Il nuovo volume di Limes (a) sarà presentato a Genova in tre giorni di dibattiti (b). Di seguito il mio contributo. Nel corso degli ultimi decenni si è imposto il mercato finanziario. Non che in passato non ci fosse la finanza, semplicemente essa era poco sviluppata. Oggi il mercato finanziario entra da protagonista nella vita di tutti i giorni. Come giudicarlo, come prevederlo? Possiamo provare a fare un ragionamento a tre strati: il primo sul passato remoto, il secondo sul passato recente, il terzo sul futuro.
1- Il passato remoto
Lo strato lungo è quello che osserva con distacco olimpico i mercati nell'ultimo secolo. Si ordinano i risultati (ossia i rendimenti intesi come variazione del prezzo delle attività finanziarie con l'aggiunta dei dividendi e delle cedole distribuite, al netto dell'inflazione) delle azioni, delle obbligazioni a lungo (come i BTP) e a breve termine (come i BOT) dei diversi Paesi.
Che cosa si scopre? Banalmente: il “peso della Storia” (1). I Paesi che hanno vinto le guerre, e che non hanno avuto delle crisi post belliche devastanti, sono quelli che hanno avuto i mercati finanziari migliori. Per effetto delle Guerre delle Rivoluzioni il debito pubblico tedesco, austriaco, giapponese, italiano, russo e cinese è uscito devastato. Mentre quello dei Paesi anglosassoni e neutrali - Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Svizzera, Svezia, eccetera - è uscito intatto dalle guerre. Le azioni non hanno avuto, alla fine, un andamento troppo diverso fra Paesi, escludendo quelli che hanno sperimentato le Rivoluzioni, perciò la vera differenza fra “vincitori” e “vinti” è nel comportamento del debito pubblico.
Naturalmente molto tempo è passato, e perciò la memoria si è spenta. Per esempio, il debito pubblico tedesco oggi è considerato il massimo della sicurezza, ma così non era ai tempi di Weimar. Un altro aspetto è la cautela nell'accogliere i risultati di lungo termine come anticipazioni di quelli futuri, ossia, ciò che è stato vero in passato non necessariamente sarà vero in futuro. La Svizzera, per esempio, era un “approdo sicuro” sotto condizioni politiche, militari, e finanziarie particolari (2). Oggi e in futuro non è detto che lo sia.
Possiamo perciò provare a trarre delle prime considerazioni sulla “prevedibilità”. Prevedere l'andamento dei mercati finanziari agli inizi del XX secolo, voleva dire prevedere due Guerre Mondiali oltre che due Rivoluzioni maggiori. Una cosa piuttosto difficile da immaginare, ed, in ogni modo, non sufficiente per decidere dove investire. Pochi giorni prima che scoppiasse la Prima Guerra, le obbligazioni dei Paesi che poi la avrebbero condotta non si erano, infatti, mosse, perché nessuno pensava che non si sarebbe trovata per tempo una soluzione (3).
2- Il passato recente
Ed eccoci al secondo strato. Se pensare che esista una prevedibilità storica non ha senso, hanno, invece, senso le previsioni di più breve termine? Per saggiare i punto, prendiamo il rendimento del BTP che, nell'estate del 2011, veleggiava ad un livello più che triplo – il 7 per cento - rispetto a quello di oggi – inferiore al 2 per cento. Come è possibile una caduta del rendimento di questo tenore? Nel 2011 era davvero prevedibile che il BTP passasse in tre anni dal 7 al 2 per cento?
Proviamo a scavare nella crisi del 2011 e 2012. C'è un aspetto che non era e non è tenuto nella debita considerazione, un aspetto che potremmo chiamare della “profezia che si auto invera”. Se il costo del debito sale, come avviene quando i titoli in scadenza sono rinnovati al 7 per cento, diventa ovviamente molto più difficile metterlo sotto controllo, e ciò alimenta il “premio per il rischio”. Il timore che il debito possa non essere rimborsato chiede un “premio”, e il premio fa salire il rendimento richiesto per sottoscriverlo alle aste e quindi il costo per il Tesoro. Con l'ascesa del costo del debito e con l'economia depressa, è giustificato lo scetticismo di chi chiede rendimenti alti o di chi addirittura vende il debito nonostante i rendimenti.
