Bourj el-Barajneh è un quartiere a sud di Beirut. Gli abitanti sono circa 15mila, soprattutto musulmani sciiti. Fino a sei, sette anni fa, l’area appariva come il classico slam mediorientale, fatto di palazzacci costruiti uno sopra all’altro e senza piano regolatore. Oggi Bourj el-Barajneh è un angolo di ricostruzione della Beirut post guerra del 2006. I nuovi edifici, che hanno sostituito quelli colpiti dai bombardamenti israeliani, appaiono eleganti. Ciascuno con il proprio angolo di verde e i rispettivi posti auto. La differenza tra il vecchio e il nuovo è evidente.

Bourj el-Barajneh è un esempio per capire come Hezbollah, il movimento sciita da molti in Occidente declassato alla impropria definizione di gruppo terroristico, abbia fatto breccia nell’opinione pubblica. Un soggetto politico e prima ancora economico, con una spiccata capacità di indirizzo delle coscienze, grazie a un altrettanto efficiente sistema di Welfare state. Quest’ultimo parallelo e molto più funzionale rispetto a quello del governo libanese. Si è detto spesso del Partito di Dio come di uno Stato nello Stato. Oggi, a sei anni dall’ultimo scontro con Israele, Hezbollah sta abbandonando questa accezione. L’obiettivo è far coincidere il proprio Stato con quello libanese. In parole povere, accaparrarsi a pieno titolo – e in via schiettamente democratica – del governo del Libano.

Tuttavia, se prima la forza del movimento sciita risiedeva nell’efficienza operativa delle sue milizie, oggi è l’integrità finanziaria a fare da colonna vertebrale. Concretezza di progetti la cui realizzazione rispetta la scadenza. È facile, in questo modo, ottenere il consenso della popolazione. Senza tante distinzioni religiose. Dal 2006 a oggi, a Bourj el-Barajneh sono stati ricostruiti oltre 230 edifici colpiti dai raid aerei. Tutti gli appartamenti sono stati consegnati in tempo a ogni singola famiglia. Waad è un progetto avviato proprio nel 2006 e volto a rifare Bourj el-Barajneh sulla base di standard abitativi più dignitosi. Le famiglie colpite dalla guerra sono state singolarmente interpellate affinché le loro abitazioni venissero ricostruite a misura delle esigenze individuali. Si è trovata quindi una quadra del cerchio tra piano regolatore e desideri. Scuole e ospedali sono stati costruiti in parallelo a edifici privati. Qui le necessità della famiglia numerosa hanno trovato soddisfazione come quelle espresse da una coppia appena sposata e ancora senza figli. L’operazione ha richiesto un doppio, se non un terzo passaggio di progettazione. Perché comunque non era possibile raggruppare i residenti secondo categorie simili.

Waad è riuscita in un progetto ingegneristico e sociale. Bourj el-Barajneh, fino al 2006, era il ghetto sciita di Beirut. Oggi può competere con i quartieri di lusso abitati da cristiani e sunnit. Bourj el-Barajneh ha dismesso la sua aria da periferia del terzo mondo. Hezbollah così può vantarsi di avere un elettorato che fa parte di una middle class urbana, la quale non ha da invidiare nulla a quella di altre aree della capitale libanese.

