La Cina è sulle “prime pagine”, da molto tempo come sfidante la supremazia statunitense, e da qualche giorno come fagocitante il Bel Paese attraverso la cosiddetta “Via della seta”. La Cina ha imboccato davvero un sentiero di ascesa irrefrenabile? E qual è la politica più conveniente per il Bel Paese. Per evitare un testo troppo lungo si esporranno delle tesi senza troppo sottilizzare. Nei link sono richiamate le sottigliezze necessarie.
1 – Una nuova guerra fredda?
La guerra commerciale degli Stati Uniti con la Cina – tralasciando il peso effettivo delle tariffe, ma guardando solo l'aspetto politico - ha segnato la fine dell'epoca in cui entrambe le parti potevano credere che il commercio e gli investimenti fossero una sorta di territorio neutrale che poteva essere tenuto separato da ogni rivalità strategica. Allo stesso tempo, l'ambizione cinese di portare avanti la Via della seta ha alimentato negli Stati Uniti il timore che l'Impero di Mezzo stia ascendendo al grande potere. Se, infatti, la Via della seta si materializzerà, con ciò collegando l'intero continente eurasiatico alla Cina, verrà minata l'importanza dei collegamenti transatlantici, o, per dirla diversamente, della supremazia marina degli Stati Uniti. Intanto per complicare le cose si ha la sfida tecnologica della Cina – la vicenda di Hawaii. Si ha così la sfida delle infrastrutture e quella della tecnologia. Il primo caso mette in imbarazzo il potere “talassocratico” degli Stati Uniti, il secondo i sistemi di sicurezza militare, semmai gli alleati degli Stati Uniti usassero la tecnologia cinese.
Ma la Cina è davvero una vera potenza emergente capace di sfidare gli Stati Uniti? L'implicazione della risposta è della massima importanza: se la Cina non è una vera potenza emergente – come fu la Germania guglielmina e poi quella nazional-socialista, allora non ha senso uno scontro esistenziale, perché, per contenerla, dovrebbe bastare una maggior presenza politica e militare statunitense in Asia e poche altre cose, come frenare la costruzione della “via della seta” e bloccare la diffusione della tecnologia cinese di alto livello.
L'argomentazione che sostiene che la Cina non è una potenza che possa convivere alla pari o addirittura detronizzare gli Stati Uniti è poco diffusa – i media preferiscono, infatti, agitare lo spauracchio cinese invece di analizzare le cose – è in breve questa:
- Domina l'idea che la crescita “inesorabile” del PIL cinese porti alla potenza. Si ritiene – altrimenti detto - che la crescita del PIL sia la “levatrice dell'ascesa di potenza”. Ciò che è intuitivo, ma non è granché dimostrabile, se si osservano le esperienze storiche. Il PIL di un Paese con una massa sterminata di contadini – come la Cina - non porta a diventare una grande potenza, perché questi producono molto – in genere con una produttività molto bassa, ma consumano anche molto, e quindi non producono abbastanza risorse per gli scopi di proiezione di potenza economica e militare all'estero. Detto in linguaggio economico, una potenza è tale quando estrae dall'agricoltura un surplus “netto” consistente – ossia, quando avanza “molto” una volta che i contadini siano alimentati a sufficienza e le sementi per riprodurre il raccolto accantonate, non quando un Paese produce molto, ma ha un surplus netto modesto. Passando all'industria, e tenendo di nuovo conto non della produzione assoluta, ma di quella per addetto – alias la produttività, osserviamo un grande divario fra la Cina e gli Stati Uniti. Le imprese cinesi usano, infatti, più capitale e molto più lavoro di quelle statunitensi per produrre una quantità eguale di merci.
- Passando alla parte militare, gli Stati Uniti confinano con due oceani e con due Paesi di assai modesto peso militare, come il Canada e il Messico. La Cina, invece, confina oppure è vicina a ben diciannove Paesi, alcuni di un certo peso militare. La difesa delle sole frontiere – a differenza di quanto avviene negli Stati Uniti - impegna un terzo della spesa militare cinese.
- Per fotografare l'arretratezza di una parte cospicua della Cina (di cui abbiamo fatto cenno prima) basta una mappa notturna. Come si vede, la costa cinese è illuminata, il resto del Paese poco o niente. Abbiamo così due cine. Quella arretrata non è modesta cosa, anzi, e sembra molto difficile che possa svilupparsi nel medio periodo. Insomma e di nuovo, la CIna prima di diventare una potenza in grado di sfidare gli Stati Uniti avrà bisogno di tempo.
2 – Un totalitarismo in “salsa cinese”?
