Il terzo filone del ragionamento deve obbligatoriamente investire un aspetto oggi particolarmente rilevante e delicato ovvero il ruolo della classificazione del debito (c.d. rating) peraltro così cruciale nella costruzione delle basi della crisi finanziaria. Il rating è ovviamente una componete dell’offerta, e in quanto tale colpevole, ma necessita di alcune considerazioni.

Rating

Come si può notare, in questo tipo di valutazioni abbiamo quasi completamente evitato di utilizzare supporti numerici e grafici, non volendo dimostrare nulla ma solo sollecitare qualche riflessione. Ad esempio, l’espansione del ruolo delle società di rating (in Italia presenti dalla fine degli anni ’80) ha permesso la forte crescita del mercato delle emissioni societarie e governative al di fuori dei confini nazionali. Infatti, gli emittenti societari hanno potuto finanziarsi sul mercato degli eurobonds solo grazie alla adesione al meccanismo di classificazione offerto dai fornitori di rating (tramite pagamento di sostanziosa parcella).

Dovremmo verificare il grado di soddisfazione della domanda di rating da parte degli emittenti rispetto all’insoddisfazione oggi evidente rispetto alle conseguenze di questo meccanismo. Peraltro, nonostante le evidenti falle dei meccanismi di rating (Lehman Brothers, Royal Bank of Scotland, ecc.) non sembra ci siano segnali di abbandono da parte degli emittenti societari della richiesta di attribuzione di rating mentre appare sempre più evidente (Rating peggiori, Tassi migliori/I e II, Lettera Economica) che l’attività di rating ha una funzione esclusivamente consuntiva e mai preventiva o tantomeno previsionale.

La globalizzazione è un meccanismo che rende la comunicazione orizzontalmente disponibile mentre la salvaguardia di luoghi non globalizzabili e più tutelati, se diventa una necessità, obbliga ad una maggiore capacità di affidamento locale per evitare di essere distorti sia dall’offerta che dalla domanda e da qualunque parte essa provenga. Un esempio lampante di questo fenomeno è la drastica riduzione della quota di debito pubblico italiano detenuta all’estero, passata in pochi mesi da oltre la metà a quasi un terzo (recente audizione del Direttore Generale di Banca d’Italia F. Saccomanni al Parlamento Italiano).

Inoltre, il ruolo dei regolatori rischia di essere poco efficace se sbilanciato dal lato dell’offerta e meno sensibile all’intero complesso delle responsabilità e delle dinamiche. Paradossalmente, meno i regolatori intervengono sulle variabili di mercato, meglio il mercato dovrebbe comportarsi, non per autodisciplina ma per minor presenza di effetti distorsivi. Ritorniamo su un aspetto già raccontato e ancora irrisolto. I criteri EBA (European Banking Autorithy) di fissare la capienza patrimoniale delle banche (e delle assicurazioni per ciò che le compete) non hanno impedito l’esplosione del problema e non lo hanno nemmeno anticipato o prevenuto, in questo poco diversi dall’esperienza di Standard & Poors, Moody’s o Fitch. Inoltre, l’utilizzo di parametri che attribuiscono dei pesi alle singole classi di attività delle banche in funzione di valutazioni che dovrebbero essere di pertinenza dei competitori e non dei regolatori ha ulteriormente aggravato il fenomeno (“Dexia”, Lettera Economica).

E veniamo alle conclusioni. In questo percorso bisogna introdurre il concetto di asimmetrie informative. Compro un panino ma anche se non so cosa il fornaio ha messo nell’impasto quando lo assaggio decido se sono soddisfatto o meno e questo è il vantaggio del consumatore che non sa cosa contiene e come è fatto il prodotto ma solo consumandolo esprime il consenso. Diverso è se compro un tablet della cui complessità non so nulla ma, ancora una volta, lo utilizzo e decido se è adatto alla mia curva di domanda. Nel caso dei prodotti finanziari sembra esserci una distanza temporale significativa tra il momento dell’acquisto e la percezione e comprensione della soddisfazione del bene acquistato. I cui parametri di ofelimità (soddisfazione) sono forse tra i più complicati.

Anzi, forse l’aspetto più complesso dell’offerta finanziaria consiste nella scarsissima percezione del grado di soddisfazione del consumatore il che corrisponde all’affermazione che il punto di incontro tra domanda e offerta non è certamente solo il prezzo. Ma la cosa si complica perché l’offerta di servizi finanziari rischia di venire incontro alla domanda con il metodo del consenso esattamente come può fare il regolatore che difficilmente agisce sull’origine del consenso politico (i consumatori innocenti) ma interagisce con i produttori (l’offerta colpevole) con la quale è in diretta competizione nella ricerca e consolidamento delle posizioni di mercato.