Gli analisti avevano stimato correttamente gli utili delle imprese quotate nel 30% dei casi intorno al 2000, oggi intorno al 10% dei casi, una quota bassa come quella del 1992. Questi sono i calcoli fatti da Bloomberg, mostrati nel grafico. Anche quando gli analisti potevano incontrare privatamente le imprese, com’era fino al 2000, la quota di stime corrette era bassa.
Da allora questi incontri sono vietati, per evitare che alcuni analisti siano favoriti, e la quota di stime esatte è tornata al 10%. Chi ha esperienza diretta nel campo dell’analisi delle imprese sa che anche gli incontri privati non sono utili, perché, alla fine, sono occasioni di sottile propaganda.
Sarebbe interessante vedere un grafico delle previsioni interne delle imprese rispetto ai risultati conseguiti. Non desterebbe meraviglia scoprire che quasi mai i risultati effettivi sono eguali a quelli stimati. La ragione è la stessa, e nel caso degli analisti e in quello delle imprese.
Le proiezioni dei budget e delle stime degli analisti sono lineari, ossia si prendono i dati di fatturato passati e li si proietta, supponendo che il futuro non si discosti molto dalla retta di regressione. I dati di costo invece li si taglia, e voilà!, gli utili salgono sempre.
Il mondo reale, invece, è non lineare. Solo quando tutto sale con poca escursione intorno alla tendenza, come accadeva verso la fine degli anni Novanta, i risultati delle previsioni possono essere non pessimi. La conclusione è semplice: bisogna accettare il mondo della finanza (e non solo quello) per quello che è – intrinsecamente imprevedibile. E provare a pensarlo in modo non lineare. Si sbaglia lo stesso, forse meno, ma in ogni caso è un comportamento serio.
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