Abbiamo una discontinuità. Xi Jinping si è allontanato dal processo decisionale basato sul consenso di Deng Xiaoping ed ha consolidato il suo potere. Xi ha accentuato l'ingerenza del Partito Comunista Cinese (PCC) nella vita politica ed economica, limitando l'influenza delle idee straniere e della concorrenza. Non solo, ha anche abbandonato la politica estera di basso profilo in favore di una politica ambiziosa ed espansiva. La concentrazione del potere nelle mani di una sola persona è stato lo strumento messo in atto. Xi, infatti, ha eliminato il limite dei due termini per la carica presidenziale, mentre ha mantenuto quella di segretario generale del PCC, e di presidente della Commissione Militare Centrale. Come accade in questi casi, è spontaneamente (sic) emerso il “culto della personalità”: decine di università hanno tosto creato dei dipartimenti dedicati allo studio del pensiero di Xi Jinping.
Il PCC ha istituito dei comitati di partito all'interno di due terzi delle imprese per garantire che esse promuovano gli interessi dello stato. Le imprese e i governi stranieri hanno così una minor fiducia che un'azienda cinese – e persino un gigante come Huawei - possa resistere a una direttiva PCC. Un fenomeno non dissimile si osserva nel caso della Via della seta. Molte delle imprese statali che guidano i progetti stanno pericolosamente aumentando il loro rapporto debito / patrimonio per soddisfare le ambizioni del PCC.
3 – Quale debolezza dell'economia cinese (e russa)?
Ancora oggi sono numerosi quelli che subiscono il fascino delle economie dirette dallo stato. Nel caso della Cina i tassi di crescita sono trainati dagli investimenti soprattutto in infrastrutture. Distinguere fra le economie trainate dalle infrastrutture sotto il diretto intervento statale e le economie trainate dagli investimenti privati e dai consumi è essenziale. Rivolgiamoci a uno dei classici del liberalismo, a Ludwig von Mises. Costui sosteneva che l'errore degli economisti socialisti era quello di non capire che si potevano sostituire – come funzione organizzativa ed esecutiva - i manager del capitalismo con quelli del socialismo, ma che non si potevano sostituire gli imprenditori. Questi ultimi, infatti, svolgono un altro compito, che è quello di innovare seguendo un sistema di informazioni decentralizzato. Perciò le infrastrutture come tali non richiedono quell'attività imprenditoriale diffusa tipica del capitalismo. Le infrastrutture possono essere costruite a partire dalla decisione del settore pubblico – come fu fatto a suo tempo - e con successo - dall'IRI.
Nel caso cinese abbiamo ancora un'economia trainata dalle infrastrutture il cui ampliamento ormai “mostra la corda”. Infatti, si ha un limite alla costruzione di infrastrutture e di nuove città. Un limite di domanda che diventa un limite finanziario. Man mano che sono costruite nuove infrastrutture il rendimento scende. Si immagini una quarta corsia di autostrada aggiunta alla terza con un numero di veicoli in transito più o meno invariato, intanto che il finanziamento fatto a debito “morde”, perché gli introiti da pedaggi non sono aumentati, mentre il debito è aumentato.
Naturalmente si possono avere dei rimbalzi “congiunturali”, ma il modello di sviluppo cinese prima o poi andrà cambiato. A meno … di riaprire il ciclo delle infrastrutture costruendo la Via della seta.
Da qualche anno l'economia russa è ferma. E lo è per ragioni “esogene”. La caduta del prezzo del petrolio, che dipende dai mercati internazionali, e l'effetto delle sanzioni sui finanziamenti internazionali alle sue imprese, che sono dipesi dagli sviluppi della crisi ucraina. Il prezzo del petrolio è caduto da oltre cento dollari al barile fino a circa trenta, ma è poi risalito fino ai sessanta dollari e oltre. Questa ripresa ha reso meno stringente il vincolo estero (la Russia esporta essenzialmente idrocarburi) e quello del bilancio dello stato (una parte cospicua degli introiti statali traggono origine dagli idrocarburi). Abbiamo alla fine dei vincoli meno stringenti, ma le entrate da idrocarburi non sono più copiose come in passato, né mostrano segni di poterlo diventare.
All'economia ferma per le succitate ragioni ”esogene” è seguita la stretta della spesa pubblica per ragioni “endogene”. La riforma delle pensioni è dovuta, come in ogni Paese che registra un progressivo invecchiamento della popolazione, ma ciò ha deluso chi contava di andare in pensione cinque anni prima – per gli uomini a sessanta anni e non a sessantacinque. Prontamente il governo ha promesso di alzare la spesa sociale, ma i suo ammontare diviso per la popolazione è ben poca cosa. Più precisamente l'ammontare di spesa sociale promesso è pari a un decimo dei profitti annuali di Gazprom.
Insomma, il ciclo “putiniano” che ha cavalcato l'esplosione del prezzo dei petrolio per quindici anni fino al 2014 - il ciclo delle "vacche grasse", sembra essersi concluso, come peraltro affermato dalla stessa Banca Centrale russa. E non si vede quali altri motori - oltre agli idrocarburi - potrebbero emergere per spingere l'economia russa.
