Il rendimento delle obbligazioni a lungo termine statunitensi è in forte ascesa. Negli ultimi anni è stato intorno al 5%. Negli ultimi mesi dello scorso anno era sceso fino al 2,5%. Ora è «schizzato» sopra il 4%. Questo è, a nostro avviso, l’evento della settimana.

Né si vede perché non dovrebbe essere così. La notevole crescita dei deficit pubblici, che ingrossa i debiti, è volta ad aiutare la ripresa economica e a salvare il sistema finanziario. La sottoscrizione del debito crescente spinge al rialzo il rendimento delle obbligazioni, molto o poco non sappiamo ancora, ma la direzione dei rendimenti è in salita.
 
Secondo il Fondo Monetario Internazionale (1), nel 2010 il debito pubblico lordo dei paesi avanzati dovrebbe superare il 100% del Pil, da circa l’80%, dove si trovava prima della crisi. Se si legge il testo, questa è la proiezione «se tutto va bene». Se le cose, invece, peggiorano – maggiori esborsi per le banche, minore crescita – si arriva al 140% nel 2014. Secondo i conti dell’OECD (2), il bilancio pubblico degli Stati Uniti è già in deficit prima del pagamento degli interessi. Ossia, il Tesoro deve finanziare il deficit corrente emettendo debito prima di pagare gli interessi sul debito emesso, una situazione simile a quella italiana fino al 1990.
 
Si potrebbe osservare che non tutti la pensano così. Si potrebbe, infatti, ricordare che le azioni salgono da qualche tempo perché vedono la fine della crisi, e questo contraddice il Fondo Monetario e l’OECD che, invece, la vedono ancora persistente. Infine, si potrebbe ricordare che il mercato delle obbligazioni private è ultimamente migliorato (3).
 
Le azioni sono «ottimiste», mentre le obbligazioni del Tesoro sono «pessimiste»?
 
Secondo alcuni, il mercato azionario è entrato nella cosiddetta «zona d’ombra»: come accaduto nel 1990-1991 e poi nel 2000-2002, i prezzi salgono prima che salgano gli utili, perché poi gli utili saliranno, giustificando a posteriori la crescita anticipata dei prezzi. Rimandiamo alla Ricerca che spiega perché non condividiamo questo punto di vista (4), e proviamo a osservare i prezzi delle azioni solo in chiave statistica, per vedere se possiamo affermare che siamo «usciti dal tunnel».
 
Abbiamo, come al solito, suddiviso l’andamento degli indici delle azioni in quello che parte da ottobre del 2008 e in quello che parte dall’inizio della crisi, ossia dall’estate del 2007. Il primo conto è fatto prendendo gli indici giornalieri, il secondo gli indici settimanali. Il primo conto traccia la tendenza non lineare dei prezzi e calcola tre livelli di deviazione dei prezzi puntuali dalla tendenza. Il secondo traccia la tendenza lineare dei prezzi con un livello di deviazione dei prezzi puntuali dalla tendenza. Per gli Stati Uniti, l’Europa, il Giappone e l’Italia non abbiamo segnali che i prezzi stiano uscendo dalla tendenza maggiore, che da ottobre 2008 è in lieve miglioramento, mentre dall’estate del 2007 è ancora in declino. Le azioni sono rimbalzate, ma il rimbalzo è dentro le bande d’oscillazione. La dinamica dei prezzi non mostra ancora l’«uscita dal tunnel». Per evitare di mostrare troppi grafici, riportiamo solo quello dell’Italia.

 

(1) IMF, World Economic Outlook, aprile 2009, p. 30.

(2) OECD, Economic Outlook, marzo 2009, p. 45.

(3) Il livello dei rendimenti delle obbligazioni private è ancora molto al di sopra del rendimento dei titoli di stato. La differenza, il premio per il rischio, si giustifica con una notevole quantità di fallimenti. Solo il rendimento elevato del portafoglio, infatti, copre dalle perdite che si avrebbero per il fallimento di alcune imprese emittenti, che in partenza non si può sapere quali saranno. Dunque il miglioramento c’è stato, ma non ancora nella direzione di un’uscita veloce dalla crisi.

(4) http://www.centroeinaudi.it/ricerche/il-ragionamento-che-non-condividiamo.html


la_borsa_italiana_dallautunno_del_2008
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la_borsa_italiana_dallestate_del_2007
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