Seminario al Centro Luigi Einaudi di Torino
13 e 20 novembre 2008
 
Nella maniera più semplice (che non è detto che sia sbagliata) la crisi in corso è definibile come una crisi da debito sfuggita di mano. Questo è avvenuto per le carenze organizzative che non hanno contenuto gli effetti perversi del meccanismo detto di Bretton Woods II (BWII)
Di seguito si tenta una descrizione:
 
·        del meccanismo del BWII
·        del rapporto fra prezzi degli immobili, debito e consumo
·        del circolo virtuoso
·        del circolo vizioso
·        della crisi organizzativa

Questo sistema, che dura da decenni, oggi si scontra col proprio limite. I cinesi hanno troppe attività finanziarie statunitensi. Gli statunitensi hanno venduto troppe attività finanziarie. I cinesi temono che i loro crediti non siano poi di gran qualità, mentre gli statunitensi temono che il meccanismo dell’importazione perpetua di capitali possa incepparsi. Affermare che viviamo in un mondo irreale dominato dall’economia di carta soddisfa il bisogno di capri espiatori, ma non coglie il punto: l’economia reale del mondo si è sviluppata (come mai nella storia) grazie al complesso delle relazioni finanziarie.
 
Bretton Woods II
 
C’era una volta un paese molto povero e di antica civiltà che voleva inurbare centinaia di milioni di contadini in maniera ordinata, senza favelas. Il paese non disponeva di tecnologia e non aveva un sistema finanziario. Lo sviluppo di questo paese, una volta conosciuto come Impero Celeste e oggi noto come Repubblica popolare cinese, doveva partire dall’offerta di lavoro con salari bassi. Le imprese estere potevano combinare il lavoro locale con la loro tecnologia avanzata. Potevano guadagnare più del profitto normale, perché lucravano il minor costo del lavoro e quindi erano incentivate ad investire. Intanto i cinesi, esportando più di quanto importino, hanno accumulano, per mantere il cambio fisso, delle enormi riserve valutarie che sono investite in obbligazioni statunitensi. Le obbligazioni statunitensi di proprietà cinese lasciate in ostaggio agli statunitensi proteggono gli ingenti investimenti in impianti fati in Cina da molti paesi.
 
(Dal 1991 al 2006 in Cina gli investimenti in capitale fisico fatti da stranieri sono stati pari a 700 miliardi di dollari. La cifra non tiene conto della crescita di valore degli investimenti nel corso degli anni: se ipotizziamo che il loro valore sia cresciuto del 10% ogni anno, arriviamo a 1.300 miliardi di dollari. Nello stesso periodo i cinesi hanno comprato obbligazioni statunitensi per un controvalore simile. I crediti cinesi a fronte degli investimenti esteri sono il fondamento del sistema di mutua distruzione assicurata: “se tu mi nazionalizzi i miei impianti, allora io ti sequestro i tuoi BOT! Se provi a rovinarmi, io ti rovino, ma se tu non fai niente, allora io non faccio niente”. L’International Emergency Economic Power Act del 1977 concede facoltà al Presidente di congelare le attività estere sotto il controllo degli Stati Uniti, quando egli vedesse un rischio straordinario per la sicurezza nazionale, la politica estera, l’economia. Senza il sistema di reciproca rovina potenziale, nessuno avrebbe messo in funzione l’equivalente di un trilione di dollari d’impianti in Cina, un paese dominato da un regime a partito unico, forte di un esercito robusto. Senza un’industria priva di mezzi adeguati, la crescita cinese non sarebbe mai decollata. I cinesi, acquistando i titoli di stato americani, hanno offerto agli Stati Uniti la garanzia dei loro investimenti. Gli investimenti statunitensi sono solo una quota degli investimenti esteri fatti in Cina: vi sono poi quelli giapponesi, tedeschi, coreani e via dicendo. I paesi che hanno investito in Cina contano sugli Stati Uniti come garante dei loro diritti)Senza il sistema di garanzie (“impianti a te e obbligazioni a me”) la tumultuosa crescita cinese non ci sarebbe stata. Abbiamo visto che le garanzie ruotano intorno alla potenza politica e militare statunitense. Gli Stati Uniti sono quindi un “bene pubblico”, il garante dei diritti di proprietà di tutti. E’ nell’interesse cinese che gli Stati Uniti siano forti, perché inurbano i contadini evitando le favelas. Gli Stati Uniti comprano beni dai cinesi, cui vendono attività finanziarie. I cinesi fanno quello che sanno fare meglio (produrre beni fisici), mentre gli statunitensi fanno quello che sanno fare meglio (produrre dei beni finanziari complessi governando il mondo).
 
