Questa volta scriviamo una nota piuttosto lunga, suddivisa in quattro sezioni. La ragione è che siamo giunti a uno snodo. I prezzi delle azioni sono saliti molto, mentre gli utili del primo trimestre sono flessi. Intanto il rendimento delle obbligazioni è salito. Abbiamo perciò un mercato azionario più caro, con quello delle obbligazioni che incomincia a rendere di più. Questo è il cocktail servito per i prossimi mesi.
A) Le notizie negative
Nemmeno annunciati i risultati degli «stress test» statunitensi, ed ecco che già due banche hanno varato aumenti di capitale per soddisfare le richieste patrimoniali (1). Il peggio è «alle spalle»? Secondo noi no, e gli andamenti negativi a malapena emergono.
La prima notizia, che emerge nei media relativamente di più, è l’ascesa del rendimento delle obbligazioni, che avevamo segnalato come «il fatto» della scorsa settimana (2). L’ascesa questa settimana è proseguita. La seconda, che emerge nei media poco o niente, è la comunicazione dei risultati di Fannie Mae, l’impresa semi-governativa che emette obbligazioni per finanziarie una gran quantità di mutui ipotecari. Il punto non è che perde molto denaro nel primo trimestre – una ventina di miliardi di dollari; il punto sono le perdite che hanno origine anche dai mutui di qualità maggiore, che registrano sia una crescita dei ritardi nei pagamenti, sia una crescita dei mancati pagamenti dei mutuatari (3).
Queste due notizie sono certamente negative. La crescita dei rendimenti delle obbligazioni del Tesoro spinge al rialzo i rendimenti di tutte le obbligazioni. Sia quelle emesse dalle imprese, sia quelle emesse dagli organismi semi-governativi a fronte dei mutui ipotecari (4). I quali mutui mostrano segni di difficoltà anche con i rendimenti correnti, come si evince dalla vicenda sopra citata di Fannie Mae, relativamente contenuti.
Eppure, nonostante questo il mercato azionario sale, quello delle obbligazioni private di miglior qualità sale e ha iniziato a salire anche quello delle obbligazioni di qualità inferiore. Salgono i prezzi delle obbligazioni private emesse, quelle che fanno ormai parte del mercato secondario. Le obbligazioni private in offerta, quelle che fanno parte del mercato primario, sono invece ferme (5). Quest’ultimo non è certo un buon segno.
B) I risultati delle imprese
Gli utili aggregati delle imprese statunitensi hanno registrato, nella settimana appena conclusa, una flessione. Sostituendo i risultati comunicati dalle imprese a quelli previsti, e tenendo quelli previsti quando le imprese non li hanno ancora comunicati, abbiamo nel primo trimestre del 2009 una flessione del 36% rispetto al primo trimestre del 2008 (6). Non un gran numero per alimentare le speranze, e questo numero si basa per di più sui risultati non rettificati, ossia che non tengono conto delle poste straordinarie. Gli utili come comunicati dalle imprese (operating profits) sono, nel primo trimestre del 2009, pari a 11,34 dollari, contro 7,32 dollari se rettificati (GAAP). Questi numeri sono gli utili trasformati in un indice per rendere possibile il confronto con l’indice dei prezzi delle azioni, che è lo Standard & Poor’s (7). Le previsioni su base annua sono di un utile non rettificato di 56 dollari circa, di 28 dollari circa se rettificato L’indice è sopra i 900 punti e quindi abbiamo un rapporto di oltre 15 volte con gli utili non rettificati e di 30 volte con gli utili rettificati.
Salvo che le imprese quotate non «macinino» grandi utili nel 2010, il mercato azionario è caro.
C) La spiegazione del rialzo dei corsi
La spiegazione che possiamo dare dell’ascesa dei mercati – non riuscendo a diventare seguaci dell’economia dei «comportamenti» (8) (9), pensiamo ci sia sempre almeno un lume di ragione nelle cose – è quella che segue, ispirata da un’intervista rilasciata al «Financial Times» dallo storico delle crisi finanziarie Russell Napier (10).
Il patrimonio netto delle imprese è un’attività finanziaria «relativa». Se il fatturato scende, perché c’è meno domanda e perché i prezzi flettono, allora l’impresa si avvita, dovendo pagare comunque i debiti e avendo costi che non sono eliminabili. Il suo patrimonio netto può quindi andare a zero, e così il valore delle azioni – il «circolo vizioso». Se, viceversa, si pensa che le cose possano migliorare, ecco che il patrimonio netto può «sopravvivere» e anche crescere – il «circolo virtuoso». L’ascesa dei corsi delle azioni può essere letta come un segno dell’accensione improvvisa del «circolo virtuoso». E così anche il debito delle imprese (le obbligazioni private) che può di nuovo essere onorato.
L'interpretazione di Napier è convincente, anche se non spiega perché il rimbalzo abbia spinto il mercato a diventare caro. Riprendiamo il ragionamento che stiamo elaborando da mesi. Se così fosse, ossia se fosse tornata la «fiducia», allora la crescita economica dovrebbe alzare il gettito delle imposte e perciò chiudere il deficit e alla lunga il debito pubblico. Nessuno fa questa previsione. Nessuno fa una previsione di rientro facile dei deficit e dei debiti. La crescita economica sarà, secondo le fonti istituzionali come il Fondo Monetario e l’OECD, modesta anche nel 2010. In alcuni paesi importanti come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, il deficit pubblico rimarrà intorno al 10% del Pil e alimenterà il debito (11). Il debito, se sottoscritto a tassi crescenti, fa aumentare ancor più velocemente il debito stesso. E questo, a sua volta, alimenta la crescita dei tassi per sottoscriverlo.
