Un paese molto piccolo – un’isola persa nel Nord con meno di mezzo milione di abitanti – un bel giorno diventa un centro finanziario. Una sua banca offre tassi generosi ai depositanti. I tassi generosi sono pagati con investimenti rischiosi. I depositi possono essere ritirati in ogni momento dalla banca, mentre gli investimenti della banca possono diventare improvvisamente illiquidi o inesigibili. Le sue attività possono, infatti, diventare difficili da vendere o l’emittente titoli può diventare insolvente.


Dunque depositare i propri soldi in una banca che offre tassi generosi è una scelta finanziaria, non un’azione innocente. Si guadagna molto, ma si può perdere. Invece i depositanti della banca della piccola isola, contando sull’assicurazione statale sui depositi, si sono detti: «se tutto funziona, guadagno; se tutto salta, il mio deposito è assicurato».
 
I depositanti in maggioranza erano inglesi e olandesi e l’isola in questione è l’Islanda. Le perdite della banca ammontano a quattro miliardi di euro, una cifra piccola rispetto a quelle con cui si ha normalmente a che fare nel corso delle crisi finanziarie, ma enorme per la minuscola popolazione islandese  – circa 50 mila euro a testa. Gli islandesi da un lato sono tenuti a pagare i depositi, perché assicurati, dall’altro, se pagano, debbono vivere in modo austero per molti anni.
 
È come se ogni italiano si trovasse all’improvviso con un debito di 50 mila euro da pagare per molti anni. È come se ognuno di noi scoprisse che una banca italiana che offriva tassi esorbitanti, finanziati comprando attività finanziarie rischiose, è fallita. E che si debbono rendere questi denari all’estero, vivendo peggio per anni.

Uno per prima cosa si chiederebbe che cosa ci sta a fare l’Autorità di vigilanza. Poi si chiederebbe se è giusto trattare un debitore fallito come si faceva una volta,  ossia mandandolo in galera, dove la galera oggi è un tenore di vita compresso per molti anni. Infine, è indetto un referendum dove ci viene chiesto che cosa pensiamo: «Volete vivere peggio per anni, perché dei signori pensavano di guadagnare senza rischio?». In massa tutti a rispondere «No».
 
Sembra semplice, ma se l’Islanda non paga i depositi, ossia se si rifiuta di soddisfare l’obbligo di garanzia, potrebbe essere isolata dalla comunità finanziaria perché «non sta alle regole». In fondo e a ben guardare, avrebbero certo potuto vigilare per impedire alla loro banca di investire in maniera rischiosa, sapendo che alla fine i depositi erano assicurati. Mentre i depositanti inglesi e olandesi sono stati cinici (se va bene guadagno, se va male sono coperto), gli islandesi sono stati ingenui (le attività finanziarie non possono mai andare veramente male).


Pubblicato su «Il Foglio» dell’8 marzo 2010:

http://www.ilfoglio.it/soloqui/4597