Ora che il governo americano ha deciso di fare causa a Standard and Poor’s, l'agenzia di rating colpevole di giudizi sbagliati nel 2007, tutti si sono accodati. Soprattutto le grandi banche, che hanno così trovato un modo per ripulirsi l’immagine (quanto alla coscienza ovviamente c’è poco da temere, non c’è).
Centoventotto pagine di accuse, cinque miliardi di dollari richiesti come risarcimento danni: così il dipartimento della Giustizia dell’Amministrazione Obama ha stabilito che i conti sullo choc finanziario del 2008 non sono ancora stati regolati, e che i responsabili devono ancora pagare. Le grandi banche, che in quello choc persero miliardi e credibilità, ora se ne approfittano per dire che anche loro sono stati ingannati dai rating delle agenzie, che continuavano a essere alti anche riguardo a prodotti molto rischiosi (che poi si sarebbero rivelati molto tossici), e che quindi le loro politiche erano state tutte adottate in buona fede.
A dire il vero, questa è una teoria che i banchieri hanno cercato di promuovere da tempo: nel 2011, Charles Prince, capo di Citigroup, disse alla Financial Crisis Inquiry Commission: “Se qualcuno mi avesse detto che stavamo mettendo, su 2000 miliardi di bilancio, 40 miliardi di prodotti con rating AAA e a rischio zero, non avrebbe certo attirato la mia attenzione”. Come ha scritto Jonathan Weil su Bloomberg View (3), molte banche come Citigroup, Merrill Lynch e Bank of America, che vendevano quei titoli, se li compravano anche per tenerli nel loro portafoglio, perché pensavano davvero che avessero valore.
La svolta dell’Amministrazione dà nuova linfa a questa argomentazione, tanto che le maggiori banche stanno lanciando una campagna per sostenere che qualche leggerezza c’è stata, sicuramente, ma era il sistema a essere drogato. L’azione del governo è quanto mai dolorosa e inaspettata e mentre molti hanno celebrato il coraggio di Barack Obama a porsi contro i colossi del rating, altri hanno mestamente sottolineato che nella caccia ai colpevoli si dimentica spesso che l’Amministrazione ha avuto 4 anni per mettere a posto le cose, e non è che ci sia riuscita in modo splendido.
E non bisogna dimenticare che tra tutte le agenzie di rating, S&P è quella che ha osato il massimo oltraggio: declassare il rating del debito americano quando, nell’estate del 2011, ci fu uno scontro epocale tra Obama e il Congresso finito con un tragico disaccordo sul budget. Robert Samuelson, sul Washington Post, è molto critico rispetto all’Amministrazione. La causa intentata dal governo rischia di portare S&P al fallimento, a tutto vantaggio delle altre due agenzie di rating che dettano legge – da un oligopolio si passerebbe a un duopolio che non promette nulla di buono.
E il wishful thinking che albergava un po’ ovunque, nelle banche come nelle agenzie di rating, era identico: prendersela soltanto con uno fra tutti fa molto proveddimento ad hoc, o forse sarebbe meglio parlare di “vendetta”.
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