Chi abbia seguito per davvero i mercati finanziari sa che le cose negative emergono lentamente nel corso del tempo. Il segno del mutato clima sono le statistiche. Esse, un po’ alla volta, invece di mostrare le cose «in rosa» le mostrano «in nero». Clima roseo eguale a statistiche che inducono a comprare, clima plumbeo eguale a statistiche che inducono a vendere. Lo scorso anno le statistiche mostravano la crescita dei prezzi dal minimo di marzo, con il coro del «siamo fuori dal peggio». Quest’anno s’incomincia a mostrare che «non siamo fuori dal peggio».


Insomma, il comportamento dell’industria finanziaria è simile a quello della grande stampa. Potremmo affermare che le statistiche (come i titoli dei giornali) riflettono l’idea che si ha del prossimo movimento, se al rialzo, se al ribasso. Non il movimento «secolare», ma quello «a breve termine». Il movimento secolare – forse per come sono costruiti i modelli economici – è sempre al rialzo (1).

Osservare le statistiche come un momento della de propaganda fide e non come «teologia» aiuta a capire che cosa sta succedendo. Come i cinesi che osservano i movimenti dei rospi e delle galline per capire se arriva il terremoto.

Lo scorso anno c’era modo di guadagnare molto comprando le azioni e le obbligazioni private. Lo scorso anno si poteva guadagnare – dopo marzo – prendendo posizioni «lunghe». La gran parte degli operatori non ha venduto le azioni e ha comprato le obbligazioni pubbliche e private (2). Quest’anno, al contrario, potrebbe prendere corpo un comportamento opposto. Si prendono le posizioni «corte». Ossia, ci si fa prestare i titoli, li si vende, contando di ricomprarli a un prezzo inferiore per poi renderli a chi li aveva prestati. Il comportamento opposto lo si può spiegare perché lo spazio di rivalutazione delle azioni e delle obbligazioni private si è ridotto. I prezzi, per salire ancora, avrebbero bisogno di segni inequivocabili di una forte ripresa, su cui i più sono ormai diventati scettici. Comincia così a emergere lo spirito ribassista.

La questione del debito sovrano (quello emesso dai Tesori) è discussa senza timore. Invece, si discute ancora poco del debito privato (delle imprese primarie e di quelle rischiose), che, in caso di crisi del debito sovrano, si troverebbe in difficoltà. Non si discute ancora in maniera apertamente negativa delle azioni. Ma stanno arrivando i segnali.
 
Questi istogrammi sono esemplari:

http://av.r.ftdata.co.uk/files/2010/01/Global-debt.jpg

Quasi tutti i paesi europei sono messi male, se si somma l’attivo delle banche maggiori al debito pubblico. Laddove uno correrebbe a vendere le banche europee e l’euro, mentre non sarebbe spinto a vendere le banche statunitensi e il dollaro. Non che i mercati abbiano sempre ragione, e nel ragionamento e nei risultati. Chi abbia vissuto le crisi valutarie degli anni Novanta si ricorda della lira e della sterlina, ma quasi mai ricorda l’attacco fallito al franco francese. L’idea che la «speculazione» vince sempre fa parte del bagaglio di chi non ha ancora accettato «il mercato» (3).

I mercati finanziari amano affermare che sono loro che «scoprono il gioco» – di solito quello dei politici. Ossia che riportano i prezzi ai valori. Quest’anno le cose sembrano messe in modo che si proverà a saggiare la tenuta dei prezzi delle azioni delle banche soprattutto europee nonché delle obbligazioni dei paesi minori in Europa.


 
(1) http://www.chicago-blog.it/2010/01/28/non-fidatevi-degli-economisti/

(2) http://www.centroeinaudi.it/commenti/lirresistibile-ascesa-della-borsa.html  

(3) http://www.centroeinaudi.it/ricerche/il-mercato-ignorante.html