Questa meccanica consente di leggere le vicende della crisi del debito italiano del 2011 e della sua ripresa dal 2012. Nella crisi del 2011 e 2012 sono venditrici nette di debito italiano le banche estere, mentre riduce gli acquisti la finanza non bancaria estera (4). Insomma, l'estero o vende oppure compra meno il debito italiano quando i rendimenti sono molto elevati, ossia quando i prezzi sono bassi. La quota del debito italiano detenuta dall'estero scende negli ultimi anni da quasi il 45% verso il 35%, mentre sale pro quota la quota detenuta dagli italiani.
Nel 2012 scatta nell'Euro-zona il Long Term Refinancing Operations (LTRO), che consente alle banche di credito ordinario di indebitarsi con la banca centrale per un certo periodo con un tasso che allora era significativamente inferiore a quello dei titoli di stato dei Paesi “messi peggio” di durata equivalente. Scattano così gli acquisti del debito pubblico italiano da parte delle banche italiane. La differenza di rendimento porta ad un guadagno di “arbitraggio” che incrementa gli utili delle banche, che, se non distribuiti in forma di dividendi, accrescono il capitale di rischio, e quindi la loro capacità di erogare credito. Le banche italiane hanno quindi guadagnato con il LTRO, e, allo stesso tempo, hanno visto crescere i prezzi delle obbligazioni che detenevano. I loro bilanci su questo fronte sono visibilmente migliorati.
Una volta che il costo atteso del debito pubblico si comprime, il meccanismo descritto – quello della “profezia che si auto invera“ - gira al contrario. Non sono più necessarie manovre di correzione mostruose e quindi improbabili, e dunque cade il “premio per il rischio”. A quel punto l'estero – la profezia negativa non si è più “auto inverata” - torna a comprare i titoli del Tesoro italiano. Il debito italiano lo ha venduto – nel 2011 e 2012 - a dei prezzi di molto inferiori a quelli a cui lo ha comprato – nel 2013 e 2014. Gli operatori domestici hanno agito al contrario, perché hanno comprato a dei prezzi inferiori rispetto a quelli correnti. Possiamo così affermare che abbiamo avuto un gigantesco Buy Back. Gli italiani si sono comprati il loro debito guadagnandoci.
Alla complessità (e quindi alla difficile prevedibilità) dei comportamenti legati alle “profezie che si auto inverano”, dobbiamo aggiungere anche gli effetti dei risultati delle agenzie di rating. Standard & Poor's (S&P) ha abbassato due mesi fa il giudizio di merito di credito del debito pubblico dell'Italia (altrimenti detto rating) da BBB a BBB-. Dopo le tre B con il meno alla fine, esiste solo il giudizio di un pessimo investimento. Tempo fa ci sarebbe stata una discussione infinita sull'evento – accuse, controaccuse, sospetti di complotti, eccetera – oggigiorno, invece, la notizia è stata ripresa ma poi subito dimenticata. Soprattutto dimenticata dai BTP, che hanno chiuso sotto il 2 per cento di rendimento.
Precisamente S&P pensa che non ci sia in Italia una crescita economica sufficiente per mettere sotto controllo in maniera agevole il debito pubblico, con le riforme in corso di attuazione che avranno un effetto ritardato nel tempo. Nel caso delle agenzie di rating al voto segue il giudizio di sul futuro (altrimenti detto outlook). Nel caso dell'Italia esso è “stabile”, ossia S&P non pensa che le nostre condizioni peggioreranno, di man in mano che le riforme “morderanno”. Ossia, in conclusione, il debito italiano probabilmente non sarà ulteriormente declassato. Come si vede l'analisi non si discosta dalla media delle analisi, insomma non dice proprio nulla di nuovo. L'importanza del giudizio delle agenzie di rating non è perciò nell'acume di quel che dicono, ma nell'influenza che esercitano presso alcuni investitori che debbono vendere – per effetto dei regolamenti scelti liberamente - le attività finanziare con un rating basso.