Debiti ed immobili
 
Il modello di sviluppo centrato sui mercati finanziari, che possiamo definire anglosassone, si differenzia dal vecchio, quello ante 1980, centrato sui salari. Questo modello si è imposto nei paesi anglosassoni, ma non nell’Europa continentale e in Giappone. Quello vecchio vedeva gli operai riuniti in sindacato e ruotava intorno alla crescita salariale. La crescita salariale alimentava la crescita della domanda, che stimolava gli investimenti fissi, che generavano i guadagni di produttività, che pagavano i maggiori salari. Possiamo sostenere che il vecchio modello aveva al centro i produttori, mentre quello nuovo ha i debitori, ossia le famiglie che accendono del nuovo debito, e che forzano i propri consumi. Questo accade soprattutto negli Stati Uniti. Uno accende del debito dando in garanzia la propria casa. Per un certo periodo ha un consumo maggiore, manda i figli all’università, compra l’auto, ma deve pagare gli interessi ed alla fine deve comunque rendere il debito. Il maggior consumo d’oggi diventa il minor consumo di domani. Esiste un limite alla crescita del debito. Limite che può essere rimosso, come si è poi visto più nell’immaginazione che nella realtà, se i prezzi degli immobili salgono in modo perpetuo. Se il prezzo dell’immobile sale, uno può accendere del nuovo debito. Se sale e non cade mai, il debito è garantito dal maggior valore dell’immobile. Quantifichiamo. Mostriamo i numeri del “mortgage equity withdrawal”, del valore che si estrae dalla ricchezza immobiliare. In breve, io ho una casa che vale 100 dollari ed un debito di 50 dollari. Quindi il mio debito è pari al 50% al valore della casa. La casa sale di prezzo ed arriva a 200 dollari. Se mi indebito per 100 dollari, quindi per altri 50 dollari, il mio debito, come percentuale, resta invariato, al 50%, ed io ho altri 50 dollari da spendere. Nel tempo è stato estratto, grazie al nuovo debito, del valore dagli immobili, valore che in gran parte speso. Poniamo che esso fosse di 500 miliardi di dollari. Abbiamo, nel caso di un tasso di risparmio del 100% sul nuovo debito, un reddito disponibile aggiuntivo di 500 miliardi di dollari. Prendiamo allora il PIL come è stato effettivamente, e come sarebbe stato senza il mortgage equity withdrawal. Il “come sarebbe stato” è una semplice sottrazione, non vi sono calcoli di moltiplicatori, acceleratori. Come mostra il grafico, senza le case da sfruttare, dal 2001, la ripresa sarebbe stata anemica.
 
