La decisione presa questa settimana dalla Federal Reserve di mantenere i tassi intorno allo zero almeno per due anni, e di non vendere le obbligazioni accumulate, ha una logica complessa (1). La conclusione del ragionamento è che la politica monetaria è ancora restrittiva, nonostante i tassi intorno allo zero.

Per sapere qual è il livello giusto («giusto» è il tasso di interesse che stimola la crescita economica, senza produrre inflazione) dei tassi praticati dalla banca centrale si segue la cosiddetta regola di Taylor, che si compone di due sub regole, una per l’inflazione e l’altra per la disoccupazione.

Se l’inflazione (che esclude la variazione dei prezzi delle materie prime e del cibo) scende di un punto percentuale, allora il tasso giusto deve scendere di oltre il punto percentuale (dell’1,3%, per la precisione).

Se la disoccupazione è sotto il suo livello naturale («naturale» perché la disoccupazione c’è sempre, dal momento che la gente cambia lavoro e quindi resta disoccupata per un breve periodo, anche nelle fasi di forte ripresa), allora si riduce il tasso d’intereresse di due punti percentuali per ogni punto di disoccupazione «innaturale».

Facendo i conti, si vede che la Federal Reserve ha seguito questa regola (grafico 1 dello studio citato).

Il punto è che se non c’è inflazione e c’è molta disoccupazione, come avviene oggi, i tassi giusti possono addirittura essere negativi. Nella crisi in corso dovrebbero essere intorno al –6%. Il che non è realistico. Sarebbe come chiedere di depositare del denaro per 100 per poi ritirarne 94. La politica monetaria corrente, che mostra un tasso di interesse pari quasi a zero e dunque sembra «espansiva», in realtà è molto «restrittiva».

Si noti, restrittiva per l’economia reale. Non per quella finanziaria, che può indebitarsi con tassi nulli e comprare con rendimenti superiori (il carry trade).

Per rendere meno restrittiva la politica monetaria si possono però attuare delle politiche non convenzionali. La politica monetaria convenzionale è quella legata alla variazione del tasso di interesse. Questa politica tocca il costo a breve del denaro, ma non tocca direttamente il costo a lungo del denaro. Ecco allora che la banca centrale può comprare le obbligazioni per far scendere i rendimenti (se fa salire i prezzi, data la cedola, il rendimento scende). Gli acquisti di obbligazioni sono la politica monetaria non convenzionale.

La Federal Reserve ha comprato prima le obbligazioni con in pancia i mutui ipotecari (Quantitative Easing 1) e poi i titoli del Tesoro (Quantitative Easing 2). In questo modo ha attenuato la pressione restrittiva dei tassi intorno allo zero (che sembra un paradosso ma non lo è, come abbiamo visto).

Facendo i conti, si vede come la Federal Reserve, che ha seguito questa opzione, abbia allentato il peso negativo dei tassi (grafico 3 dello studio citato). Ecco come. I tassi dovrebbero essere a –6% per stimolare l’economia, ma restano, non potendo andare in campo negativo, ovviamente a zero. Gli acquisti non convenzionali di obbligazioni stimolano però l’economia molto più della discesa del tasso di interesse praticato dalla banca centrale. Un 3% per ogni 1% di abbassamento del tasso. Lo stimolo monetario, che dovrebbe essere del –6%, alla fine, avendo la banca centrale schiacciato i rendimenti a lungo termine dell’1%, equivale a una discesa del tasso di interesse del 3%. Perciò il –6% richiesto nelle condizioni date dell’economia diventa un –3%.

Dunque, nonostante sembri il contrario, una politica monetaria fatta di tassi intorno allo zero e da pesanti acquisti di obbligazioni è ancora, nelle condizioni date (poca inflazione, molta disoccupazione), «restrittiva». I tassi, dal momento che l’economia non si riprende, non possono che restare intorno allo zero per molto tempo, e va esclusa la vendita delle obbligazioni accumulate. L’offerta di queste ultime ne farebbe salire il rendimento, e dunque avrebbe un effetto restrittivo sul sistema.

(1) http://www.frbsf.org/publications/economics/letter/2010/el2010-18.html

Per una lettura della decisione della Fed in linguaggio semplice:

http://www.ft.com/intl/cms/s/3/7e6841b0-c33b-11e0-9109-00144feabdc0.html#axzz1U3I2dBXL