Siamo alla stretta finale. La costituzione di un fondo “salva stati” ancora più robusto (esso era pari a 250 miliardi di euro, poi è passato a 500, ed ora sembra che possa arrivare a 750) dovrebbe bloccare la crisi dei debiti pubblici europei. Il fondo “salva stati” di dimensione maggiore verrebbe varato insieme a delle clausole molto stringenti sulle politiche di bilancio accolte da tutti. Intanto, è possibile che i creditori privati di obbligazioni greche accettino l'allungamento del debito con cedole minori. Questo è quanto relativamente agli interventi di natura fiscale. Intanto, quelli monetari cominciano a funzionare. La Banca Centrale Europea presta il denaro per tre anni ad un interesse basso (1%) in modo che le banche possano comprare il debito con un rendimento di gran lunga maggiore dei paesi mal messi (intorno al 4%). In questo modo le banche contribuiscono a schiacciare il costo del debito (dal mercato secondario alle aste), e contribuiscono a ricapitalizzare se stesse attraverso i maggiori profitti da arbitraggio.
Tutto bene? Si, ma abbiamo un “convitato di pietra”. Di quanto fletterà l'economia europea dal momento che i deficit pubblici verranno a mancare ( = bilanci in pareggio). Se cade la domanda (per la parte relativa al deficit) di parte pubblica, allora, per avere la stessa domanda aggregata, deve salire quella privata. Quella privata sono i consumi, gli investimenti e le esportazioni nette (esportazioni meno importazioni). Eliminiamo quest'ultima voce, perché tutti non possono esportare di più allo stesso tempo: le esportazioni degli uni sono, infatti, le importazioni degli altri. I consumi possono aumentare per un ritorno della fiducia, e gli investimenti in previsione di una maggiore domanda da parte delle famiglie. Qui è davvero difficile fare stime. Si può però argomentare in modo completamente diverso. Le borse possono salire anche se la domanda cade, perché viene meno l'elevato premio per il rischio, che si ha nel mezzo di una crisi grave.
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S’immagini che le imprese europee – prima della crisi - tutte insieme generino un utile di 100 euro. E s’immagini che il rendimento delle obbligazioni europee – il fattore di sconto – sia – sempre prima della crisi - del 5%. Qual è il prezzo teorico delle azioni europee – ossia la loro capitalizzazione teorica? Supponendo che gli utili siano costanti, così come i rendimenti, il loro prezzo teorico è di 2.000 euro (100/5%).
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Arriva la crisi che ridimensiona gli utili. Nelle crisi gli utili europei possono cadere – com’è avvenuto quattro volte negli ultimi quaranta anni - fino al 40%. Se uno pensa che essi non si risolleveranno mai più, allora il prezzo teorico diventa 1.200 (60/5%). Si noti che i rendimenti non scendono, nonostante la crisi, e questo è il maggior premio per il rischio.
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Se anche gli utili non risalissero, i rendimenti potrebbero scendere al 4% per il minor premio per il rischio. Alla fine, abbiamo una capitalizzazione di 1.500 euro (60X4%).
Come si vede la sequenza da 2000 a 1200 a 1500 ha senso. Sembra una follia, ma c'è una logica. Prevarrà nei prezzi delle azioni europee la logica della recessione, oppure la logica della fine della crisi grave? Vedremo. Negli ultimi giorni sembra prevalere la logica della fine della crisi grave.
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