Si dice che la moneta intelligente compri nei momenti peggiori e poi rivenda alla massa degli investitori nella fase successiva. Il gran rimbalzo delle azioni c’è stato, giustificato dai migliori andamenti aziendali e dal «non peggior» andamento dell’economia. Perlomeno, questo è stato il momento «comunicativo», che poi sia obiettivamente vero è altro discorso (1). A questo punto, i titoli comprati dalla moneta intelligente dovrebbero essere venduti alla massa degli investitori per chiudere la partita.
La massa degli investitori è «recalcitrante». Negli Stati Uniti, i fondi monetari hanno una quantità di investimenti pari alla metà della capitalizzazione della borsa. Se investissero in azioni solo una piccola parte degli strumenti monetari, la partita sarebbe chiusa. La massa degli investitori dovrebbe contribuire agli aumenti di capitale delle banche. Ieri, dopo la chiusura del mercato statunitense, sono stati comunicati ufficialmente i risultati dello «stress test»: risulta che 10 delle 19 banche hanno bisogno di 75 miliardi di dollari di patrimonio netto per superare quella che nelle simulazioni è ritenuta essere la più avversa delle crisi. Questi 75 miliardi possono arrivare come sottoscrizione dai privati, e torniamo alla massa dei risparmiatori, oppure come conversione dei crediti e delle azioni privilegiate ancora detenute dal settore pubblico.
Qui si gioca una partita importante. Mentre la massa degli investitori difficilmente avrebbe parola nella conduzione delle banche, lo stato, se fosse in maggioranza, non potrebbe fare solo l’azionista passivo. Lo stress test, almeno nelle intenzioni, dovrebbe convincere la massa dei risparmiatori che le banche sono ancora un buon investimento. Un ulteriore intervento pubblico sarebbe quindi l’ultima ratio. Ben Bernanke, il presidente della banca centrale, ha precisato, in una inusuale confusione di ruoli, che il Tesoro interverrebbe, fosse mai che il mercato si tirasse indietro.
Intanto che si discute di questo, ecco che i rendimenti dei titoli del Tesoro salgono. Il rendimento dei titoli del Tesoro può rallentare la ripresa economica e frenare l’ascesa delle azioni (2). Oggi si è registrato un forte rialzo dei rendimenti. La nostra interpretazione è che si incominci a scontare la grande crescita dei debiti pubblici (3), volta ad alimentare la ripresa economica e il salvataggio del sistema finanziario.
La Banca d’Inghilterra ha dichiarato oggi che comprerà una quantità maggiore di titoli del Tesoro, e questi, sempre oggi, hanno registrato un’ascesa dei rendimenti. La volta scorsa che aveva dichiarato una cosa simile erano scesi. Insomma, si direbbe che siamo di fronte a una «produttività marginale decrescente» degli annunci della banca centrale del Regno Unito. Possiamo arguire che è difficile convincere gli investitori – che nel caso dei titoli di stato lunghi sono i fondi pensione e le assicurazioni vita – a comprare i titoli del Tesoro a 10 e 30 anni a rendimenti contenuti quando i debiti pubblici salgono.
(1) http://www.centroeinaudi.it/commenti/i-novelli-marrani.html
(2) http://www.centroeinaudi.it/notizie/la-partita-fra-debito-pubblico-e-azioni.html
(3) http://www.centroeinaudi.it/notizie/il-mistero-dei-mercati-ai-nostri-occhi.html
Nota aggiunta l’8 maggio, poco prima dell'apertuta del mercato statunitense.
Il rapporto «aureo» fra attivo e patrimonio (più precisamente, fra i risk weighted assets e le common stocks) è, secondo lo «stress test», del 4%. Ossia, tradotto, si hanno 25 unità di attivo per ogni unità di capitale di rischio. La leva è perciò pari a 25 volte. Fino al 2004, la leva per le banche d’investimento era pari a 12. Poi è stata innalzata. Una leva di 25 forse è ragionevole per le banche di puro credito ordinario. Sembra però alta per il sistema. Insomma, se la massa degli investitori volesse sottoscrivere gli aumenti di capitale delle banche statunitensi, dovrebbe tener conto che sta investendo in un sistema che ha una leva ancora alta, un sistema che ha le stesse caratteristiche degli ultimi anni. Un sistema che funziona «se tutto va bene».
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