Di norma, un’ascesa «sana» dei prezzi delle azioni statunitensi – il cui andamento guida tutte le borse – era corroborata: 1) da scambi crescenti (ossia da volumi in ascesa), 2) da uno yen che si indeboliva in rapporto al dollaro e 3) da rendimenti delle obbligazioni in salita. Nel mese di agosto e poi ancora in settembre abbiamo avuto, invece, una borsa in ascesa con volumi in discesa, uno yen in rafforzamento, i rendimenti delle obbligazioni in flessione. Da qui il bivio: abbiamo di fronte un nuovo «paradigma» economico i cui contorni ci sfuggono, oppure abbiamo semplicemente dei segnali che la corsa delle azioni è insostenibile?


Nel vecchio paradigma, i volumi sono importanti

Si pensa che, se i prezzi salgono, anche i volumi scambiati debbano salire. Ecco la logica dell’asserzione: al tempo t, la curva di offerta di azioni è rigida, mentre gli «ottimisti» comprano. I prezzi salgono. Al tempo t+1, la curva di offerta di azioni si sposta, perché i maggiori prezzi sono – per i «pessimisti» – un incentivo a vendere. Gli ottimisti comprano ancora, ma questa volta comprano un numero di azioni superiore. I prezzi salgono ulteriormente. E così via. L’ascesa stabile dei prezzi ha i volumi in ascesa: di man in mano che i prezzi salgono, coloro che avevano comprato al tempo t, al tempo t+1 eccetera, realizzano plusvalenze e perciò vogliono vendere. Chi compra deve domandare un volume di azioni ancora più elevato a prezzi crescenti. La correlazione fra crescita dei prezzi e crescita dei volumi dovrebbe essere positiva quando il mercato, trainato dalla ritrovata fiducia nel futuro, riprende a salire. Invece, dal minimo di marzo del 2009 la correlazione fra prezzi e volumi è negativa: quando i prezzi salgono, i volumi scendono; quando i prezzi scendono, i volumi salgono. Chi compra non è molto convinto e si ferma, temendo di dover pagare troppo. Chi vende è ancora timoroso e accresce l’offerta quando i prezzi scendono, ossia quando teme che possano scendere ulteriormente.
 
Questa correlazione negativa – negli ultimi tempi – si è accentuata, come mostra il grafico:
http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/SPY%20PV.jpg

 
Nel vecchio paradigma, lo yen debole segnala l’«appetito per il rischio»

Lo yen (e il franco svizzero) sono monete di paesi in avanzo di bilancio con l’estero, e dunque esportatori netti di capitali. Segue che, quando c’è fiducia o «appetito per il rischio», ne esportano di più. La loro moneta è venduta, dunque si indebolisce. Per anni, nei mercati finanziari si è osservato al mattino per prima cosa il cambio dello yen, proprio per avere idea dello «stato di salute». Quando lo yen si rafforzava verso il dollaro, il segnale era negativo per le borse. Da agosto, lo yen sale e la borsa statunitense pure. La relazione non è più inversa.
Si osservi il grafico:
http://3.bp.blogspot.com/_eKH-tiSXFbc/Sqn6BTTaCEI/AAAAAAAAFvQ/fHr3SU5dQ8I/s1600-h/spx+and+yen.gif

 
Nel vecchio paradigma, i rendimenti delle obbligazioni con la ripresa salgono

Con la ripresa i portafogli incorporano una quota maggiore di azioni, e questo avviene con la vendita di una quota di obbligazioni. (Quindi i rendimenti salgono, perché il prezzo – a causa delle vendite – scende, mentre la cedola è fissa). Ossia, se c’è ripresa, i dividendi salgono, per cui si comprano le azioni. Le cedole, invece, sono fisse e quindi sono meno attraenti. Questo avviene in «condizioni normali». Quando poi si registra – come avviene oggi – una grand’emissione di debito pubblico volto a evitare, attraverso il maggior deficit, l’avvitamento della domanda, i prezzi delle obbligazioni dovrebbero, a maggior ragione, scendere (i rendimenti salire). Ossia, in condizioni di ripresa i rendimenti dovrebbero salire, e dovrebbero salire di più in condizioni di ripresa con una grand’emissione di debito pubblico. Invece non salgono, anzi scendono. Se c’è ripresa, hanno ragione le azioni e i rendimenti dovrebbero salire. Se non c’è ripresa, hanno ragione le obbligazioni, quindi i rendimenti dovrebbero flettere (o restare dove sono per la grand’emissione di debito pubblico) e le azioni scendere. Insomma, uno dei due mercati ha torto.

Il grafico mostra la relazione inversa fra prezzi delle obbligazioni e delle azioni. Quando i primi scendono (i rendimenti salgono), i secondi salgono, e viceversa. Nel grafico si hanno, in alto, il rendimento delle obbligazioni, e in basso la borsa. La relazione è stringente: la differenza temporale è al massimo di qualche mese. Bene, oggigiorno i rendimenti hanno smesso di salire, mentre le azioni continuano a salire.
 
Ecco il grafico:
http://www.centroeinaudi.it/images/lettera_economica/divergenza%20fra%20obbligazioni%20e%20azioni.jpg

In conclusione, il vecchio paradigma a noi pare razionale e perciò crediamo che l’ascesa dei corsi delle azioni sia fragile.