Nei dibattiti poco spazio hanno le vicende immobiliari, salvo quando, ogni tanto, per esempio in Italia, si parla delle imposte sulla casa, o sulla casa come investimento da preferire ai BOT o alle azioni (1). Il settore immobiliare ha una notevole importanza macro-economica di cui si parla poco. Addirittura contribuisce ad alimentare le diseguaglianze (2).
1 – Una premessa
Una volta – agli inizi del XIX secolo - si ragionava di terre agricole e di rendita fondiaria. a) Man mano che cresce la domanda di cibo si coltivano le terre meno produttive, ciò che avviene con dei prezzi maggiori, i soli che giustifichino la loro messa a coltura, ma la crescita dei prezzi dei beni agricoli alza il prezzo dei beni salario. b) Le terre più produttive hanno dei ricavi (i prezzi sono gli stessi di quelli delle terre meno produttive) maggiori dei loro costi (hanno nel contempo dei costi inferiori a quelli delle terre meno produttive), ossia hanno (un reddito come differenza fra ricavi e costi) una rendita. Quindi si ha una spinta ad avere - per effetto del maggior prezzo del grano - un costo del lavoro accresciuto, e delle rendite fondiarie elevate. Da qui l'idea dei liberali inglesi di aprire alle importazione di grano dall'America.
All'epoca – quella dell'economia detta “classica” – i fattori di produzione erano la terra, il capitale, ed il lavoro. Poi la terra – verso la fine del XIX secolo - è “inghiottita” nell'edificio dell'economia detta “neo-classica” dal fattore capitale, anche perché con lo sviluppo industriale prima, e dei servizi poi, l'importanza della terra era andata scemando. Questi grafici (3) mostrano la caduta drammatica della ricchezza agricola (terres agricoles) in Francia, Gran Bretagna, Germania, e Stati Uniti. Gli stessi grafici mostrano l'esplosione della ricchezza immobiliare, quella che trae origine reddito generato dal patrimonio abitativo (logements). Secondo un'interpretazione, il XIX secolo è stato – tenendo conto del peso nella politica e del peso della ricchezza terriera – un secolo ancora “aristocratico” e non compiutamente “borghese” (4).
2 – Immobile, anelastica, eterna, bene base, riserva di valore ...
La terra - a differenza del capitale e del lavoro - è “immobile”. La terra - a differenza di altri beni – ha un'offerta “anelastica”, ossia non cresce, salvo il caso peraltro di modesta entità delle terre strappate al mare. La terra è “eterna”, nel senso che c'era ai tempi dei dinosauri e potrebbe sopravvivere all'uomo sapiens sapiens. Infine, la terra entra in tutte le attività economiche, insomma è un “bene base”.
Esplode la domanda di un bene qualsiasi, ed ecco che i fattori vengono ricombinati per offrirlo a sufficienza, finché prezzi e quantità non raggiungono un equilibrio. Nel caso della terra non si può incrementare l'offerta. Si può sopperire all'offerta anelastica costruendo grattacieli, ma anche questa soluzione ha un limite. L'offerta anelastica rende la terra simile all'oro, con la notevole differenza che la terra genera un reddito (5). L'offerta anelastica, infine, fa sì che la terra diventi una “riserva di valore”. Mentre il capitale industriale deperisce, la terra, proprio perché anelastica ed eterna, tende a rivalutarsi con l'economia e/o la popolazione che crescono. La terra diventa così uno strumento di garanzia per i crediti (collateral).
Dal che sui arguisce che le variabili cruciali sono: a) come le licenze edilizie sono regolate – alias il controllo dell'offerta, b) quanto l'industria finanziaria è libera di finanziare l'acquisto di un'attività avendo come garanzia dei propri crediti l'attività stessa. Segue che: più l'offerta è limitata e più i prestiti sono “facili” più i prezzi salgono e si ha la “bolla immobiliare” (6). Una complicazione si ha quando una forte crescita dei prezzi degli immobili dovuta al credito facile, si combina con le politiche monetarie lasche: il credito continua a defluire in un settore a bassa produttività (7).
