Negli ultimi tempi si ha un gran discutere intorno agli investimenti detti passivi - quelli fatti tramite ETF e robot. Prima riprendiamo quanto già sostenuto (§1, §2), ma poi allarghiamo l'argomentazione. Proviamo a distinguere fra "credenze" e "mondo reale" (§3).
1 – Origine e limiti dell'investimento passivo (1)
Gli ETF – gli Exchange Trade Funds – riproducono gli indici, nel senso che investono esattamente come la composizione di questi ultimi, e lo fanno con un costo contenuto. Abbiamo così gli investimenti “attivi” che in maggioranza non battono gli indici e che per di più costano molto, poniamo il due per cento del patrimonio conferito, perché si deve pagare la ricerca e i gestori, e gli investimenti “passivi” che vanno esattamente come gli indici e che, al contrario, costano poco, poniamo lo zero due per cento del patrimonio, perché sono privi di ricerca e sono prodotti in maniera automatica. Non per caso caso quindi la quota di mercato degli ETF cresce a danno della quota dei fondi (3).
Si hanno però due problemi. Il primo è capire perché si riesce difficilmente a battere gli indici, il secondo è se davvero basti riprodurli.
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Per battere gli indici si debbono avere delle informazioni migliori del tipo: la società X andrà bene, mentre quella Y andrà male – quindi compro la prima e vendo al seconda. Informazioni che è difficile avere ed elaborare in maniera sistematica. Più precisamente, una volta si avrà ragione ed un'altra torto, ed i risultati, alla fine, si elideranno. Inoltre, messo mai che queste informazioni “differenziali” - ossia migliori di quelli di cui dispone la media degli investitori - sia possibile averle per primi e di averle poi in maniera sistematica, dopo qualche tempo tutti cercheranno di averle, e dunque il vantaggio iniziale si annullerebbe. Quindi non solo si può sbagliare nella scelta ripetuta dei titoli, ma anche qualora ci fosse un modo per fare meglio della media, ecco che scatterebbe il processo imitativo. Il quale ultimo elimina il miglior rendimento, che diventa qualche cosa di temporaneo (4).
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Compreso che è davvero difficile battere gli indici non per insipienza, ma per la presenza del meccanismo concorrenziale, resta aperto il vero problema, ovvero se questo basti. Ammettiamo che l'ETF sulla borsa statunitense sia meglio di un fondo attivo, allora che cosa si fa? Quanta parte del patrimonio va investita nell'ETF azionario? Il 100% se si pensa che la borsa farà sempre meglio delle alternative. Ma non potrà però fare meglio (e non lo ha mai fatto) in ogni sotto periodo. Per esempio nel 2007-2009 la borsa ha fatto molto peggio. In quel sotto periodo sarebbe stato meglio avere le obbligazioni. E dunque quanto si investe in obbligazioni e in liquidità per tener conto delle escursioni dei prezzi delle azioni?
2 – la corsa all'uso dei robot, che però hanno più punti di vista (2)
Tutto questo per dire che la compressione dei costi grazie agli ETF rende meno costoso investire (che non è poco), ma che per sé non risolve il problema di come (la scelta fra azioni, obbligazioni, liquidità) farlo. Più precisamente, la direzione degli investimenti è quella di combinare i diversi ETF grazie a degli algoritmi che calcolino la frontiera efficiente. In questo modo si automatizza l'asset allocation schiacciandone i costi. Si hanno perciò gli ETF che costano poco e l'Asset allocation che costa poco. Resta però aperto il problema di come valutare il futuro (5). Se quest'ultimo è in continuità col passato, allora questo approccio – quello della compressione dei costi - può funzionare, altrimenti costerà poco, ma potrebbe non funzionare.
L’accesso di massa ai portafogli basati sui modelli matematico/statistici attraverso i quali investire i propri risparmi è un processo avviato. Il fenomeno del fintech e dei robot adviser si accompagna alla crisi del modello tradizionale delle banche territoriali basato sulle reti di sportelli e sul rapporto fiduciario con gli addetti. Dobbiamo perciò pensare che il robot sia meglio dell’inaffidabile bancario. Resta da vedere l’effettiva obiettività del robot rispetto alla pericolosa discrezionalità del consulente finanziario.
