Si dibatte nel Bel Paese dell'asse franco-tedesco che dovrebbe cambiare in meglio l'equilibrio europeo divenuto precario e con quale dei due Paesi avere dei legami più stretti. Questo asse fa fatica a trovare una direzione comune per la diversa impostazione della politica economica. L'Italia oscilla fra il "partito francese" – che vuole prima la crescita e poi le riforme, e il "partito tedesco" – che vuole prima le riforme e poi la crescita. Di seguito una guida alla vicenda.

1 – La divergenza di fondo

La scelta fra una politica che vuole la ripresa trainata dalla spesa per poi fare le riforme e una politica che vuole prima le riforme e poi la crescita non è solo italiana. È la differenza fra la Germania e la Francia. La contrapposizione nel campo della politica economica fra i due paesi ha origine nel secondo dopoguerra, come elaborazione della tragedia che si era appena conclusa. La sua lontana origine ne ha nascosto la portata durante i primi tre decenni di euforia dopo la guerra, i cosiddetti  “trenta gloriosi”. Anche a seguito degli accordi di Maastricht sui vincoli di deficit e di debito, la contrapposizione non si è palesata, perché non stava accadendo nulla di grave; è emersa con la crisi finanziaria.

Prima della seconda guerra mondiale e per tutto il secolo precedente, la Francia era stata un paese “mercatista”, nonostante la tradizione super-centralista. Sempre prima di quel conflitto e per tutto il secolo precedente, la Germania era stato un paese “dirigista”, con la forzatura ultra-dirigista del periodo nazista. Oggi è il contrario. Perché? La sconfitta nella guerra ha spinto i francesi nella direzione dell’intervento pubblico, quindi verso il dirigismo. Quest’ultimo era visto come il demiurgo di uno Stato forte, a sua volta concepito come uno strumento per non perdere più le guerre con la Germania, dopo le tre sconfitte in meno di un secolo: 1870, 1914, 1940. Al contrario, l’eliminazione del nazismo ha spinto i tedeschi a limitare l’intervento pubblico. L’esperienza li ha spinti verso il “mercatismo” per impedire la formazione di uno Stato forte, che era diventato totalitario. Nel caso tedesco, il mercatismo assume la forma dell'Ordoliberalismus – dove è lo Stato che decide le regole della competizione e interviene solo a favore dei bisognosi.

Proviamo a elencare i punti che esprimono il punto di vista francese e quello tedesco. Come si vede, si possono riconoscere molte delle tesi che sono sostenute anche in Italia:

  • Francia: le regole sono soggette al processo politico e possono essere rinegoziate. Germania: le regole “sono regole”, se si sa che sono negoziabili nessuno le rispetterà fin dall’inizio.
  • Francia: dal punto precedente emerge che le crisi vanno gestite con flessibilità. Germania: se si immagina che la flessibilità possa palesarsi, ecco che le regole non saranno rispettate.
  • Francia: limitare la libertà di movimento dei governi, per esempio indebitarsiè antidemocratico.Germania: forse è antidemocratico non indebitarsi rispetto alle generazioni in vita, ma è certamente antidemocratico indebitarsi quando il costo sarà scaricato sulle generazioni future che oggi non votano e quindi non sono rappresentate.
  • Francia: la politica monetaria non può avere come obiettivo la stabilità dei prezzi, perché deve tener conto della crescita. Germania: non è compito della politica monetaria stimolare la crescita, il compito è quello di garantire un quadro di certezze, come l’assenza di inflazione.
  • Francia: se un paese è in deficit con l’estero e l’altro è in surplus, il secondo deve espandere la domanda per importare le merci del primo per ottenere un pareggio. Germania: il deficit dipende da una carenza di competitività. Il sistema diventa più efficiente se non si aiutano i meno competitivi a sopravvivere.
  • Francia: equilibri multipli sono possibili, ma non tutti sono accettabili. Un rendimento ingiustificatamente elevato di un’obbligazione del Tesoro, se lasciato sedimentare “perché il mercato lo vuole”, può inibire la crescita di un paese, che si trova, alla fine, costretto a pagare molto il proprio debito a danno, per esempio, degli investimenti pubblici. Germania: a guardare troppo il presente – nel caso, un elevato e ingiustificato rendimento richiesto per sottoscrivere il debito pubblico – si perde di vista il futuro. Il futuro deve emergere come “coscienza” dei mercati, come una responsabilità, non come il frutto degli interventi delle autorità.

Dal 2011 al 2018 in Italia si è seguito il modello tedesco: “sono le riforme che portano la crescita”. Dal 2018 si seguirà il modello francese: “si spinge subito la crescita e poi si fanno le riforme”. La scelta fra i due modelli non è solo economica, anche perché non esiste una dimostrazione univoca di quale sia il migliore.