4 – L'Impero di Mezzo e il Bel Paese, quale accordo?
Ecco l'ultimo tormentone. I cinesi vogliono ampliare i propri tentacoli attraverso la Via della seta, un progetto che offrono al Bel Paese affamato di investimenti in infrastrutture – in particolare dopo quanto emerso con il ponte di Genova e la TAV.
L'argomento della Via della seta si presta alla polemica politica grazie a questo schema. Si hanno due potenze che da Oriente vogliono espandersi a danno dell'Occidente. La Cina e la Russia vogliono entrare nella cittadella dell'Unione Europea. La prima (solo?) per ragioni economiche, la seconda per ragioni “geo-politiche”. La Russia vuole, infatti, ampliare la cintura a sua difesa, una cintura - i Paesi dell'Est e l'Ucraina - persa con il disfacimento dell'Urss.
Chi è al governo e cerca dei nuovi partner a Oriente, viene accusato di ingenuità - ossia di prestarsi a diventare un "cavallo di Troia". Chi è all'opposizione in breve accusa chi è a governo di tradimento delle alleanze sorte dopo la guerra. Ma ecco che è subito accusato da chi è al governo di mancanza di “vis sovrana”.
Si può pensare a una “terza via” fra atlantismo e revisionismo? Siamo sicuri che l'ambiguità in politica estera sia necessariamente un male per il Bel Paese? Non sarebbe peraltro la prima volta che - per rafforzare il proprio modesto peso nell'arena internazionale - l'Italia abbia “giocato di sponda”. L’Italia della Prima Repubblica ha, infatti, vissuto sotto l'ombrello militare della Nato ed economico della Cee, avendo un qualche potere negoziale grazie a tre “rendite di posizione”: Paese cerniera fra Ovest ed Est, Paese ospitante il centro della massima confessione cristiana, Paese che esprimeva il maggior partito comunista fuori dai Paesi socialisti, con quest'ultimo che era un mezzo di scambio non spregevole al tavolo delle trattative con gli alleati.
5 - Nota a margine: quali surplus cinesi?
Un altro tormentone, ma questa volta globale, è quello dei surplus cinesi. I cinesi vendono molto e comprano poco, proprio come la Germania, l'altra famigerata potenza "mercantiista". La Cina e la Germania sono nel mirino di Donald Trump per questa ragione, eppure nessun va a guardare coe stanno per davvero le cose. Il gran surplus commerciale cinese esiste, se si osserva la bilancia commerciale, quella che registra gli scambi di merci. La bilancia commerciale non misura tutto lo scambio fra Paesi, perchè si deve tener conto anche del turismo, del saldo finanziario, e così via. Facendo tutti i conti - ossia osservando la bilancia dei pagamenti correnti, la Cina non ha più un gran surplus. Avevamo segnalato questo aspetto della vicenda cinese mesi fa, ed ora lo trovate sull'ultimo The Economist nientemeno che fra gli editoriali.
Che cosa è successo? Dieci anni fa i cinesi non viaggiavano e gli utili generati in Cina di pertinenza estera era modesti. Da qualche anno, invece, i cinesi viaggiano e gli utili dell'estero sono diventati più consistenti. Di conseguenza, la bilancia commerciale cinese, che è rimasta attiva, riduce il proprio peso finale per effetto delle voci "servizi ed altro". La bilancia dei pagamenti correnti cinese, che salda tutte le voci, si sta così avviando al pareggio. Ergo, non è la Cina che è meno competitiva, ma sono i cinesi finalmente liberi di viaggiare (anche perché ormai sufficientemente ricchi) che stanno spegnendo il cospicuo avanzo estero dell'Impero di Mezzo nel campo dei beni reali.
6 - Approfondimenti
Una nuova guerra fredda?
https://www.ft.com/content/35accdc0-43de-11e9-a965-23d669740bfb
Un totalitarismo in salsa cinese?
https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2019-03-06/problem-xis-china-model
Quale debolezza dell'economia cinese (e russa)?
https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2019-03-11/whats-causing-chinas-economic-slowdown
https://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/3514-la-cina-%C3%A8-una-tigre-di-carta.html
https://www.ft.com/content/c085c2e4-4235-11e9-b168-96a37d002cd3
https://www.youtube.com/watch?v=b1evSP36Qvo
https://www.cbr.ru/Collection/Collection/File/14170/2018_04_ddcp_e.pdf
L'Impero di Mezzo e il Bel Paese, quale accordo?
http://www.limesonline.com/cartaceo/pechino-cerca-roma-meglio-non-perdere-lultimo-treno
http://www.limesonline.com/cartaceo/perche-non-possiamo-non-dirci-italiani
Nota a margine: quali surplus cinesi?
© Riproduzione riservata