Le ondate migratorie non sono dibattute con il dovuto distacco. Di seguito proviamo a farlo. L'argomentazione è così articolata: 1 – la crescita economica e demografica degli ultimi tempi ha alimentato l'ondata migratoria; 2 - l'impatto della multi-etnicità incomincia a farsi sentire oltre che nel giorno-per-giorno anche nelle dinamiche politiche; 3 - l'ondata migratoria dall'Africa non è affrontabile in chiave solo “umanitaria”.
Dopo la Seconda guerra una gran crescita economica ha catapultato fuori dalla miseria centinaia di milioni di umani. Il benessere materiale è cresciuto così come sono crollati i tassi di mortalità, ed oggi la gran parte dell'umanità vive meglio e più a lungo di tutte le generazioni precedenti. La caduta della mortalità maggiore si è avuta fra i bambini, sicché la popolazione è cresciuta oltre ogni numero mai immaginato. Dopo la Seconda guerra la popolazione è cresciuta di quattro miliardi di unità. Molti Paesi poveri hanno sfruttato il “vantaggio dell'arretratezza”, ossia hanno adottato quanto era stato sperimentato e messo in opera nei Paesi ricchi. Molti, ma non tutti. Si è così ridotta l'ineguaglianza fra i Paesi del Nord Atlantico e quelli Emergenti, ma non con quelli africani e centro americani. Abbiamo, alla fine, avuto un'esplosione demografica, senza che questa sia stata assorbita nei Paesi di origine, e che si si sta in parte riversando nei Paesi ricchi.
Nel 1775 la Danimarca aveva una popolazione di un milione di abitanti e una densità di popolazione di circa venti persone per chilometro quadrato. In Guatemala nel 1900 i numeri erano circa gli stessi. La Danimarca ha registrato il boom demografico cento anni prima del Guatemala, con più di due bambini per donna sopravvissuti alla nascita. Poi il tasso di fertilità negli anni Cinquanta si è fermato sotto la soglia fatidica della costanza riproduttiva – 2,1 figli per donna. Oggi in Danimarca ha cinque milioni di abitanti. Ancora negli anni Novanta in Guatemala si avevano cinque bambini sopravvissuti per donna. Oggi ci sono 15 milioni di guatemaltechi. Quando la transizione del Guatemala sarà completa, ossia quando anche loro saranno giunti sotto la soglia di 2,1 figli per donna, si avrà una popolazione di 24 milioni di abitanti – circa cinque volte la Danimarca. Ecco il meccanismo dell'esplosione demografica dei Paesi meno ricchi rispetto a quelli ricchi.
Da qui il timore per l'impatto delle ondate migratorie. Vi sono gruppi etnici antichissimi, come i persiani, i cinesi. Altri sono più recenti, come i russi. Altri ancora – con la metrica della storia, beninteso - sono recentissimi, come i WASP – i bianchi protestanti anglosassoni. Vi sono Paesi - come quelli europei - in gran parte abitati da umani dello stesso gruppo etnico. Molti pensano che il quadro della mono-etnicità europea stia cambiando per effetto della migrazione e che si avranno delle forti tensioni legate all'assorbimento. Si è avuta l'esperienza di popoli molto poco numerosi – come gli ebrei e i greci – che si sono integrati pur avendo mantenuto i propri indicatori “di confine” - come la religione nel caso ebraico e la lingua in quello greco. E da vedere se la stessa cosa accadrà con i molto più numerosi asiatici e africani che approdano in Europa.
La rivoluzione demografica non è però l'unica causa dei conflitti sull'immigrazione. Si è avuta la caduta delle guerre intestatali dal 1945, e l'esplosione di quelle all'interno dei Paesi. Di questi, la maggior parte sono state guerre etniche. Fra le due sponde dell'Atlantico l'emigrazione sta spostando l'asse della politica dalla classe all'etnicità. Tra i gruppi etnici originari – chiamiamoli i “bianchi” - il cambiamento si polarizza tra le etnie "tribali" che apprezzano la propria particolarità e le post-etnie che danno la priorità alle credenze universali come la "religione dell'anti-razzismo". Fosse solo così, si hanno altre complicazioni.
Il lavoro “sofisticato” è concentrato nelle aree metropolitane, ciò che attira i “nativi” istruiti piuttosto che quelli non qualificati. Il risultato è una tendenza polarizzante all'emergere di "due nazioni" nei paesi occidentali. Una nazione è costituita dalle grandi metropoli come New York, Parigi o Londra, dove un proletariato in parte composto da minoranze etniche vive accanto a una classe sofisticata che è principalmente nativa. Al di là aree metropolitane si trova una seconda nazione: distretti rurali, piccole città, città di provincia. Questa parte del paese è prevalentemente “bianca”, con una percentuale inferiore di professionisti con formazione universitaria e un'età media più alta. Questi fenomeni si sono manifestati negli Stati Uniti con Trump, in Gran Bretagna con Brexit, e in Francia con i gilet jaune.
L’immigrazione dall’Africa dovrebbe aumentare perché una parte della sua popolazione sta uscendo dalla povertà assoluta: circa 150 milioni di africani dispongono oggi di un reddito quotidiano tra i 5 e i 20 dollari, che è un fondo sufficiente per emigrare. Le due condizioni principali affinché si scateni la «corsa all’Europa» sono quindi: 1 - il superamento di una soglia di prosperità tale da permettere il viaggio, ed ciò che sta avvenendo; 2 - la presenza di comunità diasporiche sull’altra riva del Mediterraneo, in grado di ridurre l’incertezza e i costi di insediamento, ciò che, di nuovo, sta avvenendo. Quindi siamo di fronte ad una ondata potenziale di immigrazione.
Si hanno quattro possibili uscite da questa situazione. La prima è quella dell’”universalismo umanista”, che prevede l'apertura a tutti i presenti nello spazio statale dei benefici dello stato sociale. Un'opzione che ha dei costi economici molto elevati, perché, se è vero che si avrebbe un'integrazione pensionistica grazie agli immigrati ancora giovani, è anche vero che si avrebbero costi crescenti di natura sanitaria e scolastica per assorbire le loro famiglie. La seconda è chiusura dentro la «fortezza Europa». Un'opzione praticabile se si ha il fermo consenso dell’opinione pubblica. La terza è una situazione di fatto, dove il grosso dell'emigrazione è sì fermata, ma si ha un residuo legato alla “deriva mafiosa”. Laddove i trafficanti dall'Africa si alleano con il crimine organizzato europeo, dando luogo a un nuovo sviluppo della prostituzione. Infine, la quarta, è il “ritorno al protettorato”, con politiche di collaborazione con gli Stati africani per fermare, chiudendo non solo un occhio dinanzi ai diritti umani e versando ingenti somme di denaro, i flussi alla radice. Ciò che sta avvenendo in Libia.
Ogni articolazione esposta ha come riferimento un libro. 1) Deaton, Angus. The Great Escape: Health, Wealth, and the Origins of Inequality Princeton University Press; 2) Kaufmann, Eric. Whiteshift: Populism, Immigration and the Future of White Majorities. Penguin Books; 3) Smith, Stephen. La ruée vers l'Europe: La jeune Afrique en route pour le Vieux Continent. Grasset.
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