Per verificare questo aspetto prendiamo cinque società specializzate nel fornire servizi di investimento standardizzati e per ciascuna si individua il portafoglio elettronico dedicato al cliente cosiddetto “moderato”. Purtroppo ogni robot la pensa in maniera diversa e i portafogli offerti dalle cinque fintech alla stessa tipologia di clienti sono diversi. Le azioni americane sono nei portafogli robotici moderati tra il trenta e il quarantuno per cento, le azioni internazionali tra il tredici e il trentasei per cento, le obbligazioni americane tra il dodici e trentaquattro per cento, le obbligazioni internazionali tra zero e ventinove per cento, e così via.
Questa singolare dispersione del concetto di moderazione obbliga il cliente a scegliere il robot che corrisponde alla sua effettiva moderazione per evitare il rischio di brutte sorprese e classici equivoci. A cui bisogna aggiungere le evidente difficoltà derivanti dalla tipologia di relazione. Oppure obbligando il cliente a rivolgersi ad un consulente fisico che faccia da interprete delle scelte del robot. E qui si ritorna alla classica relazione bancaria.
3 - gli investimenti passivi e l'efficienza dei mercati
Se un mercato finanziario è dominato dagli investimenti passivi (dagli ETF ai robot), allora gli investitori attivi incapaci (quelli con risultati sistematicamente inferiori agli indici) saranno messi fuori mercato, mentre gli investitori attivi capaci (quelli che battono sistematicamente gli indici) avranno un peso maggiore, perché aumenteranno il patrimonio che hanno in gestione a danno degli incapaci. I mercati finanziari continueranno così a svolgere il compito che è loro proprio di allocare le risorse (le società senza futuro non ricevono capitali e vengono espulse, al contrario di quelle con un futuro che ricevono il necessario per investire).
La conclusione sembra allora quella che afferma che la crescita dell'investimento passivo e la selezione efficiente dei gestori attivi non mettono in crisi la funzione dei mercati, che è quella di allocare i capitali a favore delle innovazioni. O almeno così sembra.
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Sul funzionamento del meccanismo per cui solo i capaci sono selezionati si possono nutrire dei dubbi. “It is notoriously hard to identify outperforming managers ex ante. In practice it is unlikely that it is always the worst manager who loses assets in any marginal allocation to passive. If, as is more likely, it is a manager with a random level of skill who loses out then this argument would not hold and in fact there would be a reduction in the AUM (ossia, gli Asset Under Management, il patrimonio in gestione) of potentially skilled asset allocation” (6).
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Così come si possono nutrire dei dubbi sulla funzione dei mercati di raccogliere il capitale di rischio. I mercati, infatti, funzionano sempre meno come veicoli per la raccolta di capitali, perché i dividendi e il riacquisto di azioni proprie sono – almeno negli Stati Uniti, il mercato maggiore che guida tutti gli altri - inferiori al capitale di rischio raccolto (7).
3 - https://www.ft.com/content/972cd55e-1f91-11e7-a454-ab04428977f9
4 - Esattamente come accade nella concorrenza nel campo dell'economia detta reale, laddove gli utili sono il frutto di un monopolio temporaneo che viene eliminato dalla concorrenza (Schumpeter).
5 - Perciò, alla fine, torniamo alla contrapposizione fra rischio ed incertezza (Knight). Laddove il primo è misurabile, perché ha a che fare con una distribuzione di probabilità chiusa, come il lancio dei dadi, mentre la seconda ha a che fare con una distribuzione di probabilità aperta, come l'andamento del futuro. Un concetto quello di probabilità “chiusa” ed “aperta” che si trova già in Keynes nel suo trattato giovanile sulla probabilità.
6 - Si veda: https://www.bloomberg.com/view/articles/2016-08-24/are-index-funds-communist
7 – Si veda l'ultimo grafico: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/4681-asset-allocation-aprile-2017.html
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