L'economia al tempo del Populismo: i giovani imprenditori, la loro storia, le sfide di domani” è il titolo di un convegno della Confindustria di Lecco e Sondrio che si tiene il 21 giugno cui siamo stati invitati. Ecco le grandi linee del nostro intervento.

L'economia al tempo del Populismo è un argomento che può essere affrontato combinando due modelli, quello di uno psicologo (Daniel Kahneman) e quello di un sociologo (Wolfgang Streeck). Lo psicologo ha inventato il Sistema I e II, il sociologo lo Staatvolk e il Marktvolk. Anticipiamo le conclusioni: i populisti sono una combinazione del sistema I e dello Staatvolk, e quindi gli avversari dei populisti sono una combinazione del sistema II e dello Marktvolk. La scelta fra queste due combinazioni è complessa e spinge molti a stare "a metà del guado", come mostra l'icona dell'asino di Buridano.

Detto dei populisti e dei loro avversari nei primi quattro capoversi, passiamo poi ad una disamina delle vie d'uscita. Quella proposta è un percorso di mobilità sociale che inibisca la diffusione della mentalità della “torta che non cresce e allora va divisa”.

 

Il Sistema II e il Marktvolk

Il modello psicologico detto del Sistema II combacia con quello dell'economia. In questo caso, i comportamenti possono essere definibili “razionali”, perché si ha il “vincolo di bilancio”. In breve, non posso spendere più di quanto guadagno ora e quanto m'immagino che guadagnerò in futuro più il credito che posso ottenere, che a sua volta dipende dal mio guadagno corrente e futuro. E all'interno di quanto posso spendere, ossia all'interno del “vincolo di bilancio”, devo scegliere che cosa comprare, perché non posso avere, per quanto io possa essere ricco, tutto quello che mi viene in mente. Il sistema II, quello dell'economia, alla fine mi impone “i passi lunghi quanto la mia gamba”. Mi impone, in altre parole, pacatezza e “ragionamenti lenti”.

Il modello della sociologia emerge quando si “aggregano” i comportamenti economici dei singoli. Ecco il popolo dei mercati, il Marktvolk. E' un mondo internazionale che “vota” ogni giorno attraverso i mercati, definendo il rischio del debito pubblico. Il Marktvolk è interessato alla credibilità degli impegni finanziari dello stato. In questa combinazione troviamo gli avversari dei populisti. Perché mai? Possiamo scoprirlo per confronto con il Sistema I e lo Staatvolk.

 

Il Sistema I e lo Staatvolk

Gli umani non sono solo “razionali”, nel senso definito prima. Si ha il comportamento “intuitivo”, il più antico dal punto di vista evolutivo, che genera il panico, l'euforia, la simpatia, il disgusto. E questo è il Sistema I, che mi impone “una reazione immediata”. Mi impone, in altre parole, reattività e “ragionamenti veloci”.

Un comportamento da “homo oeconomicus” non è soddisfacente. I mercati, infatti, remunerano il talento e la fortuna. E così sorge il conflitto legato a un sentimento come quello della “giustizia”. Dove mai si “materializzerà” questo sentimento così difficile da definire? Nell'arena politica. I governi sono il magnete del senso di giustizia che il mercato non riesce a soddisfare. Detto in due parole: chi non ha talento e non ha avuto fortuna si rivolge al potere politico per avere quei beni che altrimenti non potrebbe mai avere. Ed ecco il popolo dello stato, lo Staatvolk. E' un mondo nazionale che vota ogni quattro o cinque anni, definendo le forze al governo. I cittadini sono essenzialmente interessati ai servizi dello Stato Sociale.

 

La contrapposizione nella polemica corrente

Le polemiche in corso nascono da questa contrapposizione fra il popolo dei cittadini e il popolo dei creditori – lo Staatvolk e il Marktvolk. I primi sono interessati ai servizi dello Stato sociale e non danno peso al meccanismo del loro finanziamento, i secondi sono interessati alla credibilità degli impegni finanziari dello Stato e non danno peso alla legittimità politica necessaria per perseguire i propri intendimenti. I due mondi sono reciprocamente sordi. Per il primo il secondo è composto da cosmopoliti amici dei migranti, per il secondo il primo è affetto da tribalismo.