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Il circolo virtuoso

La novità dell’ultima ondata della globalizzazione è la scomparsa del “fardello dell’uomo bianco”: non sono più i paesi ricchi che trasferiscono i capitali nei paesi poveri perché questi ultimi si industrializzino, ma, al contrario, sono i paesi poveri che finanziano la propria crescita, trasferendo una parte del proprio risparmio nei paesi ricchi, soprattutto in quelli anglosassoni. Questo avviene attraverso l’acquisto dei titoli di stato. I paesi emergenti industriali, soprattutto la Cina, esportano verso gli Stati Uniti, molto più di quanto non importino. Questo spinge la loro moneta a rivalutarsi verso il dollaro. Per evitare che la rivalutazione freni le esportazioni e quindi la crescita della loro industria, che assorbe i milioni e milioni di contadini che si stanno inurbando e quindi alla fine fermi la modernizzazione, la Cina compra, attraverso la banca centrale, le attività finanziarie, soprattutto obbligazioni, dei paesi in disavanzo commerciale. Gli acquisiti cinesi di titoli di stato statunitensi schiacciano i rendimenti delle obbligazioni. I minori rendimenti sul debito pubblico spingono a loro volta al ribasso il costo del denaro in tutto il sistema. Le famiglie statunitensi possono indebitarsi facilmente e quindi accrescere i propri consumi, fra cui quelli di merci cinesi. Sembra un moto perpetuo, ma, man mano che accumulano montagne di dollari, i paesi emergenti vogliono diversificare le proprie riserve proprio per ridurre il rischio, e quindi comprano euro, una moneta solida di un’area ricca almeno quanto gli Stati Uniti. La diversificazione delle riserve delle banche centrali dei paesi asiatici dal solo dollaro verso l’euro si sta compiendo, e poi incomincerà quella che porta dalle sole obbligazioni verso le azioni. Intanto che i cinesi e gli asiatici sfidano l’orgoglio degli occidentali, i prezzi delle materie prime salgono, perché la domanda aggiuntiva dei paesi emergenti si scontra con un’offerta limitata. Ecco la crescita dei proventi dei paesi petroliferi, che sono la seconda sfida all’orgoglio degli occidentali. In conclusione, abbiamo il modello di sviluppo “debito-centrico” che si sta esaurendo in un mondo in cui emergono come potenze finanziarie i paesi asiatici di ed i paesi petroliferi, nessuno dei quali è una democrazia.
 
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Il circolo vizioso
 
Quasi tutti assistevano alla cavalcata del nuovo idolo, la finanza globale, chi plaudendo felice, chi fischiando risentito: quasi nessuno si aspettava un capovolgimento delle fortune così repentino. Perché tutti, i potenti e gli umili, si trovano a che fare con degli eventi inattesi che, man mano che emergono, sono sempre più gravi. Una spiegazione, chi scrive non crede nei complotti ma nei sistemi con casualità, è che alla fine i mercati finanziari assomigliano alla pesca con la dinamite. All’inizio emergono solo i pesci piccoli, i mutui ipotecari di bassa qualità, i famigerati sub prime, e tutti sono contenti, perché si vedono dei danni contenuti. Quel che è successo da luglio ad ottobre 2007. Dalle dichiarazioni rassicuranti sul contenimento della crisi di Ben Bernanke, il governatore della banca centrale statunitense, all’ascesa dei prezzi delle azioni fino ad ottobre, questo era il punto di vista della maggioranza. Poi emergono i pesci grossi, le finanziarie che avevano comperato i mutui impacchettati sotto forma d’obbligazioni, chi si trovano con delle attività che valgono meno. Quello che è successo da ottobre 2007 a settembre 2008. Ecco allora gli interventi della banca centrale statunitense, a gennaio, quando la banca francese Sociètè Gènerale entra in crisi, a marzo, quando fallisce la banca statunitense Bear Stearns, a settembre, quando sono salvate le società che finanziano i mutui ipotecari, Fannie Mae e Freddie Mac, poi quando è lasciata fallire la banca Lehman, e quando è salvata la società d’assicurazione AIG. Alla fine emergono quelli grossissimi, il modello di crescita trainato dai consumi delle famiglie, a sua volta alimentato dalla crescita dei prezzi degli immobili. Con l’arrivo di questi ultimi, le balene, si apre la porta agli interventi pubblici, proprio quello che sta succedendo in queste settimane.
 
