Qualche settimana fa su Facebook uscivano continuamente dei commenti sulla qualità dei politici italiani. Essa era percepita dagli internauti come «infima». Nasce così il primo post di Giorgio Arfaras (=GA) che si interroga sulle ragioni del livello percepito. Ne è nata per caso una discussione con Giuseppe Russo (=GR). Discussione che riportiamo paro paro. Si veda per completezza Gli incentivi dei finanzieri, che abbiamo pubblicato il 2 marzo scorso.



GA – Tutti a dire che abbiamo una classe politica di infimo livello. Si tratta di capire perché la classe politica è di bassa qualità. Il reddito che uno guadagna facendo il politico dai 20 agli 80 anni è probabilmente inferiore a quello di un dentista di Milano. Uno a 20 anni decide di fare il politico e fino ai 40 vive di stenti. Poi, se eletto, guadagna bene, circa come un alto dirigente di una media impresa. Una volta eletto, deve farsi rieleggere continuamente. Una vita infernale. La domanda è: chi ne è attratto? Se i redditi delle professioni – contando 40 anni di lavoro dopo la laurea – sono in genere maggiori (almeno al Nord), e se il potere è sempre meno concentrato nei partiti e nelle istituzioni, perché mai uno/a ambizioso/a e dotato/a dovrebbe darsi alla politica? Dunque il reddito del politico è troppo basso (tenendo conto del rischio) per attrarre i brillanti e troppo alto per non attrarre i meno brillanti. Alla fine scatta la «selezione avversa».



GR – Ma la tua ipotesi è che il politico lavori, ossia sprema il suo capitale umano per fare il bene pubblico. Chiaro che non gli conviene. Perché convenga deve trarre dei vantaggi di posizione e non deve poi lavorare così tanto. Per chi fosse già ricco i vantaggi di posizione devono essere ben motivanti, altrimenti l’impegno in politica è frutto di insanità mentale, oppure di filantropia. Buchanan spiega che il politico massimizza la probabilità di essere rieletto. Quindi per avere buone politiche devi riuscire ad allineare questo obiettivo personale con gli obiettivi generali, il che non è semplice. Si è pensato di ovviare alla cosa associando ai politici i burocrati. Ma si è dimostrato che delegando ai burocrati l’organizzazione della cosa pubblica e lasciando ai politici la regolazione e i controlli non si riesce a controllare la spesa pubblica, perché i burocrati, che massimizzano i loro budget, si coalizzano con i politici che massimizzano la probabilità di elezione. È per questo che servirebbe una riforma costituzionale. Che preveda tagli automatici di spese e di teste, se si spende troppo, per esempio. Noi abbiamo costituzioni troppo eleganti, ricche di principi. Non siamo pronti. Abbiamo bisogno di più regole nelle leggi di alto livello, per avere più efficienza di sotto. Resta il punto di come migliorare la qualità dei politici, perché vincolarli di più è qualcosa, ma non tutto. Purtroppo non è un tema facile.



XYZ – L’ipotesi di GA mi pare molto poco fondata (a prescindere dal fatto che i redditi e i privilegi dei politici non sono affatto «troppo bassi», in qualunque modo li si misuri). Soprattutto in un paese come l’Italia, si sceglie la professione, se la si può scegliere (il che è tutto da dimostrare), non certo principalmente sulla base del reddito che può fornire. E la qualità delle persone non è così fortemente correlata al reddito.



GA – Ammetto che la mia ipotesi possa essere senza fondamento, resta lo stesso aperta la questione: perché la qualità è percepita come bassa? Che apre anche la questione: ma una volta era davvero alta? Quando la percepivo come «alta», ero troppo giovane per farmi un’opinione. All’epoca, poi, il mestiere del politico era una figura simil-religiosa: il politico era il sacerdote che spiegava ai credenti l’applicazione delle scritture. Oggi assomiglia al presentatore televisivo: un affabulatore specializzato in polemiche superficiali. Manca l’alone religioso: e tutti a dire «che schifo!».



GR – Può darsi che il problema non sia nelle persone, ma nel sistema competitivo che seleziona i politici. Molti saltano la selezione elettorale perché i meccanismi consentono direttamente ai partiti di selezionare. Altri concorrono alla selezione, ma usano non il proprio consenso bensì quello del proprio cluster o corrente, quindi non sono giudicati. Poi c’è il fatto che alla competizione elettorale ci si presenta con un capitale intellettuale, un capitale finanziario e un capitale relazionale. Forse gli ultimi due sono più premianti del primo, in più con il capitale finanziario si può aumentare il capitale relazionale. I meccanismi elettorali e i sistemi di raccolta del consenso premiano più gli scaltri ricchi che i filosofi. Qualche piccolo meccanismo si potrebbe cambiare, come costringere a pensare la politica come una carriera, invece che una riffa. 1) Pensa se si potesse introdurre un minimo di CFU (= credito formativo universitario) in materie pertinenti per potersi candidare. 2) Vincolo di propedeuticità: i deputati e ministri devono essere prima stati consiglieri o amministratori regionali e prima ancora consiglieri e amministratori comunali. 3) Vincolo di spesa per la campagna elettorale, max 20% del compenso dell’incarico per cui ci si candida. 4) Vincolo di produrre un bilancio di mandato alla fine dei propri incarichi, con un formato standard, e di pubblicarlo su internet nella campagna elettorale.



GA – C’è un rischio di circolarità: quelli che dovrebbero riformare il sistema secondo i tuoi quattro punti sono gli stessi che ci rimetterebbero. E poi, se uno sa che fa carriera solo se incomincia dal basso (comune-->regione-->parlamento), allora deve scommettere fin da subito sulla carriera politica. Diciamo che a trent’anni deve essere consigliere comunale, con tanto di certificazione di competenza, per arrivare nei quaranta avanzati a deputato.



GR – Sì, i tacchini non votano il Natale. Non so come si risolve. Ma se avessimo una crisi del debito pubblico sarebbe più facile. Sulla questione che la politica sia una carriera, non vogliamo proprio professionisti come nell’ingegneria o nella medicina? Mica tutti diventano primari o dirigenti di fabbrica.



GA – C’è uno studio che non mi dà torto sul divario delle retribuzioni dei politici. Si riferisce alla Germania. Si veda la tabella 1. Le retribuzioni sono molto alte rispetto alla popolazione, ma si riducono man mano che ci si avvicina alla popolazione qualificata. Dalla tabella deduco che non siano calcolate le retribuzioni dei dirigenti d’azienda che guadagnano bene, né dei liberi professionisti.


 

http://www.iza.org/index_html?lang=en&mainframe=http%3A%2F%2Fwww.iza.org%2Fen%2Fwebcontent%2Fpublications%2Fpapers%2FviewAbstract%3Fdp_id%3D5520&topSelect=publications&subSelect=papers



GR – Lo studio non ti dà torto, ma per la verità neppure ragione. Infatti si deduce che in Germania – la quale, per i risultati economici, potremmo dire che è ben governata – non è necessario assumere politici pagati come top manager, perché basta un premio di salario rispetto alla media, cosa che avviene anche in Italia, ma con risultati peggiori o così percepiti. Inoltre, mi pare di aver letto che gli stipendi dei politici in Europa siano simili, e quelli italiani siano nella media o un po’ più alti. Ciò che determina la varianza delle qualità potrebbe quindi non essere il reddito offerto ai politici, ma qualche altra variabile. Si potrebbe fare un esperimento: raddoppiare lo stipendio dei politici in una regione estratta a caso e vedere se dopo cinque anni il suo Pil cresce più di quello degli altri.