Questa contrapposizione spiega molte delle polemiche in corso. Chi afferma «rispondo agli italiani e non ai mercati», oppure «la Banca d’Italia si presenti alle elezioni» pensa allo Staatvolk, chi teme che il rialzo del costo del debito possa avere un impatto negativo sulla tenuta dei conti pubblici e quindi sulla propria ricchezza pensa al Marktvolk

 

La contrapposizione nella visione politica

Il Populismo è una corrente politica contraria al potere costituito, favorevole all'autoritarismo, e, non ultimo, al “nativismo”. Il Populismo ha fede nella saggezza - perché sa che cosa si deve fare, e nella virtù - è “ontologicamente” onesta, della gente “ordinaria” - ordinary people, silent majority. La quale ultima è in contrapposizione alle classi dirigenti che sono “corrotte” - ed anche incapaci, e da qui la polemica sugli specialisti che nulla sanno, o sull'inutilità del sapere scientifico. Si noti che la gente ordinaria è considerata dai Populisti una massa omogenea capace di esprimere un solo punto di vista, talmente ovvio - ossia facile da conoscere senza alcuna ricerca e prova dei risultati, da essere tosto condiviso. Il punto di vista della massa - “massa”, dal greco massein fare la pasta, un verbo che indica un qualcosa di informe ed elastico che viene lavorato, si esprime attraverso il leader. Il quale ultimo è una sorta di vortice pneumatico che aspira l'informe volontà del popolo dando direzione agli eventi.

Siamo così agli antipodi della democrazia liberale, fatta di controlli, di contro poteri, di “grigiori”, il cui scopo è quello di inibire l'arrivo dei duci. Il Populismo dunque è l'opposto del liberalismo: a) è il leader che guida il suo popolo contro i governi parlamentari sottoposti a molteplici controlli; b) è una cultura che privilegia il lato nativo su quello cosmopolita. Insomma, è l'opposto di tutto quello che in Europa si è raggiunto nel Secondo dopoguerra. Il Populismo non è un correttivo della democrazia liberale, nel senso che, a differenza di quest'ultima, avvicina la politica al popolo, così asserendo la sovranità popolare. L'avvicinare la politica al popolo senza contrappesi non avvicina alla democrazia liberale - la democrazia “popolare” dei Paesi dell'Europa dell'Est era un altro animale politico, ma al ducismo.

 

C'è una via d'uscita?

Ai tempi dell'economia fordista – quella delle grandi concentrazioni industriali – si aveva un addensamento dei redditi entro il ceto medio. I redditi dei lavoratori qualificati e dei lavoratori non qualificati differivano relativamente poco. Con l'economia della conoscenza – quella dove sono premiati solo i lavoratori qualificati, mentre gli altri diventano dei precari – i redditi dei primi e dei secondi si divaricano.

Abbiamo due nodi: quello della “mobilità sociale”, e quello della “classe media”.

Nel primo caso, se si osserva la mobilità nel campo educativo – se si è più o meno condizionati dal proprio retroterra famigliare – si evince che essa è maggiore laddove lo stato spende di più in istruzione. Considerazioni simili si hanno anche nel caso della salute. Se si osserva la relazione fra spesa in formazione nel campo del lavoro e la spesa dello stato, emerge che i Paesi che spendono di più sono quelli che meglio riescono a frenare la discesa di parti della classe media nei decili inferiori di reddito.

Nel secondo caso si analizza la “classe media”. Si osserva che con una specializzazione elevata si resta nella classe media, a differenza di quanto accade con una specializzazione normale. Le famiglie con due redditi da lavoro ma non a specializzazione elevata tendono a scivolare nella parte bassa della classe media. Ciò accade anche perché i beni non riproducibili industrialmente come le abitazioni hanno registrato un'ascesa dei prezzi superiore alla crescita media dei prezzi e delle retribuzioni.

Come combinare la “mobilità sociale” con la “classe media”? La mobilità lega gli interessi delle diverse classi di reddito. Quelli all'estremità inferiore possono pensare ad una ascesa sociale propria e dei propri figli, mentre quelli all'estremità superiore possono pensare ad una discesa sociale propria e dei propri figli. Ciò che spinge gli estremi ad una comunanza di interessi: a) come preoccupazione per il movimento al ribasso, che alimenta l'interesse di chi sta oggi meglio per come vivono le persone che colà albergano; b) come interesse per gli effetti di un movimento al rialzo, che alimenta l'attenzione di chi sta oggi peggio per i costi della tassazione che si potrebbero avere domani. Questa duplice logica della mobilità sociale crea una comunanza di interessi. In un mondo ad alta mobilità sociale le classi esistono, ma nel corso del tempo sono composte da individui sempre diversi.

Ora immaginiamo che la mobilità sociale si blocchi, perché chi, ancora appartenente alla classe media, ma con poche competenze, si trovi, per come funziona l'”economia della conoscenza”, nella condizione di poter scivolare verso il basso. Abbiamo i fenomeni che solitamente sono classificati come caratteristici del Populismo. Da un lato costoro cercheranno di ottenere un'integrazione del proprio reddito con il trasferimento – attraverso le imposte – di una parte del reddito dai ceti che hanno competenze, ai quali, peraltro, non possono sperare di unirsi; dall'altro, non vedono una comunanza di interessi con quelli che stanno in fondo, come gli immigrati. Infine, poiché la mobilità verso l'alto è vista come impossibile, i posti di lavoro e il reddito vengono percepiti come un gioco a somma zero in cui gli immigrati sono visti come dei concorrenti indesiderati.