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La crisi del modello di crescita basato sul debito è una crisi organizzativa
 
Da una parte i liberisti, la prima via, dall’altra gli statalisti, la seconda via, e in mezzo i fautori dell’economia mista, la terza via. Sono gli schieramenti classici, e tutti sentono il profumo delle cose dette e ridette. Gli effetti dei tre sistemi sono quelli che la tradizione ci ha consegnato. Il liberismo favorisce le innovazioni, e piace soprattutto ai ricchi, lo statalismo l’eguaglianza, e piace soprattutto ai poveri, l’economia mista genera non troppe innovazioni e non troppa ineguaglianza, e quindi piace a chi ha la testa sulle spalle. Sembra tutto chiaro, ma ... La crisi è scoppiata perché i massimi dirigenti delle finanziarie non capivano che cosa combinavano i sottoposti che impacchettavano i mutui. Questi ultimi, avendo un bonus fatto in modo che, se le cose andavano bene diventavano ricchi, se andavano male al massimo perdevano il posto di lavoro, erano incentivati a prendere rischi. I “cattivi” sono i sottoposti. I massimi dirigenti di loro mettevano il desiderio di dirigere banche poco capitalizzate. Il profitto che si produce con una leva finanziaria alta è, infatti, maggiore di quello che si produce con una leva bassa, ma è anche molto più rischioso. Di nuovo, producendo dei redditi cospicui grazie alla leva, il profitto diventava massimo, le azioni salivano e quindi le opzioni diventavano grasse. I “cattivi” diventano i sottoposti ed anche i capi. Chi doveva per ruolo essere prudente, e quindi controllare il rischio della leva, chi doveva ragionare sul lungo termine e non sul “malloppo subito”, non riusciva ad esserlo: i milioni di azionisti dispersi non avevano alcun controllo sulle imprese che, almeno sulla carta, erano loro. Gli azionisti non controllavano i capi che non controllavano i sottoposti. Nessuno controllava nessuno, ed il sistema aveva solo degli incentivi di breve termine. In conclusione, tutti erano “cattivi”. La crisi ha quindi a che fare non con l’economia di mercato per sé, ma con le strutture proprietarie e con quelle di controllo. Una soluzione è di instaurare dei meccanismi di controllo, che sostituiscano gli azionisti imbelli. Il controllo, lungo la catena di comando, passa con i regolamenti e non più solo con la partecipazione, che abbiamo visto essere evanescente, della proprietà. Quella in corso è quindi una “crisi organizzativa” del capitalismo. Attenzione a non confondere il capitalismo per sé con le strutture proprietarie delle grandi imprese.
 
(Le grandi imprese se non incorporano le innovazioni sono delle palle al piede. Se si fanno i conti sulle imprese statunitensi dal 1970 al 2000, si vede che quelle che non hanno incorporato l’informatica non sono cresciute. La capitalizzazione di borsa delle grandi imprese non innovative è stata circa pari alla crescita del reddito nazionale. Sono cresciute abbastanza più del reddito nazionale le grandi imprese che hanno incorporato le innovazioni. Sono cresciute moltissimo quelle che hanno portato avanti le innovazioni, dalla metà degli anni settanta fino al picco del 2000. Abbiamo avuto venti anni di crescita di borsa, e soprattutto di crescita dell’economia reale, trainati dalle imprese innovative, che erano dei microbi che hanno infettato tutto. Quindi la crescita è dovuta alle nuove imprese, quelle che promuovono la “distruzione creatrice”. Purtroppo non possiamo sapere in partenza chi vince e chi perde, né fra le grandi imprese, né fra le piccole imprese. Chi ha fatto bene i conti non ha trovato una relazione significativa fra il “prima” ed il “dopo”, che dipenda da variabili obiettive, come la crescita del fatturato, il profitto e via elencando. Dunque abbiamo a che fare con un processo dinamico in buona parte non prevedibile che scompagina il mondo, ma alla fine lo migliora).