Anche qui le cose non sono lineari. Una volta i titoli ad alto rating erano molti. Dopo la crisi del 2008 sono scesi i rating dei titoli legati al settore immobiliare soprattutto statunitensi (quelli che avevano in pancia i mutui ipotecari), e quelli di alcuni Paesi (fra cui l'Italia e la Spagna). I titoli ad alto rating sono così diventati relativamente pochi, e dunque la domanda ne ha alzato il prezzo. Il maggior prezzo ne ha abbassato il rendimento ( i prezzi e i rendimenti hanno un andamento opposto perché la cedola è fissa). Il rendimento è diventato così basso (si pensi alla Germania e ai suoi titoli decennali), che sono scattati gli acquisti di titoli a basso rating che rendevano di più (si pensi ai BTP e ai Bonos). Il maggior prezzo ne ha abbassato il rendimento, forse ad un livello che non avrebbero mai raggiunto senza la crisi. Ecco paradosso: più abbassi i rating più rendi attraenti i titoli di cui non hai abbassato il rating, più i rendimenti dei Paesi con il rating abbassato scendono.
3- Il futuro
Partiamo da mercato finanziario maggiore, quello statunitense. Come è possibile avere negli Stati Uniti dei rendimenti bassi (dei prezzi alti) delle azioni (che invocano una elevata crescita economica) insieme a dei rendimenti bassi (dei prezzi alti) delle obbligazioni (che invocano una modesta crescita economica)?
Il rendimento delle azioni si calcola a partire dagli utili, tralasciando i dividendi. Si assume, infatti, di essere indifferenti alla ripartizione degli utili, ossia se sono distribuiti o meno, dal momento che la parte non distribuita va ad accrescere il patrimonio netto. Inoltre, si prende la media degli utili degli ultimi dieci anni. Il rendimento delle azioni è quindi eguale all'utile degli ultimi anni diviso per il prezzo corrente – il 3,8 per cento. Il”premio per il rischio” - il maggior rendimento richiesto alle azioni per coprire il loro rischio - ruota intorno al 1,4 per cento, ossia il 3,8 per cento meno il 2,4 per cento, che è il rendimento (cedola su prezzo) delle obbligazioni decennali.
Rispetto alle altre due crisi famose – riportate nella seconda e nella terza colonna – siamo meglio messi. Allora il premio per il rischio era addirittura negativo. Chiediamoci che cosa succede se il premio per il rischio odierno viene confrontato non con le due succitate grandi crisi, ma con una media storica piuttosto lunga, superiore ai cento anni – la colonna a destra. Il premio per il rischio corrente e storico sono curiosamente eguali, ma per ragioni diverse.
Le obbligazioni in media storica hanno reso molto più – il 4,6 per cento. Ergo per avere un premio per il rischio positivo, il rendimento delle azioni doveva essere più alto, e, infatti, era intorno al 6 per cento. Per tornare ad avere istantaneamente un rendimento di questo tenore, o gli utili salgono molto a parità di prezzo, o i prezzi cedono molto a parità di utili. Oppure una combinazione dei due andamenti – gli utili salgono nel tempo mentre i prezzi sono cedenti sempre nel tempo. Anche i rendimenti delle obbligazioni decennali in circolazione, per tornare alla media storica, hanno bisogno di una flessione dei prezzi robusta.
Se pensiamo che alla fine i mercati siano spinti verso la media storica (si intende la media storica dei Paesi che sono sempre andati bene, la regressione verso la media della Germania implicherebbe il computo del periodo di Weimar), ossia se pensiamo che sia in azione più o meno marcata una “regressione verso la media”, allora i mercati finanziari degli Stati Uniti sono oggigiorno in un equilibrio precario. Un equilibrio “precario”, ma non ancora “pericoloso” come era quello delle due succitate grandi crisi.
