È ormai diffusa la convinzione che «la Cina sì che sta crescendo». Che cosa sappiamo della Cina? Sappiamo quanti titoli di stato possiede negli Stati Uniti, sappiamo quanto esporta. Questi dati sono però forniti dalla Federal Reserve e dalla dogana della California. Che cosa sappiamo da fonte cinese? In Cina si hanno delle statistiche incongruenti. Per esempio il Pil sale, ma la produzione di energia elettrica scende, la vendita di automobili sale a dismisura, ma la vendita di benzina alle pompe sale appena. L’incongruenza delle statistiche non è – a ben pensarci – nuova.
In Unione Sovietica, chi avesse osservato le statistiche sulla produzione agricola sarebbe rimasto colpito dalla gran quantità di beni generati dal sistema. Se, appena dopo, fosse entrato nei negozi dove questi beni si vendono, sarebbe rimasto sconfortato, perché erano vuoti. Al che avrebbe dovuto, uscendo dal negozio, imbattersi in gente che moriva di fame. Nessuno però moriva di fame. Mentre meditava sulle incongruenze statistiche, appena dietro l’angolo avrebbe potuto trovarsi in mezzo a un mercatino dove i contadini vendevano i frutti dei loro appezzamenti. Nei mercatini trovava quei generi alimentari che i negozi non avevano negli scaffali, e che facevano sì che la popolazione potesse vivere decorosamente. Dunque le statistiche non combaciavano, ma il sistema sopravviveva.
È normale che un’economia diretta da un unico partito abbia statistiche che non collimano. Non ha quindi molto senso sottolineare che le statistiche sono incoerenti, se si parla urbanamente di Cina sulla «terrazza». Il quadro cambia se si discute di investimenti «concreti».
L’ultima incoerenza in ordine di tempo (1) è quella relativa alla crescita del 2009. Essa è spaventosa su base reale – il Pil cresce di circa il 10% su base annua. E spaventosa su base nominale – il Pil cresce di circa il 25% su base annua. Dunque l’inflazione dell’economia – il deflatore del Pil – è intorno al 15%. L’inflazione al consumo è però di circa il 5%. Colpisce la differenza di scala fra due delle misure dell’inflazione. Fosse vera la prima, in Cina dovrebbero correre ad alzare i tassi e stringere l’erogazione del credito; fosse vera la seconda, si potrebbe olimpicamente lasciare i tassi dove sono ed erogare lieti il credito.
Chi investe in Cina avrà pure in mente un tasso di inflazione, ma quale?
(1) http://ftalphaville.ft.com/blog/2010/01/27/135651/chinas-unreal-gdp/
È normale che un’economia diretta da un unico partito abbia statistiche che non collimano. Non ha quindi molto senso sottolineare che le statistiche sono incoerenti, se si parla urbanamente di Cina sulla «terrazza». Il quadro cambia se si discute di investimenti «concreti».
L’ultima incoerenza in ordine di tempo (1) è quella relativa alla crescita del 2009. Essa è spaventosa su base reale – il Pil cresce di circa il 10% su base annua. E spaventosa su base nominale – il Pil cresce di circa il 25% su base annua. Dunque l’inflazione dell’economia – il deflatore del Pil – è intorno al 15%. L’inflazione al consumo è però di circa il 5%. Colpisce la differenza di scala fra due delle misure dell’inflazione. Fosse vera la prima, in Cina dovrebbero correre ad alzare i tassi e stringere l’erogazione del credito; fosse vera la seconda, si potrebbe olimpicamente lasciare i tassi dove sono ed erogare lieti il credito.
Chi investe in Cina avrà pure in mente un tasso di inflazione, ma quale?
(1) http://ftalphaville.ft.com/blog/2010/01/27/135651/chinas-unreal-gdp/
Questa nota è stata pubblicata il 28 gennaio anche su:
http://www.chicago-blog.it/2010/01/28/dibbbbattere-o-investire/
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