Da quello che si è capito e letto, tramite la filiale estone della principale banca danese, Danske Bank, sono transitati illegalmente qualcosa come 200 miliardi di euro, importo corrispondente a circa dieci volte il PIL dell’Estonia e due terzi il PIL della Danimarca.
Questa enorme lavatrice d’illeciti guadagni non ha sciacquato i panni per qualche giorno o mese per poi chiudere velocemente i battenti, ma è stata avviata nel 2007 tramite l’acquisizione della filiale estone della banca finlandese Sampo Bank, ed ha proseguito la sua brillante, è il caso di dirlo, attività senza intoppi per otto anni, fino al 2015.
Sempre raccogliendo informazioni qua e là, la vicenda è emersa per le rivelazioni di un cosiddetto whistleblowerb - una gola profonda - inglese mentre l’operatività vera e proprio sembra abbia goduto dell’appoggio di altre due prestigiose banche, ovvero JP Morgan e Deutsche Bank. Insomma, sembra che non ci si sia fatti mancare nulla.
Questa torbida vicenda rischia di essere quasi più noiosa che sconcertante. La Danimarca appartiene all’Unione europea, ma ha mantenuto la sua valuta, la corona danese, e quindi non è coinvolta negli ingranaggi dell’euro. Ovviamente il puritanesimo nordico esprime nelle forme più classiche la desolazione e il rammarico per quanto accaduto ma, purtroppo, non può neanche avocare il merito della velocità di soluzione del problema, classico vanto rispetto a sistemi meno efficienti e trasparenti, anche perché senza il contributo dell’informatore la lavatrice forse sarebbe ancora attiva.
Si aggiunga a ciò la visione politica dell’accaduto delle autorità danesi che, come riportato (*), sembrano propensi a rimandare all’Unione Europea, al Parlamento Europeo e alla Commissione Speciale per le Banche europea la valutazione del più ampio problema dell’antiriciclaggio. Per il momento sembra che la Banca Centrale Europea, che già ha una potenzialità limitata rispetto ad altre banche centrali compresa quella danese, non sia stata coinvolta, anche perché, per quel che ci risulta, non è titolare della solvibilità della corona danese.
In ogni caso la Danimarca ha una banca centrale pienamente operativa che svolge i compiti di emissione di moneta nazionale, di vigilanza e di prestatore di ultima istanza, oltre alla sua autonoma politica monetaria tramite le gestione dei tassi e degli altri strumenti dedicati, a meno di smentita. Questa vicenda è, come già detto, più noiosa che sconcertante perché mostra per la milionesima volta la fragilità di un sistema bancario europeo non adeguatamente regolato.
Ciò che stupisce è la facilità con cui altri paesi, come la Danimarca, riescano a far notare la loro incapacità anche solo a vigilare sulla loro unica grande banca, mentre le legittime e non sospette richieste nostrane in tema di unione bancaria sono difficilmente apprezzate e ascoltate sempre con un certo fastidio. In ogni caso possiamo solo augurarci che questo episodio possa essere da volano per una più decisa e risolutiva direzione di marcia verso quell’integrazione bancaria più volte auspicata e forse aspetto più centrale di altri delle difficoltà che l’Europa sta attraversando.
(*) https://formiche.net/2018/11/lo-scandalo-danske-bank/
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