Che cosa ha spinto in alto la borsa dalla primavera del 2003 fino all’autunno del 2007? Non tanto la ripresa dell’economia dopo la mini recessione del 2002, quanto il tipo di ripresa, legata a due settori. La crescita del settore immobiliare è stata accelerata dalla diffusione di nuovi metodi di finanziamento dei mutui, fra cui quelli sub prime. Comprare casa costava poco e quindi spingeva i prezzi degli immobili all’insù. Il maggior prezzo degli immobili incentivava le famiglie ad indebitarsi, dando in garanzia il proprio immobile che cresceva di prezzo. I consumi delle famiglie sono quindi cresciuti, grazie al debito, più della crescita del reddito delle famiglie stesse. La crescita del settore immobiliare ha quindi alimentato i profitti del settore finanziario che vendeva mutui e concedeva debito. Da un certo punto in poi, il prezzo del petrolio ha incominciato a salire senza produrre danni per l’economia, mentre aiutava la crescita dei profitti delle imprese petrolifere. In conclusione, sia il settore finanziario sia quello energetico, che registravano profitti crescenti, hanno trainato con forza la borsa. I due settori trainanti avevano dietro, l’uno le innovazioni in campo finanziario, l’altro la gran crescita asiatica, che ha accresciuto la domanda di petrolio, mentre l’offerta restava rigida.
Quando il sistema di finanziamento delle famiglie, mutui e debiti sulle case con i prezzi di queste ultime in crescita, ha incominciato a mostrare delle crepe, il settore finanziario ha incominciato ad andare male. Ed alcune imprese finanziarie molto male. I prezzi delle azioni di questo settore si sono, in media, dimezzati. Intanto che avveniva tutto questo, cresceva il prezzo del petrolio, ma senza produrre danni all’economia, ossia non la spingeva verso la recessione e l’inflazione. Le azioni delle imprese energetiche sono saliti molto, bilanciando la caduta dei corsi delle azioni finanziarie. In sostanza, sembra un paradosso, mentre l’economia statunitense stava entrando in crisi, il gioco dei prezzi dei due settori sotto l’occhio dei riflettori, uno in discesa e l’altro in salita, bilanciandosi, ha nascosto quel che stava davvero accadendo. Alla fine la borsa è scesa poco, da circa 1.550 punti a circa 1.350 punti.
Ora le difficoltà del settore finanziario stanno ridiventando evidenti. Dopo il salvataggio, da parte della banca centrale statunitense, della banca d’affari Bear Stearns in marzo, il peggio sembrava passato, ed, infatti, i prezzi delle azioni del settore finanziario erano risalite. Venerdì scorso le azioni finanziarie sono tornate al livello della crisi di marzo, perché è risorto il timore di nuove perdite e di nuovi aumenti dei mezzi propri per bilanciarle. Intanto, e questa è la novità, ormai in pochi continuano a credere che il prezzo del petrolio possa salire senza produrre effetti negativi. Degli esponenti della banca centrale statunitense hanno, infatti, incominciato ad affermare che la politica dei tassi bassi per curare il sistema, se favorisse l’inflazione, sarebbe messa da parte. La crisi finanziaria non è terminata, mentre la politica dei tassi ultra bassi è frenata dal timore dell’inflazione. Il settore energetico può ancora continuare a salire, ma, se l’economia rallenta molto, i settori industriali e commerciali andranno meno bene, mentre il settore finanziario è in difficoltà. Una borsa, con un settore che va bene e tutti gli altri meno bene, non si vede come possa salire.
Quel che sta accadendo non è il frutto del “destino cinico e baro”. Una crescita trainata dall’indebitamento centrato sulla crescita perpetua del prezzo degli immobili non può durare. Non esiste un prezzo che possa salire molto e per sempre. Le statistiche mostrano che i prezzi degli immobili, in un paio di secoli, hanno registrato una crescita pari a quella dell’inflazione. Dunque gli immobili mantengono costante il valore capitale, ma non lo accrescono. La crescita del prezzo del petrolio, come quella degli immobili, non può essere perpetua, prima poi finisce, perché cambiano le abitudini. La reazione è lenta nell’immediato, ossia tutti continuano ad andare a comprare i giornali all’edicola col SUV, ma alla lunga accelera, ossia tutti vanno a piedi all’edicola. Ma il SUV? Teoricamente il suo prezzo dovrebbe cadere fino a bilanciare i suoi maggiori consumi rispetto a quelli di un’automobile normale, fino a rendere i costi totali di gestione equivalenti. Insomma, se nessuno avesse problemi di status, il SUV dovrebbe costare meno di un’auto mediocre.
Pubblicato su L'Opinione il 13 giugno 2008
© Riproduzione riservata