Oggi sono stati resi noti gli andamenti del Pil degli Stati Uniti. Poi la Federal Reserve ha terminato la propria riunione e ha emesso il comunicato. Di seguito, dopo le molte notizie della giornata, che commentiamo, esponiamo la nostra interpretazione degli avvenimenti.


Il Pil statunitense è flesso del 6% (I trimestre del 2009 in rapporto al IV trimestre del 2008, la variazione trimestrale è poi moltiplicata per quattro, ossia resa annuale per dare idea della velocità). Sono cadute parecchio le scorte e i consumi sono leggermente cresciuti. Da qui l’idea di molti che, poiché 1) ormai le scorte sono ai minimi e quindi dovranno essere ricostituite (ergo, aumentata la produzione) e 2) i consumi non si sono contratti, allora l’economia si sta riprendendo. In altre parole, che «il peggio è alle spalle». Si aggiunge che, poiché la spesa pubblica si è, nei primi mesi dell’anno in corso, leggermente contratta, mentre fra non molto sarà espansa, si avrà un altro fattore di stabilizzazione.
 
Questa lettura del Pil si riverbera negli andamenti settoriali. I settori dello Standard & Poor’s che vanno meglio in termini di dinamica dei prezzi, ossia che hanno una quotazione corrente eguale a quella media degli ultimi duecento giorni, sono quello dei consumi detti discrezionali e quello della tecnologia. Entrambi sono sensibili al rimbalzo dei consumi delle famiglie. Insomma, la borsa prevede che le famiglie, pur indebitate in un contesto di disoccupazione crescente, siano pronte a riprendere i consumi come nel passato non troppo lontano. Sembrano essere state dimenticate le lunghe discussioni sulle ripercussioni delle crisi finanziarie. La ripresa economica, dopo una crisi finanziaria, è sempre stata inferiore alla ripresa senza una crisi finanziaria.
 
La Federal Reserve nel suo comunicato dichiara che intravede solo segnali di non peggioramento dalla riunione di marzo («outlook improved modestly»), e pensa che la ripresa sarà lenta («remains weak for a time»). Osserva anche che si ha un’inflazione bassissima, ma dichiara che vigila, se i prezzi incominciassero a salire. Infine, ribadisce che acquisterà 1,5 trilioni di dollari d’obbligazioni e debiti delle imprese quasi pubbliche che emettono obbligazioni per finanziare mutui ipotecari, e 300 milioni di dollari di debito pubblico. Lo scopo degli acquisti è quello di schiacciare il costo dei mutui per le famiglie. Una lettura diversa da quella di Wall Street. Potremmo dire che Wall Street vede la «ripresa dietro l’angolo», mentre la Federal Reserve la vede molto più lontana.
 
Queste visioni contrapposte, ossia un mercato azionario che pensa a una ripresa a «V», caduta-recessione breve-ripresa, mentre la Federal Reserve, il Fondo Monetario e l’Ocse militano per una ripresa a «U», caduta-recessione lunga-ripresa, non sono un fenomeno solo statunitense. La Germania registrerà, secondo il governo, una flessione dell’economia nell’ordine del 6% nel 2009 rispetto al 2008. Sono anche usciti numeri poco incoraggianti sulle banche. Secondo la «Süddeutsche Zeitung», i conti dell’autorità di controllo mostrano come i titoli tossici e i cattivi crediti siano intorno a un trilione di dollari.
 
La reazione dei mercati a questi avvenimenti? Negli Stati Uniti la borsa sale e le obbligazioni del Tesoro a lungo termine flettono. In Europa la borsa sale, mentre le obbligazioni del Tesoro sono stabili.
 
Si potrebbe pensare che, se le cose stanno migliorando, è logico che sia così, ossia si compra il futuro migliore (i dividendi delle imprese, che possono crescere) e si abbandona il passato del timor panico (le cedole del Tesoro, che sono fisse).
 
Secondo un’interpretazione diversa – che è anche la nostra –, si compra il futuro che si spera sia migliore, mentre si vende quel che lo potrebbe rendere migliore. Articoliamo il ragionamento. Il futuro migliore, nelle condizioni di oggi, si ha, volenti o nolenti, con la maggior spesa pubblica e con il salvataggio delle banche. Ossia con il maggior debito pubblico. Il maggior debito pubblico, per essere sottoscritto, richiederà rendimenti maggiori e perciò lo si abbandona (i prezzi delle vecchie emissioni, se le cedole delle nuove salgono, devono scendere).
 
Dunque si compra «il finanziato» e si abbandona «il finanziatore». Peccato che il finanziato, ossia le azioni, siano ancora care, soprattutto se si guarda agli utili rettificati e non a quelli «pro forma», e che le obbligazioni private abbiano rendimenti che si giustificano con catene di fallimenti. Insomma, si abbandonano il debito privato e quello pubblico e si comprano le azioni, che, si spera, alla fine raccoglieranno i frutti della crisi. Come possano le azioni andare bene se i debiti pubblici si espandono a un costo crescente, mentre vi sono catene di fallimenti, resta, ai nostri occhi, un mistero.
 
Facciamo un esempio: come può l’azione dell’impresa X salire, perché il futuro è migliore, mentre l’obbligazione pure dell’impresa X, che scade proprio quando, sempre secondo le sue azioni, il futuro sarà già migliore, quota molto sotto la pari? Dovrebbero salire entrambe, oppure nessuna delle due, eppure questo non avviene.
 
Guardando i grafici sotto, del «Financial Times», che sintetizzano gli ultimi notevoli lavori del Fondo Monetario, ci si chiede come si possa non essere preoccupati. Quadrante in alto a sinistra: stima delle perdite sui titoli tossici e sui crediti. Negli Stati Uniti le perdite sono soprattutto sui titoli tossici, in Europa sui crediti. Quadrante in alto a destra: stima del fabbisogno di finanziamento delle grandi banche. Quadrante in basso a sinistra: crescita del debito pubblico per salvare il sistema finanziario, e crescita del debito pubblico complessivo. Quadrante in basso a destra: andamento del credito dopo le crisi finanziarie. Si vede che le banche riducono la leva creditizia.

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