Il modello tedesco è debole nell’immediato: se non si ha ripresa, nonostante le riforme, è percepito come non funzionante e si perdono le elezioni. Quello francese è debole nel tempo più lungo: se si ha ripresa, le riforme non si fanno, perché queste ultime hanno un costo politico elevato. Non si perdono le elezioni, ma le generazioni future avranno di meno.

Tratto da: https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4698-quale-accordo-fr-francia-e-germania.html; e http://www.limesonline.com/italia-quantitative-easing-bce-draghi-non-e-apocalisse-crescita-debito-pil-francia-germania/107336

Nota controfattuale aggiunta il 1° luglio. Una ripresa stentata che coincide temporalmente con le politiche di austerità non è necessariamente inferiore a quella che si sarebbe avuta con delle politiche di espansione attuate nello stesso periodo. Sembra intuitivo che le cose siano messe in questo modo, ossia che l'austerità punisca la crescita, ma ad una disamina che tenga conto dei molti passaggi non è detto che sia così. Tutto dipende dai moltiplicatori. Si simula per quantificare la politica di non austerità una spesa maggiore e delle entrate minori con i relativi moltiplicatori. Ne viene fuori una crescita su più anni del debito maggiore (rispetto al PIl) di quella che si è effettivamente avuta con le politiche di austerità. E ciò è il frutto della maggiore spesa per interessi necessaria per finanziare il maggior deficit che si forma inizialmente e che non scompare. Così afferma il controfattuale, a meno di immaginare dei moltiplicatori per la spesa e per le entrate che siano numerose volte maggiori di quelli noti. Tratto da: http://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-l-andamento-del-debito-dopo-la-stretta-fiscale-del-2012

2 – Ancora sulla divergenza

2 -1 – Ha ragione la Francia

Dopo quasi venti anni di moneta unica si sono apprese tre cose: 

  • Se uno stato membro dell'Unione ottiene un vantaggio competitivo - come la Germania a metà del decennio scorso – gli altri, non potendo svalutare, possono tornare competitivi solo riducendo i salari e incrementando la produttività. Ma se il divario non si chiude, ecco che si formano degli sbilanciamenti significativi nelle bilance commerciali. Questi sblilanciamenti ad un certo punto possono alimentare la crisi, perché il finanziamento dei deficit commerciali da parte dei Paesi eccedentari ad un certo punto si può esaurire (vedi il caso della Grecia quando scoppia la crisi).
  • Se i cicli dei diversi Paesi divergono, un'unica politica monetaria diventa troppo lasca per alcuni che sono in espansione, ma troppo restrittiva per altri che sono in contrazione (vedi per l'espansione il caso della Spagna prima della crisi). Solo una politica fiscale in comune può – spostando al margine la spesa fra i Paesi in crescita e quelli in contrazione – alleviare le differenze. Il bilancio in comune ha però incontrato e incontra l'ostilità dei Paesi con un debito pubblico contenuto (come la Germania e i Paesi più vicini alle sue caratteristiche).
  • Se le cose stanno così, o la Germania accetta delle regole diverse, in modo che anche chi ha un modo di funzionare diverso da quello tedesco possa stare nell'Unione, oppure i Paesi in difficoltà (come secondo alcuni l'Italia) finiranno per uscire dalla Moneta Unica.

La conclusione è che conviene affrontare i molti costi per mantenere salda l'Unione, piuttosto che rischiare un'implosione. L'inazione potrebbe, infatti, spingere i mercati a chiedere un premio in vista di una implosione anche solo potenziale.

2 - 2 – Ha ragione la Germania

Mentre la Francia è per l'Unità Fiscale, la Germania è contraria, ma non è contraria ad un Fondo europeo che aiuti l'economia reale degli Stati meno competitivi ed anche – nel caso – i loro bilanci pubblici. Sarebbero questi ultimi degli interventi “condizionati”, che, come tali, non incentivano i comportamenti “lassisti”.

Così come la Germania è contraria – per coerenza con il rifiuto di una politica fiscale unica - alla messa in comune del debito pubblico. Di nuovo, perché a suo giudizio i comportamenti “lassisti” sarebbero incentivati. Si ricorda a questo proposito l'esperienza degli Stati Uniti ai tempi della loro fondazione, quindi alla fine del Settecento, quando i debiti dei diversi stati furono messi in comune, con ciò incentivando l'”azzardo morale”, ossia il comportamento di alcuni stati di accendere un gran debito che poi sarebbe stato messo in comune. Dopo questa esperienza la messa in comune del debito dei diversi stati fu proibita.

La Germania non appoggia l'idea anche francese di un fondo europeo per assicurare tutte le banche quando in difficoltà. In Germania hanno avuto l'esperienza delle Landesbanks che sono diventate ingestibili quando tempo fa lo Stato ha deciso di proteggere e i depositanti e gli eroganti credito. Di nuovo abbiamo avuto l'"azzardo morale".

Tratto da: https://www.ft.com/content/568d5236-786d-11e8-af48-190d103e32a4