1929 | 1999 | 2014 | Media 1881-2014 | |
Utile su Prezzo | 3,1% | 2,3% | 3,8% | 6,0% |
Cedola su Prezzo | 3,4% | 6,3% | 2,4% | 4,6% |
Premio Rischio | -0,3% | -4% | 1,4% | 1,4% |
Si ha chi la pensa diversamente, ossia si ha chi sostiene che siamo in una situazione anomala (5). Trattandosi di una anomalia “di lunga durata”, non si vede perché si dovrebbe “regredire verso la media”. La crescita della produttività negli Stati Uniti da molto tempo, infatti, si riversa quasi tutta nei profitti. I quali profitti crescono da decenni più di quanto sarebbero cresciuti con la ripartizione storica dei frutti del progresso tecnico con i salari. I profitti crescono perciò molto e dunque anche il prezzo delle azioni cresce molto. Inoltre, i maggiori profitti sono scontati con dei rendimenti delle obbligazioni in discesa, fenomeno che si manifesta per la disinflazione che dura ormai da decenni. A meno che i salari tornino a crescere, e, con una maggiore dinamica salariale, torni a crescere anche l'inflazione, la quota dei profitti resterà cospicua e il fattore di sconto – il rendimento delle obbligazioni - resterà basso. Insomma, il mercato finanziario statunitense potrebbe reggere fin tanto che il mercato del lavoro resterà debole.
4- Conclusioni
La previsione su base storica è impossibile, come quella relativa al passato recente, a meno di essere in grado di inserire nel ragionamento (non a posteriori, ma nel corso della crisi) delle cose bizzarre come “le profezie che si auto inverano” e il paradosso che più abbassi i loro rating più i rendimenti dei Paesi “mal messi” possono salire. L'esempio finale degli Stati Uniti mostra il punto sulla previsione. Se vale la “regressione verso la media”, oppure se siamo in una “anomalia di lunga durata” è il punto. Non si può sapere con certezza quale delle due ipotesi sia quella giusta. Le decisioni finanziarie, che debbono comunque essere prese, hanno perciò una elevata dose di incertezza.
La non prevedibilità o la difficile prevedibilità mostrano bene come le teorie del “complotto” o dei “poteri forti onniscienti” siano, in fondo, solo dei modi per cercare un “ordine nelle cose”, un ordine che però non c'è. I mercati finanziari non sono diversi dalle altre attività umane. La loro prevedibilità è bassa, sono sistemi caotici.
Affidare i propri risparmi sapendo che questi finiscono in un sistema caotico è decisione difficile da prendere per i più. L'industria finanziaria ha perciò dovuto inventare un sistema complesso per farsi affidare i risparmi. Essenzialmente, l'industria finanziaria diffonde l'idea che, nonostante tutto – guerre, crisi - i mercati finanziari alla fine salgono sempre – il che è vero, anche se in alcuni casi si sono dovuti aspettare decenni. Perciò basta pazientare che i propri denari daranno i loro frutti.
(a) http://temi.repubblica.it/limes/anteprima-di-limes-215-moneta-e-impero/67683?photo=12
(b) http://temi.repubblica.it/limes/a-genova-6-8-marzo-moneta-e-impero-il-2%C2%B0festival-di-limes/67644
(1) https://publications.credit-suisse.com/tasks/render/file/?fileID=0E0A3525-EA60-2750-71CE20B5D14A7818
(2) Angelo M.Codevilla, Between the Alps and a Hard Place, Regnery Publishing
(3) Nial Ferguson, The War of the World – pagina 86, Tabella 3:1.
(4) http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2012/wp12284.pdf (pagina 55)
(5) http://blogs.ft.com/gavyndavies/2014/11/09/the-very-long-run-equity-bull-market/
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