Le principali agenzie di rating stanno segnalando il ritorno dell’offerta (e della domanda) in Europa di prodotti strutturati come gli ABS (Asset-Backed Securities, emissioni garantite da crediti di varia natura) i quali sono ritornati ai livelli del 2010 e sembrano godere di buone prospettive anche per il 2012. I settori e paesi più vivaci sono l’automobilistico tedesco, le carte di credito inglesi e le piccole-medie imprese spagnole e italiane oltre agli studenti americani (negli Stati Uniti).

Qual è il meccanismo? In pratica, le aziende hanno dei crediti all’attivo che generano dei flussi di cassa nel corso del tempo: ad esempio, le rate per le automobili, le commissioni sulle carte di credito e ogni genere di pagamenti da parte dei clienti delle aziende. Questi crediti possono essere cartolarizzati (ossia trasformati in titoli) e quindi collocati presso investitori che sono alla ricerca di rendimenti maggiori di quelli che trovano investendo in emissioni non garantite. Il vantaggio per le aziende è quello di monetizzare subito, con uno sconto rispetto al valore totale dei crediti e dei flussi di cassa, finanziandosi ad un costo inferiore al costo che dovrebbero sostenere per emettere titoli di debito. Alla fine, le aziende si finanziano non aumentando i debiti ma riducendo i crediti, monetizzandoli.

Il meccanismo diventa complesso nella sua costruzione dove intervengono diversi soggetti (l’azienda, una società costituita appositamente, il consulente legale, lo sponsor, le banche di investimento collocatrici e infine, la società di rating) ma che alla fine deve approdare alla riduzione del debito. Tutto ciò è funzionale, infatti, al miglioramento della situazione debitoria delle aziende e fa parte degli strumenti a disposizione della gestione della tesoreria, a maggiore ragione in uno scenario in cui le stesse banche sono in difficoltà a reperire risorse per finanziarsi e, conseguentemente, ad assumersi rischi se non a tassi troppo onerosi che rendono, quindi, appetibile la vendita degli attivi.

Ciò detto, si ripresenta il rischio della gestione del rating che, se non correttamente misurato e pesato, può determinare fenomeni ormai ben noti di illiquidità e insolvenza. Inoltre, il vantaggio per le aziende è di ottenere per i crediti che cedono (la parte) un livello di rating superiore a quello che otterrebbero come società (il tutto). Il risultato non può che essere un peggioramento della qualità dell’attivo delle società perché se vendo le parti buone mi restano quelle meno buone oltre alla liquidità incassata che, a questo punto, deve avere l’obiettivo di migliorare la qualità dell’attivo (o ridurre l’elevato costo del passivo) in misura da più che compensare l’uscita dei crediti migliori.

Alla fine abbiamo: 1) le tre principali società di rating che segnalano in contemporanea la nuova crescita di questo fenomeno e le loro perplessità sulla qualità di queste emissioni, 2) una forte domanda da parte di investitori non bancari (ad es. Pimco, Blackrock), 3) la presenza di emittenti non tradizionali la cui affidabilità deve essere verificata e 4) uno scenario macroeconomico 2012 ancora da definire in termini di durata e profondità della recessione. Se aggiungiamo il ritardo con cui il peggioramento del rating viene applicato e la remunerazione elevata di queste operazioni diventa sempre più impellente il ritorno sul mercato dei finanziatori bancari tradizionali.