Le difficoltà che ha dovuto affrontare l’Italia nei collocamenti di nuove emissioni a sostituzione dei titoli in scadenza spingono a verificare se effettivamente la dimensione assoluta del debito pubblico italiano sia la causa della crescita dello spread, oppure se la novità sia la competizione tra emittenti, indistintamente virtuosi e non. L’Italia con il suo gran debito è più che mai centrale per le dinamiche economiche e finanziarie “globali”, mentre il peso in termini relativi delle sue emissioni governative è incredibilmente diminuito.
Utilizziamo l’analisi del debito governativo dell’area euro scaduto a partire dall’introduzione della valuta unica (gennaio 2000). Questa analisi ci permette di vedere come il debito è rinnovato nel corso del primo decennio e, quindi, come si deve essere modificata la composizione in un arco temporale che solo nella parte finale mostra gli elementi della crisi ma che deve senz’altro aver incubato nel tempo le cause del problema. In sostanza, la tabella racconta che il peso delle scadenze governative italiane è sceso percentualmente da circa il 40% di inizio millennio al 20% provvisorio di fine 2011 sul totale delle emissioni governative scadute, fenomeno dovuto ai mille miliardi di euro aggiuntivi di debito emesso da altri emittenti (pari a 2,33 volte il valore di partenza) a fronte di un incremento di 70 mld per l’Italia nel 2001, valore invariato a fine periodo e che registrato un solo picco, oltre i 400 mld nel 2009.
Attualmente il debito pubblico italiano rappresenta il 23% dell’area euro, circa 1/4. Senza entrare in ulteriori complicazioni numeriche, i dati della tabella suggeriscono ragionevolmente un valore ad inizio millennio sicuramente superiore, stimabile in almeno 1/3, dato ottenuto sommando le emissioni attualmente in essere alle emissioni scadute da gennaio 2000.
Detto questo, vien da pensare che un qualunque fondo obbligazionario governativo (area euro e non, indicizzato e non), di fronte a dinamiche così radicali si ritrovi a ridurre obbligatoriamente il peso dell’Italia data la costante erosione rispetto al benchmark di riferimento a favore di altri emittenti prepotentemente affacciatisi sul mercato. La dichiarazione estiva di Deutsche Bank in merito alla vendita dei titoli italiani rientra più nel fenomeno di moral suasion (poi esercitata a livello istituzionale) che ad una ponderata scelta di asset allocation. Di fatto, si sono riallineati al benchmark.
Prospetticamente la tendenza sembra invariata. Gli elevati deficit di bilancio utili a sostenere le economie genereranno nuovi stock di debito che dovrebbero portare ad una ulteriore riduzione di peso del debito pubblico italiano nei benchmark, a prescindere da altre considerazioni sulle capacità dell’Italia di affrontare efficacemente la riduzione del debito e quindi sulla sua effettiva appetibilità.
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