Dunque il punto è il rialzo dei rendimenti sul debito pubblico statunitense (e anche britannico). Russell Napier, ne siamo orgogliosi, dice le stesse cose che diciamo da un paio di mesi; nell’intervista citata, sostiene infatti che la ripresa dei corsi delle azioni sarà «bruciata» dai rendimenti delle obbligazioni – a suo giudizio, quando questi arriveranno al 6% (le obbligazioni statunitensi a 30 anni sono ora intorno al 4,5% ed erano intorno al 2,5% alla fine del 2008).
D) Le statistiche dei prezzi viste da un trader e da uno storico
Osserviamo ora le statistiche dei prezzi delle azioni. In particolare, quelle statunitensi, che sono al centro della crisi e della speranza di un futuro migliore a breve termine.
Per prima cosa, riprendiamo un indicatore esterno al mondo delle azioni (12): il rapporto fra il rame (a numeratore) e l’oro (a denominatore). Quando il rame, una materia prima industriale, va meglio dell’oro, una materia prima in cui ci si rifugia, si ha ripresa economica; quando va peggio, si ha contrazione. A settembre 2008 il segnale era esplicitamente a favore dell’oro. A marzo 2009 era non troppo esplicitamente a favore del rame. L’ascesa del rame in rapporto all’oro si è interrotta da un mese (grafico 1). Non abbiamo – sul lato dei metalli – una chiara indicazione che la ripresa si sia avviata (si compri rame) e quindi la paura sia finita (si venda oro).
Il grafico 2 rappresenta lo Standard & Poor’s degli ultimi sei mesi; esso mostra come la caduta di novembre 2008 sia stata virulenta quanto quella che si è avuta da gennaio a marzo 2009, mentre il rimbalzo successivo, da novembre 2008 fino a gennaio 2009, è stato molto più virulento di quello sperimentato ultimamente, da marzo fino a maggio 2009. Insomma le cadute sono simili, i rimbalzi invece sono diversi: breve e violento fino a gennaio, lungo e meno violento oggi. Si tenga conto che la linea blu misura la tendenza centrale e che le bande sono le deviazioni standard. Usiamo il termine «virulento» quando si arriva a tre volte la deviazione standard, la linea rossa. Siamo ora giunti ai massimi del 2009, che erano quelli registrati nei primi giorni di gennaio.
Se guardiamo le cose con distacco – il grafico 3 – osserviamo che, da quando è partita la crisi, si sono avuti periodi di «moria lenta» e periodi di caduta violenta. Il punto di passaggio si è avuto quando il mercato è passato da 1.200 punti a meno di 1.000 in due settimane, nell’autunno del 2008 – le due grandi candele rosse del grafico. Il movimento successivo è stato, nonostante la grande agitazione, una netta oscillazione laterale. In sostanza, la stessa cosa che ci dice il grafico del rame e dell’oro.
Se guardiamo le cose con un distacco ancora maggiore – il grafico 4, fonte Econompickdata –, ossia se prendiamo l’indice Standard & Poor’s dal 1997, vediamo che siamo dove eravamo (l’indice non tiene conto dei dividendi, e sarebbe maggiore se ne tenesse conto, ma non considera l’inflazione, e sarebbe inferiore se la considerasse). Se si includono i dividendi e l’inflazione, il saldo finale è negativo del 5% circa (non ci sono le commissioni di transazione, di gestione e le imposte). Insomma, tutta l’agitazione del 2009, la grande caduta e la grande ascesa sono alla fine una piccola «V» (in blu) in un mercato (in arancione) che non riesce a salire dal 1997, quando il presidente era Bill Clinton e l’Italia con Prodi non era ancora entrata nell’euro.
L’investimento in azioni si misura nel lungo termine, come è noto.
(2) http://www.centroeinaudi.it/notizie/la-settimana-dei-mercati-/-vii.html
(3) http://ftalphaville.ft.com/blog/2009/05/08/55674/prime-time-problems-for-fannie/
(4) http://www.centroeinaudi.it/notizie/la-partita-fra-debito-pubblico-e-azioni.html
(5) http://www.ft.com/cms/s/0/a4c99d98-39a1-11de-b82d-00144feabdc0.html
(6) http://www.cnbc.com/id/15839135
(7) http://www.decisionpoint.com/TAC/SWENLIN.html
(8) http://www.centroeinaudi.it/commenti/commento-settimanale-/-xiii.html
(9) http://www.centroeinaudi.it/commenti/commento-settimanle-/-xiv.html
(10) http://ftalphaville.ft.com/blog/2009/05/07/55617/napier-higher-yields-do-not-mean-normalisation/
(11) http://www.centroeinaudi.it/notizie/la-solidità-dei-bilanci-pubblici.html
(12) http://www.centroeinaudi.it/notizie/il-diavolo-e-l’-acqua-santa-ii.html
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