Questa settimana si parla del prossimo G20. Al solito, trovate le note e i link.


«Sono partito con grandi speranze e sono arrivato con le mani vuote». Così disse Cordell Hull, il segretario di stato di Franklin Delano Roosevelt, a capo della delegazione americana alla Conferenza di Londra del giugno del 1933. Era il G20 di allora – e, poiché nulla è per caso, il 2 aprile del 2009 il G20 si terrà a Londra –, il consesso internazionale in cui la politica avrebbe dovuto trovare una soluzione alla crisi economica. Dopo un mese di lavoro, la Conferenza di Londra si chiuse con qualche accordo minore, un disastro diplomatico evitato e un aggiornamento dei lavori sine die. A boicottare l’incontro fu lo stesso Roosevelt, che, molto più preoccupato di sistemare la situazione interna americana, non scese ad alcun compromesso con il resto del mondo.
 
Allora si parlò di nazionalismo economico. Più di settant’anni dopo, eccoci di nuovo (1). È il primo G20 di Barack Obama, e le aspettative (soprattutto europee) sono alte. Ma le divisioni sono enormi. Lawrence Summers, capo degli economisti della Casa Bianca, ha detto agli europei: spendete, spendete, spendete. Cioè ha chiesto di adottare lo stesso modello americano: combattere la crisi con grandi investimenti pubblici, al rigore fiscale ci si penserà domani (2).
 
L’Europa invece punta tutto sulle regole: spera di uscire dal G20 con un bel pacchetto di regolamentazione per governare meglio i mercati. Ma, nel dettaglio, non sa bene di che regole dotarsi. Comunque sia, di spendere non ne ha tutta questa voglia, fatta eccezione per la Gran Bretagna, che ormai ha speso praticamente tutto quel che aveva (3). L’ospite del G20, il premier inglese Gordon Brown, è il più acciaccato dei leader che si riuniranno a Londra: secondo «Foreign Policy», è «un morto che cammina». La disoccupazione britannica è schizzata a livelli che non si vedevano dalla fine degli anni Ottanta, le principali banche sono pressoché nazionalizzate, lo stesso Brown ha recitato un fatale mea culpa (4). Se all’ultimo G20, a Washington nel novembre scorso, la «ricetta Brown» sembrava quella vittoriosa, all’appuntamento odierno il premier inglese pare prigioniero dei suoi stessi errori. Gli altri paesi europei non vogliono troppo entrare nel merito delle ricette giuste o sbagliate: vogliono fare come pare a loro, ognuno a modo suo. Così la Francia di Nicolas Sarkozy rinnova la sua vocazione nazionalista, mentre la Germania di Angela Merkel – ormai in campagna elettorale – spende con molta cautela. Spagna e Italia un po’ si assomigliano – i premier sono ottimisti, i ministri del Tesoro meno – e si muovono con circospezione, i loro margini di manovra sono ridotti.
 
L’unica battaglia che accomuna a parole un po’ tutti è quella contro il protezionismo. Ma è appunto una facciata. Il Congresso statunitense avrebbe voluto inserire un buy american nel pacchetto di stimolo approvato a febbraio: Obama ha insistito per toglierlo, ma i dati parlano di un buy american ormai operativo di fatto, basti pensare che gli istituti di credito statunitensi non possono più – dal piano di salvataggio di settembre – assumere personale straniero. Per di più l’Amministrazione americana ha segnalato il suo disimpegno nelle trattative del round di Doha sul commercio internazionale e la volontà di imporre clausole sociali e ambientali agli accordi commerciali. Per tutta risposta, Bruxelles ha alzato le barriere ai biocarburanti americani.
 
Europa e America, dunque, hanno poco su cui mettersi d’accordo. Restano le economie emergenti, soprattutto la Cina. Secondo un’analisi reportage del «New York Times», Pechino sta uscendo ancora più forte dalla crisi, nonostante la Banca mondiale abbia abbassato le previsioni sulla sua crescita. Comunque vada, vinceranno i vari, diversissimi nazionalismi economici.
 

(1) Se si sposta il cursore prima su «overview» e poi sulla bandiera nazionale si hanno le informazioni per paese: che cosa questo propone e gli istogrammi sugli andamenti economici. Se si sposta il cursore su «priorities» e si scelgono dei temi, compaiono i paesi interessati:

http://www.ft.com/cms/s/0/e39aacb6-0e49-11de-b099-0000779fd2ac.html

(2) Spendere ora per salvarsi e poi pensarci sembra essere la scelta statunitense. Il tema è stato affrontato diverse volte:

http://www.centroeinaudi.it/commenti/è-la-dismisura-che-bisogna-spegnere-o-l’-incendio.html http://www.centroeinaudi.it/notizie/il-programma-di-obama.html
http://www.centroeinaudi.it/notizie/il-bottone-rosso-è-stato-premuto.html

(3) Il punto di vista del Fondo Monetario sulla Gran Bretagna:
http://www.ft.com/cms/s/0/5b09bc82-146d-11de-8cd1-0000779fd2ac.html

(4) Per un'impietosa demolizione del mea culpa di Gordon Brown:
http://stumblingandmumbling.typepad.com/stumbling_and_mumbling/