3 – Settore immobiliare e diseguaglianze
Secondo la teoria dominante (neo-classica”) il reddito di un fattore si determina a partire dal suo contributo al prodotto. Il salario riflette il prodotto addizionale che un ulteriore lavoratore genererebbe. Per questa ragione il contributo al prodotto lo si definisce “al margine”. Se i salari sono sotto la produttività, alle imprese conviene assumere nuovi lavoratori, e viceversa, se i salari sono sopra la produttività. I nuovi assunti fanno salire i salari fino a che non diventano eguali al prodotto marginale, così come i dismessi li fanno scendere fino ad essere eguali al prodotto marginale. I redditi individuali sono pertanto - quando in "equilibrio" - eguali alla produttività, che, a sua volta, è eguale alla capacità profusa dai singoli. L'ineguaglianza – attenzione: in “concorrenza perfetta” - dipende così dalla maggiore capacità di alcuni di incrementare la produttività. Da tempo si cerca una buona spiegazione della crescita della produttività di tanto maggiore della crescita salariale, che la teoria, presa nella sua semplicità, non riesce a dar conto. Si ha così quella dell'economia delle “superstar”, laddove il vincitore “porta via tutto il piatto”, si ha quella della de industrializzazione, della globalizzazione, della de sindacalizzazione eccetera.
I grafici richiamati al punto (3) mostrano come la ricchezza si sia trasformata, e come quella di origine abitativa sia quella che dopo la Seconda Guerra è cresciuta di più. Ossia, la ricchezza che è cresciuta di più non è - come in molti credono quando accusano dell'incremento delle diseguaglianze le multinazionali e la globalizzazione - quella “produttiva”. In questa nota, che a differenza dei grafici non mostra la dinamica della ricchezza ma del reddito, si argomenta che la distribuzione del reddito fra profitti e salari è addirittura costante nel Secondo dopoguerra, se si escludono i redditi di origine immobiliare (8).
Se la proprietà immobiliare non è in origine ripartita in misura eguale fra la popolazione, si avrà che, con la crescita della ricchezza immobiliare, dovuta ai meccanismi accennati di offerta anelastica, chi possiede già una proprietà o ne possiede numerose diventa più ricco. Simmetricamente, chi non possiede alcuna proprietà e la vuole, deve pagarne di più il possesso - un minor tasso di interesse sui mutui non compensa la crescita del prezzo dell'immobile, così come, in alternativa al possesso, pagherà di più l'affitto. Chi non possiede già uno o più immobili deve risparmiare, ossia consumare meno, mentre chi li possiede non deve risparmiare, anzi può usare l'immobile come garanzia di nuovi prestiti che gli consentono di consumare di più (home equity withdrawal). Questo è il meccanismo che genera diseguaglianza. Lo si può complicare tenendo conto delle città, ovvio che il centro di Londra avrà dei prezzi ben diversi dal centro di una qualsiasi cittadina, ma nei limiti della nota non è necessario. Per un ragionamento più legato alle vicende immediate (9).
Naturalmente le caratteristiche correnti del settore immobiliare non sono il frutto di una qualche “Volontà Divina” e quindi possono essere cambiate (10).
1 - http://www.centroeinaudi.it/cerca.html?gsquery=casa
2 – J Ryanj Collins, T Looyd, L Macfarlane, Rethinking the Economics of Land and Housing, New Economics Foundation, 2017.
3 - Ripartizione della ricchezza:
http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G3.1.pdf
http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G3.2.pdf
http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G4.1.pdf
http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G4.6.pdf
4 – Arno J Mayer, Il potere dell'Ancien Règime fino alla prima guerra mondiale, Laterza, 1982
7 - La Banca dei Regolamenti Internazionali sostiene che il sistema ha “troppa finanza”, perché il mantenimento dei tassi di interessi ad un livello esageratamente basso porta ad una allocazione inefficiente delle risorse, oltre che alla possibilità di crisi continue alimentate dall'accumulazione da un debito che costa poco.
I debiti vanno perciò compressi e vanno rilanciate le politiche dell'offerta: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4217-opzioni-di-politica-economica.html
10 – J Ryanj Collins, T Looyd, L Macfarlane, Rethinking the Economics of Land and Housing, New Economics Foundation, 2017, capitolo 7, pagine 189- 223
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