A questo punto domanda: da dove vengono tutti i soldi spesi per tanto lavoro? Non si trasforma il Bronx in Manhattan, senza un importante conto in banca. La coscienza comune dice che Hezbollah sia al soldo dell’Iran. Vero, ma solo in parte. Non fosse altro per la differenza tra persiani, a Teheran, e arabi a Beirut. Gap etnico e culturale non così facile da valicare. Si stima che il regime degli Ayatollah abbiano destinato agli amici libanesi dai 25 ai 200 milioni di dollari ogni anno. La forbice è così ampia per due motivi. Al fine della guerra, la richiesta di finanziamenti stranieri era elevata e urgente. Poi con la ripresa dell’economia nazionale, il Libano è tornato a camminare sulle proprie gambe. Negli ultimi tempi inoltre, il contributo di Teheran è andato diminuendo a causa delle sanzioni imposte dall’Onu per il nucleare (1). Gli investimenti sono stati spesi soprattutto per la ricostruzione delle infrastrutture di comunicazione. Vale a dire strade e ponti. Oltreché le reti idrica, elettrica e del gas. Senza contare le moschee ovviamente. All’inizio di maggio di quest’anno, il primo ministro libanese, Najib Mikati, ha firmato un accordo con il vice presidente iraniano, Reza Rahimi, per la costruzione della diga di Batroun, a nord della capitale. Cifra stanziata da Teheran: 40 milioni di dollari. Il tutto rientrante nello progetto congiunto irano-libanese della Jihad al-Binna, letteralmente “sforzo per la ricostruzione”.

Bourj el-Barajneh invece è il prodotto di una concertazione nazionale tra residenti nel Paese ed espatriati. Le comunità libanesi, sciite appunto, dell’Africa occidentale e dell’America latina sono ricche, iperproduttive e non dimenticano la patria. Il che vuol dire che quando Hezbollah chiama, loro rispondo. È l’America del sud, in particolare, a svolgere il ruolo di primadonna. Dalla cosiddetta Tri-borders area (Argentina, Brasile, Paraguay, Tba) sbarcano ogni anno a Beirut almeno 10 milioni di dollari (2). La cifra si prevede in crescita. C’è poi la Zaqat, ovvero la decima di precetto per l’Islam, per cui tutti i musulmani sono chiamati a versare una piccola parte del proprio reddito annuo in favore delle popolazioni che soffrono.

Infine bisogna ricordarsi dei grandi istituti bancari. La rete finanziaria libanese è diffusa in maniera capillare e in proporzione alla presenza delle comunità all’estero. Quindi Francia, Tba e Nord America. A proposito di quest’ultima, recenti indagini hanno sostenuto che la Lebanese Canadian Bank (Lcb) e la Société Générale de Banque au Liban (Sgbl) sarebbero coinvolte in un’importante operazione di riciclaggio di denaro, proveniente dal traffico di cocaina in Colombia. Le indagini sono state avviate nel febbraio 2011. Due gli elementi che rendono torbida l’accusa: il fatto che nel settembre dello stesso anno, quindi sette mesi dopo l’apertura del dossier, l’acquisizione della Lcb da parte della Sgbl abbia ricevuto il placet sia della Banca centrale libanese sia del Dipartimento del tesoro Usa. Viene da chiedersi per quale motivo Washington abbia dato il suo ok a un’operazione che vedeva coinvolti due soggetti già nel mirino dei suoi investigatori. Non è chiara poi la ragione dell’ingerenza statunitense in un affaire che vede implicate due banche libanesi che sarebbero legate al narcotraffico latino-americano. D’altra parte, a oggi, gli Stati Uniti non sono ancora riusciti a formulare una lista di prove concrete.

Va infine ricordato il progetto Solidere. Ovvero il consorzio libanese kuwaitiano, ma presente anche alle borse di Londra e Francoforte, nato nel 1994 per volontà dell’allora primo ministro Rafiq Hariri, egli stesso titolare del 6% delle azioni. Solidere prevedeva un massiccio intervento di ricostruzione del Paese dopo la devastante guerra civile (1975-1990). E in effetti è quanto ha fatto. Visitando oggi le strade del centro di Beirut e lungo la Corniche, è difficile non restare ammaliati dai grattacieli di lusso e dall’eleganza delle boutique. Problema: il progetto ha sempre tenuto a margine le aree sciite. È facile, a questo punto, pensare a una concorrenza tra Solidere e Waad. Che poi si riflette nel confronto politico tra Hezbollah e fronte sunnita.

(1) “Hezbollah in Latin America – Implications for Us Homeland Security”, Commissione dell’antiterrorismo, intelligence e sicurezza nazionale, Camera dei Rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti, Washington Dc (Usa), 7 luglio 2011.

(2) Ibidem.