Dopo oltre venti anni di stagnazione – una crescita pressoché nulla con dei prezzi deboli – in Giappone hanno, con le elezioni del 2012 vinte da Shinzo Abe, tentato il “tutto per tutto”. La Abe-nomics ha “tre frecce”: 1) prima il rilancio fiscale – un maggior deficit pubblico - con finanziamento monetario del deficit – la banca centrale che compra le obbligazioni necessarie al rilancio; 2) poi le riforme del mercato dei prodotti e del lavoro; 3) infine, il consolidamento fiscale, una volta che la crescita sia tornata stabile.
La Abe-nomics è l'opposto di quanto si fa nell'Euro-area, dove le “tre frecce” sono invertite: 1) si ha prima il consolidamento fiscale; 2) poi si varano le riforme; 3) infine, ma solo se tutto andasse davvero male, si avrebbe il rilancio - “il whatever it takes” - di Draghi. Perché mai la politica economica giapponese piace ai critici dell'austerità dell'euro-area? Essa non ha un costo politico immediato, perché il bilancio pubblico è espanso. E quando avrà un costo politico per il consolidamento necessario dei conti, si pensa che sarà modesto, perché allora si avrà la crescita. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna la Abe-nomics, invece, desta minor curiosità, perché nel mondo anglosassone: 1) si è avuto, come in Giappone, il rilancio fiscale finanziato dalla banca centrale; 2) non si ha bisogno di riformare il mercato dei prodotti e del lavoro, perché già liberalizzati; 3) del consolidamento fiscale si parlerà, ma in un futuro indefinito.
Il Giappone ha un debito pubblico pari a oltre il 200% del PIL, mentre quello degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, e dell'euro-area è intorno al 100%. Nonostante la sua consistenza il debito giapponese costa quasi nulla. Il Tesoro nipponico paga, infatti, meno del 1% sul debito, mentre la Germania paga il 2% e l'Italia il 4%. La tentazione di considerare il debito un “non problema” è perciò molto forte. Per quando esso sia enorme, alla fine non costa, e, in ogni modo, la banca centrale, se necessario, interviene. Se il debito non è un problema, allora si può espandere la spesa pubblica per il periodo necessario al rilancio.
Prima o poi in Giappone sarà necessario intervenire sul debito. Per quale ragione? Si hanno due forze: una spinge verso una crisi del debito, l'altra verso una sua parziale soluzione.
La prima. La crescita del debito pubblico è tale che arriverà a un certo punto a pesare troppo sul complesso delle attività finanziarie dei privati. Non delle famiglie direttamente, ma delle banche, delle poste, e delle assicurazioni che curano la ricchezza delle famiglie attraverso i depositi e le polizze. A un certo punto dovrebbe scattare per il settore privato la tentazione di “diversificare” dal debito domestico. (Tanto più che il rendimento del titolo decennale è intorno al 0,5%, mentre l'inflazione è al 3,5%, con quella che esclude il cibo e l'energia al 2,5%. Ossia, ogni anno con questi rendimenti e questa inflazione un detentore di debito pubblico decennale perde il 2,5%). A quel punto però sarà troppo tardi. Per “trattenere” la ricchezza dei privati nel debito pubblico, i tassi di interesse dovranno, infatti, salire, e il bilancio pubblico andrà subito sotto pressione, perché dovrà pagare degli interessi maggiori su un debito che è il doppio del PIL.
La seconda. In Giappone le imposte indirette sono la metà di quelle europee. Fossero come da noi, il bilancio pubblico tenderebbe al pareggio, e perciò, alla lunga, non si avrebbe più emissione di nuovo debito. A quel punto il rischio si concentrerebbe solo sul rinnovo di un debito enorme che va in scadenza. Se non è rinnovato a un costo contenuto, il meccanismo si inceppa di nuovo. Se il costo anche solo crescesse due punti percentuali (dal 1% al 3%) avremmo maggiori oneri da interesse pari al 6% del PIL (3%X200%). Le entrate fiscali giapponesi sono oggi pari al 30% del PIL, e dunque i maggiori oneri da interesse sarebbero pari a quasi il venti per cento delle imposte (6%X30%).
Come si vede, la tentazione di governare in deficit avendo un debito enorme che costa poco o niente non funziona, a meno che si intervenga prima che sia “troppo tardi” (già, ma quando?). Insomma, le politiche di austerità non sono evitabili, ma solo spostabili nel tempo con un rischio. Altrimenti detto, prima o poi in Giappone dovranno alzare le imposte per pagare il debito pubblico cumulato.
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