Questa settimana scriviamo su Wagoner, la prima vittima eccellente dei piani di salvataggio in corso. Al solito, trovate i link per gli approfondimenti.

 

Rick Wagoner è la prima vittima ufficiale della rabbia populista (1) e delle concessioni inevitabili dei governi. La piazza e le casse vuote sono un connubio insostenibile. Così l’Amministrazione americana ha deciso di sacrificare il manager di General Motors, il primo a essere direttamente licenziato da Washington in nome di una riorganizzazione seria della casa automobilistica. Poiché GM non sta in piedi senza i soldi del governo, quest'ultimo interviene nelle decisioni strategiche del gruppo. Il ragionamento non fa una piega, ovviamente, se non fosse che l’Amministrazione si è ribellata (goffamente) alla nazionalizzazione delle banche per non dover intervenire direttamente nella governance degli istituti di credito, e poi però chiede le dimissioni del capo di un’azienda privata (2). A consolazione ci sono le parole del ministro del Tesoro, Tim Geithner, che «non esclude» altre «rimozioni d’amministratori delegati».
 

Certo, i margini di manovra in un settore come quello automobilistico sono molto ridotti. È un settore più che maturo, con gravi problemi strutturali. A Detroit, poi, la situazione è ancora più complessa: dalle sorti del comparto automobilistico dipende la stabilità di uno stato intero, il Michigan, con evidenti conseguenze politiche (3). Perciò Obama, accusato di compiacenza nei confronti dei banchieri, è stato fermo nei confronti di GM e Chrysler: via il management della prima, accordo «obbligatorio» con Fiat per la seconda.

 

Per GM potrebbe non essere sufficiente: le voci sulla sua bancarotta si fanno sempre più insistenti, assieme a quelle sullo «spezzatino» dell’azienda. Di tante e tali povere prestazioni Wagoner è, naturalmente, il responsabile. Secondo Forbes, avrebbe dovuto lasciare nel 2004, perché fino ad allora le sue performance erano state di tutto rispetto. Nato e cresciuto dentro GM, Wagoner era stato scelto (proprio come Bob Nardelli a Chrysler) per portare «aria fresca». Nel 2003, grazie al taglio dei costi (metà del personale licenziato e 12 fabbriche chiuse in Nordamerica), alla modernizzazione degli impianti e al miglioramento della qualità, la quota di mercato di GM era cresciuta. L’azienda faceva profitti, quattro miliardi l’anno, mentre negli anni Novanta le perdite erano arrivate fino a 30 miliardi di dollari. Poi la situazione ha cominciato a precipitare. 

 

L’«Economist», a dicembre, commentando «l’umiliazione» del salvataggio governativo di 15 miliardi di dollari, subordinato a una ristrutturazione da presentare al vaglio di Washington, scriveva: «È straordinario che Wagoner abbia ancora un lavoro. Nei suoi otto anni da amministratore delegato, le azioni di GM sono scese da 75 a 3 dollari [a novembre scorso, n.d.r.]. Negli ultimi quattro anni, l’azienda ha perso almeno 75 miliardi di dollari».

Il mercato automobilistico si è deteriorato prima gradualmente e poi velocemente, assieme al potere d’acquisto della classe media, e la reazione di Wagoner non è stata incisiva. Tutti ricordano con sospiri di nostalgia il leggendario capo di GM, Alfred Sloan, l’artefice della compagnia come la conosciamo oggi, ma nessuno sottolinea che lui arrivò in uno dei momenti più cupi della storia dell’azienda, quando, negli anni Venti, era a un passo dal fallimento. Proprio come oggi. Sloan però prese decisioni rapide e corrette, l’attuale management no.
 
Ora che tocca all’Amministrazione statunitense scrivere la road map per il salvataggio di un’industria come quell’automobilistica (4), mette conto ricordare che cosa scriveva Ernest Hemingway in Fiesta: «Come sei finito in bancarotta? Prima gradualmente, poi all’improvviso».



(1) Una «fuga di notizie» rende bene il clima di questi ultimi tempi. Obama pare che abbia detto alla riunione con i banchieri alla Casa Bianca, dove è stata servita solo dell'acqua e senza il ghiaccio che normalmente la accompagna, che questi ultimi senza il Governo sarebbero inseguiti col forcone («My administration,» the president added, «is the only thing between you and the pitchforks»):

http://www.politico.com/news/stories/0409/20871.html

(2) Per una difesa dei «due pesi e due misure» dell’Amministrazione:

http://www.newyorker.com/online/blogs/jamessurowiecki/2009/03/the-automakers.html  


(3) Circa le pressioni politiche e culturali sull’Amministrazione:

 

http://www.centroeinaudi.it/notizie/gm-=-goverment-motors.html


(4) Per lo scenario: quello estremo simula l’impatto della scomparsa dell’industria automobilistica statunitense. Sono 3,3 milioni di posti di lavoro in meno e un maggior deficit della bilancia commerciale, pari a 100 miliardi di dollari, dovuto all’importazione delle automobili non più prodotte internamente:

http://mba.yale.edu/faculty/pdf/Bagley_GregGoodnight.pdf