Questo è il primo di due articoli sulla specializzazione commerciale dell’Italia. La tesi che sosteniamo è che il nostro paese ha perso molto a seguito dell’ingresso della Cina nel mercato mondiale, in quanto la sua specializzazione produttiva è più simile a quella dei paesi emergenti rispetto a quella dei paesi economicamente avanzati. Per aumentare la competitività italiana sui mercati mondiali è quindi necessario un importante upgrade produttivo e qualitativo.
Il primo passo per determinare un’eventuale competizione da parte delle merci cinesi rispetto a quelle italiane è stabilire il grado di specializzazione produttiva di entrambi i Paesi. Abbiamo così cercato di evidenziare la specializzazione italiana e cinese in tre macrosettori: 1) ad intensità di lavoro non qualificato; 2) ad intensità di capitale umano; 3) ad alto contenuto tecnologico. Per definire il grado di specializzazione e, quindi, il vantaggio comparato esistente in ciascuna delle due economie, ci siamo serviti dell’Indice di Balassa che segnala come prodotti aventi vantaggi rivelati quelli che hanno un peso sulle esportazioni totali del Paese superiore a quello che tali prodotti detengono sulle esportazioni mondiali:
Se l’indice è pari o maggiore di 1 esprime la presenza di specializzazione (e, dunque, di un vantaggio comparato), mentre se inferiore indica despecializzazione. Abbiamo calcolato l’Indice di Balassa a partire dalla classificazione merceologica SICT 3 Revision per le esportazioni manifatturiere di Italia e Cina verso 29 Paesi OCSE i quali sono nel complesso destinatari di circa l’80% delle esportazioni italiane tra il 2000 ed il 2009.
La figura 1 mostra come Cina e Italia possiedano una specializzazione molto simile nel macrosettore che impiega lavoro non qualificato: tessile e abbigliamento, calzature, arredamento e idraulica, giocattoli, articoli da ufficio. Nelle altre produzioni, quali quelle dei prodotti in pelle, dove l’Italia risulta possedere un notevole vantaggio comparato rispetto alla Cina che è invece è totalmente non specializzata in tale produzione (<1), quelle dei prodotti in legno e sughero, manufatti non metallici e produzioni navali, entrambi i Paesi non mostrano nessun evidente segno di specializzazione.
Per quanto riguarda il macrosettore ad intensità di capitale umano (figura 2), il nostro Paese e la Cina risultano essere sostanzialmente meno specializzati rispetto a quello ad intensità di lavoro non qualificato: nella produzione di oli essenziali e simili, prodotti in gomma e in plastica, manufatti metallici e non metallici mentre la Cina è totalmente despecializzata (<1), l’Italia mostra un certo vantaggio comparato attestandosi su valori uguali o poco superiori ad 1. Viceversa, la Cina mostra di essere assai specializzata nella produzione di apparecchi radiotelevisivi mentre in Italia la specializzazione in questo settore è praticamente inesistente. Assai elevato è il vantaggio comparato italiano nella produzione di elettrodomestici (>3) mentre quello della Cina, pur essendo anch’essa specializzata in tale produzione, si attesta su livelli leggermente inferiori (<2,5). Superiore ad 1 la produzione di strumenti musicali e oggetti di gioielleria da parte dell’Italia e inferiore ad 1 quella della Cina. Infine risulta esservi assenza di specializzazione in entrambi i Paesi nella produzione mezzi stradali e ferroviari.
Per quanto riguarda, invece, il settore high tech (figura 3), né Italia né Cina risultano distinguersi per elevate performance. Infatti, su otto settori considerati, solo in due l’Italia mostra un certo vantaggio comparato (prodotti farmaceutici e nelle produzioni di macchine non elettriche).
Quanto detto convalida la tesi secondo cui la specializzazione italiana è molto simile a quella di un Paese emergente come la Cina e, in sostanza, smentisce la teoria di Heckscher-Ohlin, per cui un Paese si specializza nella produzione dei beni di cui dispone di fattori relativamente abbondanti. Infatti, dal momento in cui la Cina possiede un’enorme disponibilità di manodopera ciò aumenta la dotazione mondiale di tale fattore di produzione, riducendo relativamente quella dei Paesi più avanzati: è pertanto controproducente per l’Italia specializzarsi in produzioni tradizionali, trascurando, invece, quelle ad alto contenuto tecnologico.
Si potrebbe pensare che, data la disponibilità relativamente abbondante di capitale da parte del nostro Paese, esso dovrebbe essere in grado di sfruttare appieno i vantaggi comparati derivanti dalla ricerca e dallo sviluppo e indirizzare la propria economia verso livelli di produzione più elevati se non nel settore high tech, almeno in quello ad intensità di capitale umano.
© Riproduzione riservata