Inoltre, la domanda di oro rafforza il sospetto che vi sia timore diffuso sulla tenuta del dollaro. Tutto sembra che stia andando per il meglio, proprio come sembrava nel Giappone degli ultimi vent’anni: anche lì sembrava che le cose potessero rimettersi in carreggiata, ma poi questo non avveniva.

 
4. La nostra opinione
 
La nostra interpretazione è la seconda. Lo ripetiamo, la nostra idea è che le azioni possano flettere molto, così come possono flettere le obbligazioni, seppure meno delle azioni. Di conseguenza, da un punto di vista strategico – si veda anche la nostra opinione da un punto di vista tattico – conviene aspettare che i prezzi raggiungano un nuovo equilibrio (inferiore). Nel frattempo, conviene mantenere gli investimenti nel monetario in euro: si evita il rischio tasso e anche il rischio dollaro. Nella situazione di oggi, insomma, pensiamo che, da un punto di vista strategico, sia meglio comportarsi da «tartaruga» piuttosto che da «lepre». Si veda l’andamento negli ultimi venticinque anni delle azioni e delle obbligazioni. Alla lunga le azioni (la lepre) ricadono sulle obbligazioni (la tartaruga), cercano sempre di allontanarsi ma non riescono a «batterle»:

http://www.centroeinaudi.it/ricerche/le-azioni-e-le-obbligazioni-nellultimo-quarto-di-secolo.html


http://www.centroeinaudi.it/ricerche/le-azioni-e-le-obbligazioni-nellultimo-quarto-di-secolo-/-ii.html



Settembre 2009

    Stati Uniti

   Europa euro

 

Azioni / Obbligazioni

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Obbligazioni / Liquidità

           -

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Ottobre 2009

    
    Stati Uniti

   
   Europa euro

 

Azioni / Obbligazioni

          --

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Obbligazioni / Liquidità

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Quando la previsione è di un’attività finanziaria che va molto peggio di un’altra, il giudizio è «---»;
«--» o «-» sono giudizi meno negativi.
Lo stesso vale con «+++» e, a scendere, con «++» o «+».