Finalmente il ministro del Tesoro statunitense, Timothy Geithner, è intervenuto con un discorso appassionato. Il succo è che, per ora, non è affrontato in modo radicale il problema della crisi del settore finanziario.

Né si vede come avrebbe potuto essere affrontato radicalmente. Le stime circa le perdite potenziali sulle obbligazioni tossiche ipotizzano una forchetta che va da due a quasi quattromila miliardi di dollari. Non si capisce quindi su che base, la scorsa settimana, qualcuno abbia potuto spingere al rialzo dei prezzi delle azioni sull’assunto che le cose potessero migliorare velocemente. C’è qualcosa di nuovo nel piano di Geithner rispetto a quello del predecessore Paulson?
 
Sì, ed è il coinvolgimento dei privati, ai quali eventualmente dare i mezzi finanziari per comprare le obbligazioni tossiche. Se le comprano, i prezzi salgono, mentre le banche le vendono volentieri perché registrano perdite minori. Il coinvolgimento dei privati è importante da un punto di vista politico: così l’Amministrazione può affermare che non usa i denari dei contribuenti per togliere dai pasticci la finanza. Se i privati non si muovono, viene meno l’inibizione ad agire in maniera risoluta. Comunque sia, il piano di Geithner non porta a una soluzione immediata del problema dei titoli tossici e dunque non agevola l’uscita veloce dalla crisi. Oggi, dopo il discorso, i mercati azionari hanno virato all’ingiù con violenza. Da qualche tempo lo S&P 500 (e l’Eurostoxx 50) erano stabilmente dentro un canale ascendente, delimitato da due rette pari al doppio della deviazione standard. Oggi questo canale è stato rotto. Un fatto non banale. Se i mercati ora si volgono a scontare una lunga recessione invece della speranza che questa si manifesti per pochi mesi, dove possono andare?

Nel novembre del 2002, con una recessione morbida, l’utile per azione dello S&P 500 era pari a 30 dollari. Poi, dal 2002 al 2007, con la ripresa, gli utili sono saliti da 30 fino a oltre 80 dollari. Gli utili del terzo trimestre 2008, gli ultimi noti, si attestano sotto i 50 dollari. Quelli del quarto trimestre 2008, che stanno uscendo, potrebbero andare sotto i 40. Nel corso del 2009 gli utili potrebbero passare a 30 dollari. Infine, nei prossimi anni gli utili dovrebbero salire meno del passato recente, per la mancanza di motori di domanda. Nel ciclo precedente, il grande consumo delle famiglie e la grande leva del settore finanziario. I prezzi delle azioni non dovrebbero perciò cadere poco, aspettando la ripresa degli utili, come avvenuto nel 2002, quando agiva il ragionamento (corretto) che tanto i profitti poi sarebbero ricresciuti molto e in fretta.

La previsione è di un’ulteriore flessione delle azioni, prima, poi di un rimbalzo meno forte di quelli sperimentati nel passato recente. Proviamo a quantificare: possiamo immaginare che, se paghiamo gli utili circa 15 volte, come nella media degli ultimi vent’anni, avremo un livello dei prezzi di 450 (=30x15). Se immaginiamo che il moltiplicatore degli utili non sia «meccanicamente» applicato agli utili «depressi», ma a utili già più «normali», allora possiamo avere un livello di 750 (=50x15). Un ragionamento simile si può fare per l’Europa. Il livello di 750 dello S&P 500, tra l’altro, non è diverso dal minimo del 20 novembre 2008, nonché circa eguale al numero che si ottiene dall’analisi tecnica, inferiore a 750.

Ecco il grafico orario dello S&P 500, sopra, e dell'Eurostoxx 50, sotto. A sinistra si vede il minimo di novembre, al centro la ripresa stentata e infine, a destra, la rottura d’oggi. I grafici sono quasi identici. Le differenze, quando ci sono, non sono sulla direzione, ma sulla pendenza delle riprese e delle correzioni.


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