di
Anna Carla Dosio
La guerra alla povertà annunciata da Lyondon Johnson, in America, ha compiuto in questi giorni cinquant’anni, e molti hanno la sensazione che Ronald Reagan avesse ragione, quando diceva: “Abbiamo combattuto una guerra alla povertà, e la povertà ha vinto”. I dati in realtà dimostrano tutt’altro, come ha scritto Nicholas Kristof sul New York Times (1): senza quella strategia, il tasso di povertà non si sarebbe ridotto di più di un terzo dal 1968 a oggi.
Ma a beneficiarne sono stati soprattutto gli anziani, mentre i bambini e i giovani sono rimasti sacrificati. Il presidente, Barack Obama, che insiste sui sussidi ai disoccupati di lungo termine e sull’innalzamento del salario minimo, ha anche proposto un investimento di 10 miliardi di dollari per garantire la “pre school” a livello universale: se lo studio, citato da Bloomberg Businessweek, secondo il quale ogni dollaro investito sui bimbi rende nel futuro 11 dollari è realistico, “il programma si pagherà da sé” (2).
I repubblicani, soprattutto Paul Ryan e Marco Rubio, che del Partito dell’elefante rappresentano l’ala giovane e riformatrice, hanno indicato alcune iniziative. In un’intervista all’Nbc (3), l’ex candidato alla vicepresidenza nel 2012 per i conservatori in ticket con Mitt Romeny, ha detto che la guerra alla povertà è fallita, e che la povertà si combatte non con interventi a livello federale ma con stimoli a livello locale (che è una versione americana della malfamata, ma corretta, “Big Society” lanciata dai Tory britannici): ci sono migliaia di dollari spesi dallo stato – ha detto Ryan, che è anche capo della commissione Finanze della Camera – ma 46,5 milioni di americani restano sotto la soglia di povertà, “possiamo fare meglio di così”. La ristrutturazione del Medicare, vecchio cavallo di battaglia di Ryan, è tornata in auge, perché permetterebbe un risparmio utile a lavorare sulle diseguaglianze, che è il tema che più sta a cuore ai politici in questo momento.
Anche Marco Rubio, senatore della Florida con grandi ambizioni nazionali che ha in curriculum una battaglia persa sul tema che più gli sta a cuore: l’immigrazione, ha sancito il fallimento della guerra alla povertà e ha rilanciato sul filone di Ryan (4): togliamo i soldi spesi dallo stato federale e mettiamoli a livello di stato, vedrete che così i programmi per l’uguaglianza sociale funzioneranno. La decentralizzazione invocata da Rubio prende il nome di “Flex Funds”, ed è un progetto su cui lo staff di Rubio sta lavorando a tempo pieno, strutturando il trasferimento di fondi ai singoli stati e declinandoli in progetti adatti alle realtà locali di ogni comunità.
I democratici hanno accolto le proposte dei repubblicani come un attacco al loro operato, rinnovando quel dibattito molto politico ma anche parecchio ideologico che ormai scandisce ogni confronto sull’economia tra i due partiti. Per il bene di chi è rimasto sotto la soglia della povertà, sarebbe utile che il dibattito non si riducesse a una lotta sterile di potere ma a progetti che abbiano la possibilità di funzionare. Ma a Washington quest’obiettivo non è perseguito con grande determinazione, e l’immagine della capitale della politica americana è talmente appannata che persino l’idea surreale di spostarla, la capitale, in Nebraska precisamente, pare quasi geniale (5) .
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