L'asset quality review (AQR) e gli stress test (ST) sulle banche europee fatti dalle Autorità europee sono state al centro di un intenso dibattito. L'AQR “ufficiale” procede in questo modo: 1) si analizza l'attivo delle banche – i crediti verso le imprese e le famiglie ed i titoli in portafoglio, che sono soprattutto obbligazioni. Si vede quanti crediti sono “buoni” e quanti “cattivi”. Si definisce quanti accantonamenti vadano fatti a fronte dei crediti “cattivi”. Si vede la differenza fra crediti “cattivi” e gli accantonamenti. Nel caso i secondi siano insufficienti si invitano le banche a provvedere. Lo ST “ufficiale” simula una crisi – il PIL flette molto e quindi aumentano i crediti “cattivi”, l'immobiliare flette e quindi aumentano i mutui “cattivi”, intanto che i titoli di stato “ballano” - e osserva le sue ripercussioni sulle banche. Si stima il patrimonio che le banche dovrebbero avere per reggere lo stress.
La conclusione è che le grandi banche sono “solide”, mentre qualcuna fra le banche piccole (o medie) è “fragile”. Le banche messe male devono perciò varare degli aumenti di capitale, che però non sono eccessivi. Fine. L'agitarsi intorno al Monte dei Paschi e a Carige, non rileva da un punto di vista sistemico. L'esercizio compiuto dovrebbe perciò rasserenare i mercati finanziari sulla tenuta delle azioni e delle obbligazioni bancarie. Meglio, dovrebbe rasserenare tutti, perché il sistema del credito alle imprese e alle famiglie è solido.
Resta un dubbio. Gli ST delle Autorità europee sono condotti dando un rischio diverso alle componenti dell'attivo bancario. Se questi sono in attività finanziarie, sono considerati poco rischiosi. Se sono crediti verso privati, sono considerati rischiosi. Per esempio, il titolo di stato tedesco è meno rischioso, oltre che di un BTP, anche di un credito ad un agricoltore, perché lo stato tedesco non può fallire, quello italiano nemmeno, ma può incorrere in difficoltà, mentre l'agricoltore può fallire. Ciò che sembra ovvio, ma anche no. Per esempio, il rendimento del titolo di stato tedesco decennale può ben passare dall'uno per cento al tre per cento, procurando una flessione in conto capitale per i titoli già emessi del 20%, mentre gli agricoltori non possono fallire tutti, per il banale motivo che si deve pur mangiare. Ma saltiamo questo passaggio critico minore per arrivare al dunque.
Accade che, se si decide che il titolo di stato tedesco (Bund) ha un rischio nullo, allora la banca non deve impegnare del capitale proprio per proteggersi. Ossia, a fronte di un Bund la banca non deve congelare delle quote del proprio patrimonio. Accade che, se si decide che l'agricoltore può fallire, allora la banca deve impegnare delle quote del proprio patrimonio. Ossia, a fronte dei crediti agli agricoltori, la banca deve congelare una parte del proprio patrimonio. Segue che, nel primo caso la banca può comprare Bund a dismisura (e dunque può avere una leva – il rapporto fra attivo e patrimonio – elevatissima), nel secondo non può accendere crediti a dismisura a meno di aumentare a dismisura il proprio patrimonio (e dunque finisce per avere una leva contenuta).
Se si fanno i conti in questo modo, le banche tedesche e francesi, che hanno degli attivi molto investiti in finanza, hanno bisogno di poco patrimonio. Chi invece ha, come le banche italiane, degli attivi molto investiti nel credito, ha bisogno di molto patrimonio. Secondo questo modo di contare le cose, le banche francesi e tedesche hanno un capitale più che sufficiente in caso di crisi (anche le banche italiane maggiori).
Questo è il punto di vista delle Autorità europee, per le quali gli investimenti e i crediti sono pesati per il rischio – il metodo del Risk-Weighted Assets (RWA). Non è però l'unico modo di analizzare le cose. Si ha anche quello del Volatility Institute (VI) della New York University, che ha presentato i risultati della sua ricerca sul rischio sistemico, assumendo che il rischio non sia solo quello definito dai Regolatori europei (1).
Le banche tedesche che, secondo gli ST europei, non hanno bisogno di capitale, nel caso del VI avrebbero bisogno di circa 100 miliardi euro. Le banche francesi che, secondo gli ST europei non hanno bisogno di capitale, nel caso del VI avrebbero bisogno di quasi 200 miliardi euro. Le banche italiane che, secondo gli ST europei avrebbero bisogno di circa otto miliardi di capitale, nel caso del VI avrebbero bisogno di quasi quasi ottanta miliardi euro. Se si assume che il debito pubblico tedesco e il credito all'agricoltore sono un'esposizione della banca, e perciò che possono deteriorarsi, allora la crisi è immaginata riverberarsi su tutto l'attivo, naturalmente con impatti diversi. Soccorre un esempio.
Modello europeo di ST. Una grande banca francese (è il caso concreto di Société Générale) ha un patrimonio contabile di circa 40 miliardi di euro. Scoppia la crisi, l'attivo si svaluta, e si stima che il patrimonio contabile passi a 30 miliardi di euro. Il suo attivo pesato per il rischio (RWA) è di circa 375 miliardi. Alla fine della crisi si ha un rapporto fra patrimonio e attivo accettabile (30/375=8%, ossia una leva di 12,5 volte, se si moltiplica per 12,5 l'otto per cento si ha, infatti, il cento per cento).
Modello del VI. La stessa grande banca francese ha un valore di borsa di circa 30 miliardi di euro. Ed è quello che interessa, perché in caso di aumento del capitale, è dal valore di borsa che si parte, non dal valore contabile. Il suo attivo non è perciò pesato per il rischio ed ammonta a circa 1.300 miliardi – il valore facciale dell'attivo, quello senza valutazione preventiva del rischio di ogni sua componente. Il suo rapporto fra patrimonio e attivo è molto alto già in partenza (30/1300=2,5%, ossia una leva di 40 volte, se si moltiplica per 40 il due e mezzo per cento si ha, infatti, il cento per cento). Si simula la crisi – i prezzi delle attività finanziarie ballano, i cattivi crediti aumentano, e viene fuori dai conti di VI che questa banca ha bisogno di 60 miliardi di euro di nuovo patrimonio per avere una leva accettabile. Naturalmente, il risultato di VI può essere sbagliato, ed anche di molto, ma quel che conta è il ragionamento, che mostra come le cose possano “sfuggire di mano”.
In conclusione. Lo ST europeo mostra un sistema che tiene. Lo ST di VI mostra, invece, un sistema più fragile. Chi ha ragione? La ragione, come noto da millenni, “sta nel mezzo”. Già ma dove nel mezzo? Più verso il versante europeo, oppure più sul versante di VI? Non si può sapere. Nel dubbio, è ragionevole assumere che il rischio, in caso di crisi, è maggiore di quello degli ST europei. Si può persino arguire che gli ST europei finiscano per legittimare i comportamenti delle banche tedesche e francesi, mostrando come la leva elevata in caso di crisi non sia un rischio né per loro né per il sistema.
(1) http://www.ft.com/intl/cms/s/0/fad2c772-5dd7-11e4-b7a2-00144feabdc0.html?siteedition=intl#axzz3H5FWUrT1
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