Da quando è iniziata la crisi economica è stato più volte osservato che non esiste solo il debito pubblico, ma anche quello privato, ed entrambi concorrono a determinare la solidità finanziaria di un «sistema paese». Negli Stati Uniti, a essere particolarmente indebitate erano le famiglie, e quell’eccesso di indebitamento è stato all’origine della crisi. In Europa, a essere indebitati (ma in prospettiva anche gli Stati Uniti potrebbero andare incontro a situazioni critiche) erano i governi; e infatti i titoli legati al debito sovrano sono entrati sotto scacco in questa seconda fase della crisi. Eppure, si dice, alcuni paesi compensano l’elevato indebitamento pubblico con un basso indebitamento privato. L’argomento è stato avanzato dal governo italiano anche negli scorsi giorni per giustificare un metro di giudizio più lasco nel giudicare la potenziale insostenibilità del debito italiano. Nonostante un debito pubblico secondo, tra i paesi avanzati, solo a quello giapponese e greco, l’Italia ha un debito complessivo inferiore alla media grazie al basso indebitamento del settore privato. Quindi, se le virtù private fanno somma con i vizi pubblici, l’Italia si trova in una condizione assolutamente sostenibile. 

È proprio così? Da un punto di vista macro-economico, effettivamente, il grado di indebitamento complessivo ha una sua rilevanza. Un’identità contabile fondamentale della macro-economia ci dice infatti che: (S-I) + (T-G) = (X-Z), laddove S=Risparmio privato, I=Investimenti, T=Tassazione, G=Spesa pubblica, X=Esportazioni, Z=Importazioni. In termini molto approssimativi, se un paese esporta di più di quello che importa (X>Z) significa che, nel suo complesso, sta risparmiando. Viceversa, se le importazioni superano le esportazioni (X<Z) sta vivendo al di sopra delle proprie possibilità e sta pertanto indebitandosi.
 
È ovvio che, nel lungo periodo, un paese non può avere sempre risparmi negativi (a meno che qualche stato estero «buon samaritano» sia disponibile a prestare risorse all’infinito consumando per sempre al di sotto delle proprie possibilità). Ciò detto, è evidente dalla formula che, a fronte di un settore pubblico particolarmente «spendaccione» aiuta, per mantenere una stabilità macro-economica complessiva, avere un settore privato più virtuoso. Fin qui gli aspetti macro-economici.

Ma passando a un aspetto più strettamente di «finanza pubblica», valgono ragionamenti simili? Solo in parte.

Lo stato è un soggetto diverso dai privati; e deve onorare il proprio debito. Se emergono dubbi sulla solvibilità di un governo, gli investitori chiedono interessi sul debito più elevati, come sta succedendo in questo momento con l’aumento dello spread verso i titoli tedeschi per molti paesi meno virtuosi della Germania. Il fatto di avere un elevato risparmio (interno) privato può essere un fattore rilevante nella valutazione della solidità finanziaria di un governo solo a certe condizioni, e con molti caveat.

Innanzitutto, potrebbe essere più semplice chiedere ai risparmiatori (e alle istituzioni finanziarie domestiche) uno sforzo aggiuntivo nella sottoscrizione di debito pubblico nazionale. Ma viene difficile pensare che, in mercati dei capitali competitivi, i risparmiatori siano disposti a prestare soldi a tassi inferiori a quelli di mercato al proprio governo solo per ragioni patriottiche.

In secondo luogo, è meno costoso, da un punto di vista politico, affrontare eventuali situazioni di default o ristrutturazione del debito (o di svalutazione tramite inflazione, che poi è la stessa cosa) se questo è detenuto dai propri cittadini. Quello che spaventa nel caso greco è l’elevato ammontare di debito detenuto dalle istituzioni finanziarie internazionali, e tedesche soprattutto. Anche questo argomento è, però, molto debole. Un debito detenuto prevalentemente da investitori interni è meno rischioso dal punto di vista dei mercati internazionali, perché in caso di default le ripercussioni vengono circoscritte soprattutto all’interno del paese stesso. Ma un eventuale default o ristrutturazione avrebbe gli stessi effetti in termini di credibilità futura del creditore nei confronti degli investitori internazionali.

Infine, è vero che a fronte di un elevato risparmio interno può essere più facile per un governo fare ricorso a prelievi forzosi per far fronte a crescenti fabbisogni finanziari. Occorre però considerare che è il debito in rapporto al Pil a essere rilevante. Se si dovesse ricorrere a un aumento della tassazione per ripagare un debito non più sotto controllo, si potrebbe dare quel colpo mortale a qualsiasi velleità di ripresa di un sentiero di crescita sostenuto e pertanto peggiorare proprio quel rapporto debito/Pil che invece occorre in ogni modo limitare.

Un basso debito interno può sicuramente rappresentare un aspetto virtuoso, in certe circostanze, ma occorre essere molto cauti nel considerare debito pubblico e privato di una nazione come complementari tra loro. Vizi pubblici e virtù private non si sommano poi in modo così perfetto.