Il semestre scorso ha visto la crisi raggiungere il suo picco massimo. Di fronte al malato (l’economia), i policy makers di tutti i principali paesi hanno cercato le medicine più appropriate. Trattandosi di una crisi con cause strutturali e non solo congiunturali, nella ricerca delle cure ci si è concentrati, oltre che sugli interventi di rilancio della domanda, anche sulle riforme del sistema finanziario e sulla predisposizione di regole che scongiurino il ripetersi di shock sistemici tanto forti come quello appena attraversato. Nella seconda metà dell’anno il dibattito sui diversi sistemi di regole proposti arriverà a conclusione e si determinerà l’assetto del panorama economico-finanziario del dopo-crisi. Cerchiamo quindi di «fare il punto» in modo da poter seguire gli sviluppi dei prossimi mesi, con spirito critico e proponendoci di cogliere pro e contro di ciascuna proposta. Sul tavolo si stanno giocando, in particolare, tre partite.
1. Lo sforzo più onnicomprensivo di sviluppare una cornice di regole globali condivise da tutti i paesi avanzati è costituito dal tentativo di definire un global standard (o global charter) portato avanti fin dai primi mesi dell’anno su spinta dei governi italiano e tedesco in stretta collaborazione con l’Ocse. Dopo una serie di incontri preliminari (Parigi, Berlino, Roma) e una prima discussione ufficiale della proposta al London Summit in aprile, i ministri economici del G8 hanno pubblicamente appoggiato, il 13 giugno, la cosiddetta Lecce Framework, una cornice di regole e propositi che porti al pieno utilizzo degli strumenti esistenti e a svilupparne di nuovi per garantire una governance trasparente delle economie mondiali. Gli strumenti con i quali garantire il nuovo «ordine mondiale» sono classificati in cinque categorie: corporate governance, integrità dei mercati, regolazione e supervisione finanziaria, cooperazione fiscale e trasparenza delle politiche e dei dati macroeconomici. Saranno efficaci gli strumenti alla base dei global standard? Il progetto è di un’ampiezza tale da rendere difficile una valutazione preliminare. I rischi più evidenti sono un’ingessatura dei mercati e un eccesso di regolamentazione che non sempre, come i casi recenti nell’ambito della governance aziendale hanno dimostrato, conducono a risultati efficienti in termini di trasparenza. Sicuramente, per la portata delle misure proposte e per l’importanza degli attori coinvolti (allo sviluppo dei global standard partecipano i ministri dell’economia dei principali paesi e le maggiori istituzioni internazionali) varrà la pena seguire gli sviluppi del progetto attentamente nel corso dei prossimi mesi.
2. La seconda partita che si sta giocando è quella per la riorganizzazione dei sistemi di vigilanza. Sia in Europa sia negli Stati Uniti la tendenza è all’accentramento dei poteri di sorveglianza. Negli Stati Uniti il Tesoro preme per un potenziamento della Fed, scontrandosi però con diversi esponenti repubblicani al Congresso e con i rappresentanti delle varie authorities esistenti. In Europa la partita si gioca tra i paesi continentali e il Regno Unito: se i primi premono per l’istituzione di due organismi (lo European Systemic Risk Council per la supervisione dei rischi macro, sotto la guida del presidente della Bce, e lo European System of Financial Supervision per la supervisione dei rischi micro), il Regno Unito teme la perdita di sovranità sul proprio avanzato sistema finanziario e una crescente ingessatura dei mercati. Il risultato dei due scontri determinerà il futuro assetto della finanza mondiale; gli interessi in gioco sono molti, sia sul piano politico (fautori del libero mercato contro fautori di una più stretta regolamentazione) sia sul piano geopolitico (paesi con elevata presenza di istituzioni finanziarie contro paesi con sistemi finanziari meno evoluti).
3. C’è, infine, il tentativo di regolamentare gli strumenti finanziari e sottoporre a vigilanza attori del mercato finanziario finora largamente esclusi dalla supervisione da parte degli organismi preposti. La Securities Exchange Commission (SEC) ha promesso una stretta sulle transazioni superveloci e una maggior vigilanza sui derivati, mentre saranno probabilmente aumentati gli obblighi di pubblicità in capo agli advisor degli hedge funds. Occorre però fare attenzione a che la risposta alla crisi non sia una medicina troppo pesante, in senso opposto al male che si intende curare. I derivati sono strumenti importanti (permettono, ad esempio, di tutelarsi da determinate oscillazioni di mercato) e le transazioni superveloci, sfruttando istantaneamente qualsiasi possibilità di arbitraggio, svolgono in realtà un ruolo di stabilizzazione dei mercati. Gli hedge funds, oltre a non essere stati praticamente sfiorati dall’attuale crisi, rappresentano un utile strumento di controllo dei mercati e di incentivo al miglioramento delle performance aziendali. Poco chiare le idee su come intervenire per risolvere la scarsa efficacia delle agenzie di rating nel fornire informazioni utili agli investitori. Occorrerebbero tanto un intervento di regolamentazione – per risolvere i conflitti di interesse, quanto un intervento di deregolamentazione – rimozione degli obblighi di registrazione e di rivolgersi a un gruppo ristretto di attori. Aprire il mercato delle agenzie di rating non sembra però essere nell’agenda dei principali governi.
Saranno determinanti, per il risultato delle tre partite in corso, le tempistiche decisionali e di uscita dalla crisi. Se l’uscita dalla crisi sarà più rapida del previsto (o i tempi per raggiungere le intese più lunghi) è probabile che le velleità di regolamentare il mercato si riducano notevolmente. Viceversa, usciremo dalla crisi con un assetto profondamente modificato, forse più stabile, più regolamentato, ma a rischio di performance minori rispetto al passato.
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