Solo l’altro ieri avere poca Cina era un punto di debolezza. Oggi le cose sembrano, almeno in parte, già cambiate. Prendiamo alcune misure dell’esposizione dell’Europa alla Cina e alle altre cinque economie asiatiche particolarmente esposte al rallentamento cinese (Asia 5: Australia, Corea del Sud, Honk Kong, Malesia e Singapore; Taiwan non è inserita per mancanza di dati. La fonte è Nomura, “If China sneezes”, 23 luglio 2013).

La misura più immediata è data dal peso delle esportazioni. Belgio, Germania, Olanda, Ungheria e Finlandia sono i paesi con la maggiore quota di export verso la Cina e “Asia 5”, con valori tra il 4,1% e il 2,5% del prodotto interno lordo. Un indicatore più efficace (TiVA, Trade in Value Added) del legame con l’economia cinese è fornito dall’OCSE (1) attraverso l’analisi del contenuto di valore aggiunto esistente nelle esportazioni e misurato in percentuale del PIL. In questo caso i valori cambiano con Ungheria, Finlandia e Irlanda tra i paesi più impattati dal rallentamento cinese. Il valore elevato dell’Ungheria è spiegato, ad esempio, dall’elevato peso di prodotti intermedi esportati in paesi terzi che li utilizzano per prodotti finiti destinati alla Cina.

Una misura ancora più ampia, che tenga conto della correlazione tra i mercati azionari, del peso degli investimenti diretti esteri (FDI, Foreign Direct Investment) e dell’esposizione bancaria, segnala che, nell’ipotesi di una crescita cinese sotto il 6% nel 2014, l’impatto sull’area euro sarebbe di circa 0,3 punti di PIL. Per l’Italia l’impatto è minore, circa lo 0,2% del PIL. Bisogna anche tenere conto della tipologia dei prodotti. Ad esempio, l’impatto sarebbe diverso tra paesi esportatori se il rallentamento cinese dovesse scaricarsi sui prodotti di beni durevoli piuttosto che sui beni di largo consumo o sul settore dei trasporti, data la maggiore o minore specializzazione di ogni singolo paese europeo nella tipologia di beni esportati.

Un aspetto che caratterizza comunque l’Italia è la esigua presenza finanziaria, misurata come totale dell’esposizione bancaria. Il peso delle banche italiane nell’area è inferiore allo 0,1% (per arrotondamento) degli attivi. Come noto, le istituzioni bancarie più attive sono inglesi, olandesi e francesi. Persino la Spagna ha un peso maggiore dell’Italia. Da questo punto di vista sembra particolarmente modesta, per le banche italiane, la possibilità che arrivino sorprese negative dal lontano oriente.

1) http://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=TIVA_OECD_WTO