L’andamento del mercato delle materie prime è stato particolarmente negativo in questa prima parte del 2013 e l’impatto è rilevante non tanto per gli investitori, ma in misura molto più significativa per i diversi settori industriali e per le economie in generale. Ciò è dovuto alla diversa sensibilità che le singole realtà segnalano ai movimenti del grano piuttosto che dell’argento o del gas naturale.
Il secondo trimestre dell’anno è solitamente il più sensibile alle stagionalità e nel corso del tempo ha mostrato i cali più rilevanti rispetto al resto dell’anno. Nel secondo trimestre del 2013 la fotografia indica ribassi che vanno da un minimo del 10% per le materie prime agricole fino ad un calo del 30% per l’argento. Dal 2010 ad oggi i movimenti negativi sono stati anche più significativi, arrivando a discese del 40% per i prezzi dei minerali ferrosi (Iron Ore).
I singoli settori industriali reagiscono in maniera diversa a questi movimenti. Se è facilmente intuibile che il settore dell’industria estrattiva è il più sensibile, meno intuitiva è la dinamica delle altre industrie. In linea di massima, in Europa le industrie più sensibili sono le cosiddette cicliche (ad esempio oltre alle estrattive, le chimiche, i beni capitali, i beni durevoli, i semiconduttori) le quali si muovono nella stessa direzione delle materie prime; all’opposto, ci sono le industrie anticicliche (ad esempio farmaceutiche, alimentari, distribuzione) che si muovono in direzione opposta alla variazione dei prezzi delle materie prime. Le industrie meno sensibili sono i settore dei media, automobilistico, telecomunicazioni e tecnologico (hardware). Il settore finanziario mostra una sensibilità (molto bassa) analoga a quella di questi ultimi settori per dimensione (circa il 15% di correlazione), ma inversa per segno tra banche (cicliche) e assicurazioni (anticicliche).
A questo si deve aggiungere la dispersione geografica delle imprese e dei mercati di accesso delle materie prime. Ad esempio, è diverso se un impianto chimico che produce fertilizzanti è prossimo o distante dal fornitore di materia prima e se il paese di residenza è produttore o importatore. Infatti, mentre le industrie che estraggono materie prime sono geograficamente localizzate e non decentrabili (e quindi sono quelle per cui l’impatto della variazione dei prezzi è potenzialmente maggiore) diversa è la condizione per le imprese e paesi che si alimentano e trasformano le commodities. Infatti, se consideriamo la diversa distribuzione del peso delle esportazioni nette di materie prime a livello di singoli paesi abbiamo un quadro geografico dell’impatto teorico quando i prezzi subiscono variazioni rilevanti.
Agli estremi abbiamo la Russia (12%) e l’Italia (-4%). Insieme alla Russia, la cui economia è fortemente dipendente dall’export di gas naturale e petrolio, abbiamo paesi le cui economie sono significativamente legate alla presenza di giacimenti di prodotti petroliferi e di minerali (Norvegia, Australia, Sud Africa, Canada e Brasile) e che, ovviamente, hanno un apparato industriale in cui queste attività sono dominanti. All’opposto, oltre all’Italia, ci sono i paesi trasformatori e privi di risorse come gli altri paesi europei e il Giappone. A livello mondiale le stime indicano che la caduta del prezzo del petrolio del 15% dal massimo di febbraio potrebbe avere un impatto positivo sulla crescita del Prodotto Interno lordo di 0,2%. Se dovesse confermarsi la tendenza a prezzi in ribasso, le aree maggiormente trasformatrici potrebbero beneficiarne in misura anche maggiore rispetto alle aree di estrazione.
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