Dunque la riforma di Obama non è «a favore dei poveri e degli anziani», ma è a favore di coloro che non hanno abbastanza denari per usufruire di una polizza sanitaria, e non sono né anziani né poveri. Costoro, se non sono in grado di sottoscrivere una polizza sanitaria, saranno aiutati dalla «mano pubblica». Dunque il sistema sanitario, che, con la riforma, si estende ai «non anziani non poveri», in sede di pagamento delle prestazioni, resta privato.
Raccontata così, non si vede in che cosa gli Stati Uniti stiano diventando simili all’Europa – come dovrebbero per la felicità di «quelli di sinistra». In Europa chi non va all’ospedale pubblico perché può usufruire di quello privato rinuncia temporaneamente a un suo diritto, ma, si noti, l’opzione dell’ospedale pubblico è sempre alla sua portata e al massimo paga un ticket. Né si vede in che cosa consista lo statalismo di Obama – come dovrebbe essere per l’infelicità di «quelli di destra». Il costo della riforma, che ruota comunque intorno a un sistema privato, è pari a circa mille miliardi di dollari, ma spalmati su dieci anni.
La riforma di Obama segue il solco di quella di Eisenhower e di Nixon. Il primo prese la decisione di considerare le assicurazioni un costo per le imprese, e quindi ritenne di spingere, con un incentivo fiscale, la diffusione delle polizze ai dipendenti. Il secondo prese la decisione di spingere le imprese a offrire pacchetti assicurativi ai propri dipendenti. Dunque abbiamo polizze che pagano i servizi sanitari, ma non abbiamo l’erogazione diretta degli stessi, come invece avviene in Europa. E così, alla fine, funziona anche la riforma di Obama, che estende la copertura, ma non muta il meccanismo di erogazione. Le società d’assicurazioni possono perciò, se ritengono che vi siano buone ragioni, negare i rimborsi: può accadere che con una polizza «media» si finisca per non avere nulla, o poco. Il «diritto alla salute» finisce col seguire il regolamento di un’azienda privata.
Chi è in grado di pagare l’assicurazione non chiede nulla agli altri. Punto. I poveri e gli anziani sono, invece, aiutati per «compassione». E nessuno contesta la cosa. Si può discutere quanto si debba spendere per i «non poveri non anziani», perché essi non siano «discriminati» nel campo della salute. Alla fine, non si vede il «passaggio epocale» della riforma sanitaria di Obama. Salvo che non si segua questo ragionamento.
Da Reagan in poi, la politica era diventata «il problema» e non «la soluzione». Dopo la crisi finanziaria, la politica – vero o falso che sia – sta diventando «la soluzione» e non più «il problema». La politica ha infatti salvato le banche «troppo grandi per fallire», ma non quelle piccole, e due delle tre grandi case automobilistiche. Ha poi incrementato i trasferimenti alle famiglie, sotto forma di sussidi di disoccupazione, come non era mai accaduto nel secondo dopoguerra. La riforma di Obama, per quanto ruoti intorno al sistema privato delle assicurazioni, sembra spingere nella direzione di un maggior intervento pubblico. Intervento pubblico che ad alcuni piace «per principio», ad altri dispiace, sempre «per principio».
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