Le nazioni emergenti del gruppo Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) potrebbero avviare un progetto finanziario comune da contrapporre alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Lo hanno detto al vertice di Durban, in Sudafrica, mercoledì scorso. La Banca Brics, chiamiamola così, andrebbe a contrapporsi agli istituti di credito internazionali, ancora figli di Bretton Woods, e quindi etichettati come «strutture occidentali che non riflettono i cambiamenti del mondo moderno».
Le cinque potenze non occidentali fanno paura e approfittano della crisi della finanza mondiale per ringhiare ai più deboli. Cioè noi. Sparano sulla Croce rossa. Almeno così credono. Si potrebbe discutere a lungo sul nostro status di grande malato del capitalismo. E appunto perché la questione potrebbe richiedere tempo e spazio di scrittura la lasciamo subito da parte.
Meglio concentrarsi sui Brics quindi. Punti di forza: l’organizzazione in quanto tale. L’acronimo Brics richiama un po’ il nome di una patatina da aperitivo. Però ogni sua lettera è l’iniziale di un Paese che negli ultimi 15-20 anni ha dimostrato una certa buona volontà in fatto di crescita economica. I Brics sono giovani. O per lo meno fanno finta di esserlo. Per esempio, si potrebbe discutere delle società di Cina e Russia che siano davvero meno anziane di quella europea. Il 20% dei cinesi è over 55 anni. Un russo ogni quattro appartiene alla stessa fascia d’età. La forza dei Brics nella fattispecie non sta nella verità, bensì nella sua percezione. Gli Stati dell’organizzazione poi si dicono popolosi. E su questo nulla da argomentare in contrario. Il 40% della popolazione mondiale rientra nelle anagrafi dei cinque Brics. Sovraffollamento, potrebbe dire qualcuno. Ma diamo per scontato che un mercato emergente presti più importanza alla quantità piuttosto che alla qualità.
I veri muscoli sfoggiati dai Brics stanno nell’economia. È loro il 25% del Prodotto interno lordo mondiale. Made in China e made in India. Non c’è casa, azienda, ente giuridico o persona fisica sulla faccia della terra che non abbia in tasca o su uno scaffale anche il più insignificante prodotto di queste due “locomotive del mondo”. Dall’industria alla finanza, anche in questo campo i Brics si sentono di alzare la voce. E pretendono di arbitrare la partita dollaro-euro. Questo basta? È sufficiente essere tanti, onnipresenti e ricchi per dominare i mercati internazionali? Sulla carta sì. Nella pratica è meglio non essere così deterministici.
Torniamo a Durban. Prima del summit, i leader dei Brics avevano detto che la banca era ormai cosa fatta. Poi si sono visti e l’hanno rimandata sine die. Tutto confermato, tutti d’accordo, ma non ora. Perché?
Inizialmente il progetto prevedeva che ciascuno dei cinque membri versasse 50 miliardi di dollari. Poi si è passati a 10 miliardi cadauno. Un taglio importante. Ripetiamo: perché?
Le cinque sorelle del sud del mondo pretendono di rottamare il capitalismo occidentale con 50 miliardi di dollari. Soltanto?! È una manovra finanziaria italiana! È come se Bill Gates decidesse di aprire un conto in banca con cento dollari! Liberissimo di farlo. Ma non venite a dirci che si tratta di un’impresa destinata a rivoluzionare per sempre le sorti della finanza globale.
Tanto più che i soldi ci sono, sebbene pochi, a zoppicare è il progetto. I Brics pensano di cambiare il mondo. Si impegnano a soccorrere i Paesi più deboli. Vogliono mettere fine al tacito accordo per cui il vertice della Banca mondiale e dell’Fmi sono monopolio rispettivamente degli Stati Uniti e dell’Europa. Quella di Robin Hood è una bellissima fiaba. Ma l’economia reale suggerisce di andarci piano con le illusioni. Il nuovo leader cinese, Xi Jinping, ha approfittato dell’incontro in Sudafrica per poi farsi vedere in Tanzania e Congo. Che il continente interessi ai Brics non è cosa nuova. Illusorio credere che la loro banca sarà messa in piedi per salvare l’Africa da fame, pestilenze e carestie. Più probabile l’ipotesi di uno sfruttamento più sistematico. C’è chi potrebbe gridare al colonialismo, ma facciamo finta di nulla.
Passiamo alla geopolitica. La Russia è nelle mani di un nostalgico dell’Urss, che non perde occasione per ricordare quant’era bello il mondo pre-1989. Facile supporre quindi che a Mosca anche la banca Brics possa essere vista come un trampolino di ri-lancio della vecchia Unione sovietica. Guerra in Siria, petrolio in Asia centrale, affari di vario genere in Europa e ora magari qualche concessione in Africa. Tutto rientra nella paranoia dell’accerchiamento che ha contagiato nei secoli zar, segretari del Pcus e gli attuali inquilini del Cremlino. Il governo del Paese più grande del mondo si crede sempre sotto assedio, quindi fa “pr” in maniera compulsiva. Cina e India, dal canto loro, in Africa ci sono da tempo. Come pure su altri mercati. Insomma, un istituto di credito – con fondi propri e di loro esclusiva – sarebbe un valore aggiunto per sentirsi importanti. Per Brasile e Sudafrica, la banca Brics appare come un progetto più particolare. Il primo ha scoperto che anche dall’America latina si possono tracciare vision di ampio respiro. È la prima volta. Quando mai un governo sudamericano si è seduto ai tavoli internazionali e si è comportato da “grande”? il Sudafrica infine tentenna tra l’essere l’ultimo dei primi (Paesi emergenti) e il primo degli ultimi (Paesi poveri). Viste le sfumature critiche interne, viene da pensare che la banca Brics per Johannesburg sia un vorrei ma non posso. O ancora peggio un tentativo di confronto alla pari con i propri colonizzatori (Pechino e Delhi).
In ogni caso, non c’è uno dei cinque Brics che oggi nutra di salute realmente stabile. Certo, nulla da obiettare alla velocità sul lungo periodo dei cinesi. Tuttavia una cosa era la loro crescita al 10% nel 2007, un’altra è il 7,8% dello scorso anno. Brasile e India invece si stanno dimostrando due tigri di carta, tali per cui se gli occidentali si decidessero a rovesciare il binocolo, si renderebbero conto che assomigliano più a dei gattini. Fanno la voce grossa, è vero, ma la crisi la sentono anche loro1. Sudafrica infine: con tutto il rispetto, alzi la mano chi davvero lo teme.
E allora i Brics altro non sono forse che una scialuppa di salvataggio per chi si è gonfiato di steroidi capitalistici e adesso, che sta andando giù di tono, cerca di rimediare. Dà la colpa al trainer (noi occidentali) e fa credere al mondo che con 50 miliardi di dollari le cose si possano sistemare.
La banca Brics pretende di fare da antitesi al capitalismo Usa-Ue. «Dovrà comunque seguire le regole del mercato», ha detto Putin. E allora a che serve? Dov’è la grande rivoluzione?
1 In riferimenti ai problemi indiani e brasiliani.
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